Una settimana fa, negli Stati Uniti, il membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della California Adam Schiff ha inviato una lettera a Google e Facebook riguardo la loro disinformazione sui vaccini. Secondo lui le piattaforme di Sundar Pichai e Mark Zuckerberg, i due CEO delle rispettive compagnie, contribuirebbero al calo di vaccinazioni globale. E non solo. Ma come?
Il legame tra YouTube e le teorie del complotto
Una ricerca analizzata da The Guardian pochi giorni fa ha evidenziato come YouTube sia imputabile per la crescita dei movimenti no-vax e terrapiattisti. In particolare, trenta persone intervistate l’anno scorso durante l’annuale conferenza dei terrapiattisti a Raleigh, North California e a Denver, Colorado, hanno affermato di aver maturato la loro convinzione scientifica grazie a dei video su YouTube.
Solo una persona tra quelle trenta non ha condiviso questa affermazione. Solo perché a convincerlo di questa teoria sono stati la figlia e il genero, dopo aver visto un video su YouTube. Ma le interviste non hanno rivelato solo questo legame.
Lo sbarco sulla Luna, la verità sull’attentato dell’11 settembre, il massacro alla Sandy Hook Elementary School del 2012. Secondo i ricercatori, queste sono solo alcune delle teorie del complotto promosse dal servizio di Google per quanto essi siano contenuti borderline. La svolta, però, è giunta negli ultimi giorni.
La posizione di YouTube
Google ha aggiornato il sistema di avvertimenti e sospensione dei canali con un nuovo metodo per colpire le violazioni dei ToS (Terms of Service) e avvertire i creatori dei contenuti rimossi, per evitarne la ripetizione. Avvertire un’unica volta, per poi sospendere/cancellare il canale in seguito a ulteriori violazioni, è secondo Google la tecnica giusta da seguire.
A questo punto, però, secondo il redattore del New York Times, Kevin Roose, sorge un nuovo problema: questi provvedimenti colpiranno anche quei famosi youtubers che fioriscono perché creano appositamente contenuti borderline?
Un nuovo rapporto Youtubers-YouTube?
L’esempio che egli porta è quello di Shane Dawson, star di YouTube negli USA, il quale ha prodotto un documentario di circa due ore proprio sulle tante teorie, sulle tante cospirazioni presenti.
“Innocente o no, i video di Mr. Dawson contengono esattamente quel tipo di disinformazione che YouTube ora afferma di voler limitare. E ora sorge la fatidica domanda: come cambierà il rapporto tra le maggiori star della piattaforma e la piattaforma stessa, dopo la loro punizione per i contenuti inadeguati pubblicati?”
Ancora, l’analisi di Roose va verso la ricerca di una possibile definizione di “contenuto inadeguato”, di “disinformazione”:
“La definizione di “disinformazione” è circolare: non c’è motivo di definire un video riguardante i fatti dell’11 settembre più pericoloso di un video sul Bigfoot. Una teoria del complotto è pericolosa se risulta produrre effetti negativi. E, ovviamente, a questo punto è già troppo tardi agire per contrastarle.”
Da satira a triste realtà
Basti vedere il fenomeno Tide Pods, nato come articolo di satira nel 2015 su The Onion, poi seguito da un video satirico del 2017 pubblicato su CollegeHumor, e infine giunto ai drammi negli USA. 10,5k bambini sotto i 5 anni e 220 adolescenti nel 2017 hanno provato a ingerire le capsule, il 25% volontariamente.
La Tide Pods Challenge è nata come scherzo, ma si è conclusa come “dramma d’intrattenimento”. Quando è giunto il momento fatidico in cui essa si è trasformata? Come ha agito YouTube? Come agirà in casi simili nel futuro? O, ancora, come agiranno altre compagnie come Facebook nelle loro piattaforme?
Queste sono le domande che si sono poste Casey Newton di The Verge, dal quale è tratto questo approfondimento, e Kevin Roose del New York Times. Ma le risposte mancano da parte loro, o meglio, in generale. Perché non c’è altro da fare se non affidarsi alla prassi delle aziende, al loro lavoro, alla loro ricerca di soluzioni.
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