La trilogia di romanzi di Hunger Games, scritta da Suzanne Collins tra il 2008 e il 2010, è stata una delle saghe fantascientifiche che più hanno segnato il XXI secolo, anche grazie all’enorme successo riscosso dagli adattamenti cinematografici pubblicati tra il 2012 e il 2015. L’efficace mix di azione e critica sociale presente nelle vicende raccontate in questa saga presente all’interno di questa moderna distopia ha infatti conquistato e appassionato persone di tutte le età e nazionalità, divenendo, in alcune situazioni, non più solo un fenomeno editoriale e cinematografico, ma anche un vero e proprio simbolo per tutti coloro che, anche nella realtà, lottano contro l’oppressione e le ingiustizie.
Tuttavia, questo nuovo capitolo, pubblicato ormai a diversi anni di distanza dalla conclusione della saga originale, non vuole proseguire quanto già narrato in passato, ma tornare indietro di 40 anni per raccontare la storia della scalata al potere di uno dei personaggi più enigmatici e affascinanti della serie: il malvagio Presidente di Panem Coriolanus Snow. Ma questo prequel sarà riuscito a raggiungere il livello dei suoi predecessori? O risulterà alla fine essere solo una mera operazione commerciale creata unicamente per accontentare i fan? Scopriamolo all’interno della nostra recensione.
“Che i decimi Hunger Games abbiano inizio”
Come ricorderanno coloro che hanno già visto i precedenti film o letto i libri della saga, Hunger Games ci porta nello stato di Panem, un Nord America post-apocalittico e distopico, dove, in seguito a una dura guerra civile, la città di Capitol City ha stabilito una vera e propria dittatura sul resto del paese, suddiviso in 12 Distretti costretti a cedere tutte le proprie risorse alla Capitale. Tuttavia, Capitol City non si limita a imporre il proprio dominio con la forza e la violenza. Per punire i Distretti della loro ribellione ha creato gli Hunger Games, un crudele reality show in cui 24 ragazzi chiamati Tributi, 2 per Distretto, vengono gettati in un’arena e costretti a uccidersi l’un l’altro, fino alla proclamazione di un unico vincitore.
La trilogia originale ci raccontava della ribellione contro questo sistema avvenuta durante i cinquantesimi Hunger Games. La Ballata dell’Usignolo e del Serpente vuole invece tornare indietro e accompagnarci all’interno del passato di Panem. In questo nuovo capitolo sono infatti passati solo dieci anni dalla fine della guerra tra Capitol City e i Distretti e i ricordi del recente scontro sono ancora ben chiari nella mente e nei corpi di tutti, vincitori e vinti. La stessa Capitale, per quanto in fase di ristrutturazione, pare ancora profondamente ferita e marchiata dai bombardamenti e degli attacchi, così come paiono esserlo anche i suoi cittadini, sostanzialmente incapaci persino di provare interesse nei confronti degli Hunger Games, in questo momento ancora visti come un crudele spettacolo utile solamente a riportare alla mente quei ricordi dolorosi.
In questo contesto così complesso, si muove un giovane Coriolanus Snow che, giunto all’età di diciotto anni annaspa nel disperato tentativo di ottenere una borsa di studio. Sebbene infatti siano una delle famiglie più importanti della Capitale, gli Snow sono segretamente rimasti senza denaro in seguito alla guerra e sarebbe dunque impossibile per loro pagare la retta universitaria per Coriolanus. Di conseguenza, l’unica speranza per il giovane è partecipare ai giochi come Mentore e sperare di guadagnarsi una borsa di studio attraverso una buona performance del proprio tributo. Tuttavia la situazione si complica quando si innamora della ragazza che gli viene assegnata come partecipante ai Giochi: la giovane Lucy Gray Baird, una cantante proveniente dal Distretto 12 che affascina sin da subito l’intera Capitol City mettendosi a cantare durante la cerimonia della Mietitura. Per cercare di salvare la sua amata dalla morte, Coriolanus sarà disposto a tutto, persino a infrangere le regole, mettendo così a rischio la sua stessa carriera universitaria.
Un punto di vista diverso sui Giochi
Ma questo nuovo capitolo non racconta solo la giovinezza di Coriolanus Snow e la sua storia d’amore con Lucy Gray Baird. Rispetto alla trilogia originale, ci offre un punto di vista diverso sui Giochi, facendoci osservare da vicino i processi creativi e le personalità di coloro che li hanno resi la grande macchina di spettacolo che conosciamo oggi. Questo cambiamento di prospettiva dà origine a un’opera meno incentrata sull’azione e più invece dedicata a dialoghi che ci permettono di indagare approfonditamente i pensieri e le idee che stanno alla base dei Giochi. E questo è forse il punto di forza più importante di questo progetto: far conoscere i retroscena che si nascondono dietro alla creazione di concetti che noi diamo per scontati, come quello di Sponsor e Mentore, oltre ai ragionamenti e ai conflitti che hanno riguardato le menti che hanno organizzato questa edizione così rivoluzionaria.
