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Meta sotto processo: inizia il confronto decisivo tra Zuckerberg e l’antitrust statunitense

Il tempo delle audizioni in aula congressuale potrebbe sembrare lontano, ma per Mark Zuckerberg il confronto diretto con il potere istituzionale americano è tutt’altro che concluso. Dopo otto apparizioni al Congresso e due testimonianze in tribunale, il CEO di Meta si prepara a un nuovo capitolo: un processo antitrust dalla portata storica, dove sarà chiamato a difendere le fondamenta stesse del suo impero digitale.

L’accusa, presentata dalla Federal Trade Commission, punta al cuore delle operazioni strategiche di Meta, ovvero le acquisizioni di Instagram (2012) e WhatsApp (2014). Secondo le parole riportate dalla BBC dei procuratori, queste manovre non sarebbero state semplici investimenti visionari, ma parte di una tattica sistematica per eliminare la concorrenza e rafforzare un monopolio nei servizi di rete personale. È la cosiddetta strategia “buy-or-bury”: compra o affossa.

A rendere il processo ancora più significativo è il fatto che, a differenza delle infuocate audizioni congressuali piene di teatrini politici, qui le dinamiche cambiano: ore di testimonianza, interrogatori dettagliati, migliaia di email e comunicazioni interne da passare al microscopio. È proprio da queste che potrebbero emergere le prove più pesanti, come quelle in cui Zuckerberg afferma che “è meglio comprare che competere”. Una frase che, fuori da ogni contesto, sembra fatta su misura per l’accusa.

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Dietro il processo di Meta: strategie, pressioni politiche e una difesa a colpi di retorica

Meta non sta a guardare. La linea difensiva sarà quella di spostare il focus dall’intento al risultato: non importa il “perché” si siano acquistate Instagram e WhatsApp, ma il “come” queste piattaforme siano migliorate dopo l’ingresso nel gruppo. Per l’azienda, il consumatore finale ha beneficiato di un ecosistema più ricco, integrato e sicuro. Il punto critico, per Meta, è che un’eventuale condanna manderebbe il messaggio che “nessuna acquisizione è mai davvero definitiva”, anche dopo oltre dieci anni di approvazione regolamentare.

Il clima, però, è reso ancora più teso dalle implicazioni politiche del processo. Dopo una fase di distacco, i rapporti tra Zuckerberg e Donald Trump sembrano essersi nuovamente avvicinati. Secondo il Wall Street Journal, il CEO avrebbe perfino fatto pressioni dirette per chiedere al presidente di ritirare la causa, e Meta ha evitato di negare l’incontro, alimentando le polemiche. Contemporaneamente, Trump ha rimosso due commissari democratici dalla FTC, alterando l’equilibrio interno dell’agenzia e scatenando reazioni durissime da parte degli esclusi, che parlano apertamente di intimidazioni.

Il presidente della FTC, Ferguson, nominato dallo stesso Trump, ha dichiarato che seguirà solo “ordini legittimi”, ma ha anche affermato di ritenere che “gli organismi di regolamentazione indipendenti non siano un bene per la democrazia”. Una posizione che, in pieno processo, non fa che accendere i riflettori sul rischio di interferenze e conflitti d’interesse. La partita, quindi, si gioca su più piani.

Da un lato c’è l’accusa che cerca di riscrivere le regole del gioco per le Big Tech, con il rischio concreto di smantellare Meta. Dall’altro, la difesa punta a dimostrare che in un mercato dove esistono TikTok, YouTube, iMessage e X, il concetto stesso di monopolio è ormai superato. In mezzo, c’è Zuckerberg, diventato nel tempo il simbolo di un potere tecnologico che, per la politica americana, è sempre più difficile da ignorare e da controllare.

Zuckerberg, CEO di Meta

Leggi anche: Il Fisco italiano avanza maxi richieste IVA a Meta, X e LinkedIn a fine di un’indagine per frode

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Andrea Moffa

Andrea Moffa

Eroe numero 50 di Overwatch 2. Appassionato di notizie videoludiche. Esploro e condivido le avventure e le ultime info di questo mondo in continua espansione.

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