C’è un momento nella vita di ogni studio di sviluppo in cui si sente la necessità di rompere gli schemi, abbandonare la comfort zone e cimentarsi in qualcosa di totalmente nuovo. Quel momento si chiamava Project 8 per 11 Bit Studios, il team dietro i cupi This War of Mine e Frostpunk, un progetto ambizioso, tanto diverso da quanto prodotto in passato quanto affascinante nella sua promessa: un’avventura in terza persona, in un mondo fantasy vivido e colorato, che avrebbe affrontato il tema universale e spigoloso del lutto.
L’idea non mancava di audacia. Il gioco avrebbe guidato i giocatori attraverso le cinque fasi del dolore, ovvero negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione, calandoli nei panni di un protagonista dai lunghi capelli corvini, armato di una fionda e di un’arma vivente: una benda magica che si staccava dal braccio. L’ispirazione? Un mix elegante tra A Plague’s Tale, Prince of Persia, Rime e Hellblade. Atmosfera suggestiva, gameplay orientato allo stealth, enigmi ambientali e una narrazione profonda. Ma, come spesso accade, il fascino di un concept non basta a garantire la riuscita di un gioco.

Un percorso troppo tortuoso per il primo passo fuori pista con Project 8
“Essere onesti con sé stessi è difficile,” ha raccontato il CEO Przemyslaw Marszal in una recente intervista portata avanti da Eurogamer. Dopo sette-otto anni di sviluppo e oltre dieci milioni di euro investiti, 11 Bit Studios ha deciso di cancellare Project 8, lasciando soltanto un teaser di 8 secondi online. Il motivo non è stato soltanto legato ai problemi tecnici, come l’equilibrio difficile del gameplay stealth o il rischio di crunch, ma anche a un mercato in rapida mutazione, sempre meno incline a premiare i titoli single player puramente narrativi, soprattutto quelli che si allontanano dai codici di genere consolidati.
Il dolore per la cancellazione è stato aggravato da un ulteriore colpo: una riduzione del personale. Le difficoltà incontrate da un team alla prima esperienza con un titolo così complesso si sono scontrate con la realtà produttiva. L’unica parte completata era il prologo e la sezione dedicata alla negazione; tutto il resto era ancora da costruire, e l’idea di dover estendere lo sviluppo per altri due anni ha spento ogni velleità residua. Project 8 rimane così un promemoria delle sfide che nascono quando si prova a innovare, specie per uno studio che ha sempre fatto dell’introspezione e della riflessione sociale il proprio tratto distintivo.
Tentare di tradurre emozioni così intime in un videogioco fantasy era un’impresa coraggiosa, ma, a detta degli stessi sviluppatori, forse prematura. Nel panorama attuale, dove anche la creatività deve spesso rispondere a logiche di sostenibilità e appetibilità commerciale, Project 8 si trasforma in un caso emblematico: un progetto nato per cambiare rotta, finito per infrangersi contro le onde di un’industria sempre più selettiva. Una perdita per i giocatori, ma anche una lezione per tutto il settore.