La decima è infatti il momento in cui i Giochi vanno incontro alla svolta. Capitol City vuole infatti che gli Hunger Games divengano più di una semplice punizione per la ribellione dei Distretti: desidera che siano una celebrazione della potenza e della totale supremazia della Capitale sul resto del paese, attesa e seguita con trasporto da tutti i cittadini. Di questa trasformazione, Coriolanus, nonostante sia ancora solamente uno studente, diviene protagonista assoluto sia passivamente che attivamente. Egli infatti è, da un lato, “vittima” di alcune scelte degli Strateghi volte a cercare di rendere i Giochi più coinvolgenti, come appunto l’introduzione dei Mentori; d’altro canto è anche l’ideatore di alcuni degli ingredienti che contribuiranno a rendere lo show un grande successo sempre più seguito dal pubblico.
Questo aspetto introduce e anticipa l’ambiguità della figura di Coriolanus Snow. Egli è, di fatto, un bravo ragazzo: educato, gentile, giudizioso, diligente e così via. Tuttavia, qua e là mostra anche caratteristiche come l’ambizione e la spregiudicatezza, che, di per sé, non sono negative, ma vengono progressivamente rese tali dalla situazione circostante. I Giochi e la continua influenza negativa dei professori, in particolare della dottoressa Gaul, lo plagiano e lo spingono ad attraversare una serie di punti di non ritorno che lo cambieranno per sempre e, nel tempo, lo trasformeranno nel mostro che abbiamo conosciuto nella saga originale.
Un cast scelto con cura
Tuttavia, Coriolanus non è l’unico personaggio messo alla prova dalla crudeltà dei Giochi e del giogo di Capitol City. Così come avviene nel romanzo da cui è stato tratto, La Ballata dell’Usignolo e del Serpente contiene al suo interno un coro di voci con punti di vista totalmente differenti sulla manifestazione. Abbiamo così, da un lato, qualcuno come Seianus, un compagno di classe di Snow che si oppone strenuamente alle violenze che avvengono all’interno dei Giochi, e, all’estremo opposto, un personaggio come la dottoressa Gaul, una Capo Stratega che li adora a tal punto da farne la propria ragione di vita. In sostanza, in questo nuovo capitolo della saga, non vengono messi in evidenza solo le conseguenze che gli Hunger Games hanno nei Tributi che vi prendono parte, ma anche il modo in cui tutti i personaggi coinvolti nell’organizzazione della manifestazione reagiscono di fronte alle crudeltà dei Giochi.
E, in questo senso, la produzione ha fatto un lavoro incredibile nella selezione degli attori, riuscendo a individuare interpreti che riescono a trasmettere in maniera efficace lo spirito dei personaggi descritti all’interno dei libri. Risulta, per esempio, molto convincente la scelta di Tom Blyth per interpretare Coriolanus. Questi infatti, grazie alla sua espressività, è capace di rappresentare perfettamente i mutamenti del suo personaggio, riuscendo a far notare la lenta involuzione a cui va incontro. Avviene così che si ha veramente l’impressione che Coriolanus cambi molto nel corso del film e, alla fine, la fredda espressione del volto esibita nell’ultima scena del film sembri quasi lontana anni luce da quella dolce e comprensiva mostrata durante i momenti passati con Lucy Gray o sua cugina Tigris all’inizio del film.
Tuttavia, a far la differenza sono soprattutto gli interpreti delle due principali menti che si nascondono dietro ai decimi Hunger Games: il creatore degli Hunger Games, il decano Highbottom e la Capo Stratega, la dottoressa Gaul. Il primo infatti è interpretato dal fantastico Peter Dinklage, qui forse non protagonista di una delle sue migliori interpretazioni in assoluto, ma comunque capace di trasmettere con le espressioni del volto e il tono della voce tutta la tragicità che si nasconde dietro al codardo e vendicativo inventore degli Hunger Games. Davvero magistrale è stata invece Viola Davis nei panni della Capo Stratega dei Giochi: con la sua teatralità è stata in grado di mettere perfettamente in scena la profonda malvagità e cattiveria di un personaggio che non è solamente un villain, ma una sorta di incarnazione dello spirito crudele e profondamente disumano alla base degli Hunger Games.
Una Panem mai così viva
Oltre ai personaggi, un altro aspetto particolarmente curato della messinscena di questo nuovo capitolo di Hunger Games sono l’ambientazione e la colonna sonora. Panem, e in particolare Capitol City, appaiono vive come non mai all’interno di questo film. Tutti i dettagli, dalle strutture più grandi e maestose che mostrano la potenza della Capitale alla piccola e allegra voce automatica che accoglie i Tributi nell’arena con un beffardo “Buon divertimento!”, sono molto curati e permettono allo spettatore di immergersi nella tragica atmosfera del mondo creato da Suzanne Collins.
Più dell’ambientazione però a rivestire un ruolo dominante all’interno di questo film non può che essere la musica. Lucy Gray Baird è infatti una cantante e, di conseguenza, le note delle sue canzoni accompagnano l’evoluzione della sua storia con Coriolanus, essendo anche il principale mezzo attraverso cui la protagonista femminile esprime le proprie emozioni e racconta le proprie esperienze. In particolare, le canzoni di Lucy acquistano un ruolo fondamentale nell’ultima parte, quando divengono un piacevole trait d’union con le vicende raccontate all’interno della saga originale sia a livello narrativo che a livello registico.
Un’operazione di adattamento quasi perfetta
Adattare un libro a un film è un processo molto complesso che comporta numerose scelte in fase di realizzazione della sceneggiatura. Letteratura e cinema sono infatti media con caratteristiche molto diverse e non sempre è possibile riprodurre sul grande schermo esattamente ciò che viene scritto su carta, spesso anche solo per la necessità di fare in modo che la pellicola mantenga una durata accettabile. Bisogna così scegliere in modo oculato cosa togliere, cosa lasciare e cosa aggiungere, nel tentativo di trovare una soluzione di compromesso che non tradisca lo spirito originale dell’opera, ma, allo stesso tempo, renda il film fruibile anche per chi non ha mai letto i libri.
Questa operazione, di solito molto delicata e difficile da eseguire, pare essere stata fatta in maniera quasi perfetta all’interno di questo nuovo capitolo di Hunger Games, così come era già avvenuto nei precedenti titoli. Gli sceneggiatori hanno infatti cercato di ingegnarsi per rimanere perfettamente fedeli ai fatti narrati nel romanzo, selezionando i dialoghi e gli eventi più importanti, e inserendo, allo stesso tempo, elementi che potessero rendere appetibili anche a livello cinematografico alcune delle parti più statiche del libro.
Il risultato finale è un’opera che ripercorre in maniera fedele, anche se più brevemente, tutta la storia di Coriolanus Snow e dei decimi Hunger Games, con l’aggiunta persino di elementi che nel libro non sono stati raccontati. Il romanzo infatti, nonostante sia narrato in terza persona, segue quasi pedissequamente il punto di vista di Snow, escludendo elementi che non vengono visti o vissuti da lui in prima persona. Nel film però questa limitazione non esiste e quindi abbiamo la possibilità, ad esempio, di vedere i movimenti di Lucy Gray all’interno dell’arena e di assistere più da vicino agli scontri tra i vari Tributi. Detto questo, il grado di fedeltà all’opera originale rimane comunque elevato e quest’ultimo espediente viene utilizzato solo in situazioni specifiche, come appunto quelle degli Hunger Games.
Il lavoro di adattamento è stato dunque ben fatto, anche se nel processo di taglia e cuci qualcosa è stato inevitabilmente sacrificato, soprattutto nella prima parte. Succede così che molti dettagli della caratterizzazione dei personaggi vadano perduti. Questo, agli occhi di coloro che hanno già letto il libro, non dovrebbe essere un problema, poiché conoscono già tutti i particolari che li riguardano, ma potrebbe infastidire tutti gli altri, inducendoli a pensare, ad esempio, che l’evoluzione di alcuni personaggi sia troppo repentina o impedendo loro una corretta comprensione di alcuni riferimenti storici fatti all’interno dei dialoghi.
Tuttavia questo non è l’unico difetto che deriva dalla grande vicinanza al libro. Il problema principale è che, rimanendo così fedele all’opera originale, il film tende a ereditare anche i difetti di quest’ultima. Si può notare, in questo senso, lo stesso ritmo un po’ troppo lento e compassato del romanzo e, soprattutto, la generale debolezza della parte centrale, ovvero quella dedicata agli Hunger Games, già piuttosto monotona all’interno del libro e nel film migliorata solo in parte dai cambiamenti introdotti grazie all’adattamento. Ovviamente questo è un rischio che non si può evitare se si sceglie di rimanere così tanto fedeli all’opera originale.
Conclusione
Hunger Games: La Ballata dell’Usignolo e del Serpente è un adattamento cinematografico che farà felici tutti coloro che hanno amato il romanzo da cui è stato tratto. Ogni dettaglio di questa pellicola è infatti stato progettato per non tradire lo spirito dell’opera originale e riprodurre su schermo ogni elemento della narrazione esattamente nello stesso modo in cui viene rappresentato all’interno del romanzo. Allo stesso tempo, la produzione è però riuscita a realizzare un film molto godibile anche per coloro che non si sono ancora avventurati tra le pagine dell’ultimo romanzo di Suzanne Collins, pur con qualche difetto dovuto all’intenso processo di taglia e cuci a cui è stata sottoposta l’opera originale. Alcune volte infatti i numerosi tagli ai dettagli caratterizzanti dei personaggi che gli sceneggiatori sono stati costretti a fare durante la fase di adattamento possono rendere alcune cambiamenti avvenuti nei protagonisti poco comprensibili o non far capire del tutto alcuni riferimenti fatti all’interno dei dialoghi.
Escludendo però questi piccoli difetti, La Ballata dell’Usignolo e del Serpente è un’opera divertente e godibile che non ha nulla da invidiare ai suoi predecessori. Anzi, grazie alla presenza di personaggi ben caratterizzati posizionati ad ogni livello della piramide organizzativa alla base dei Giochi, riesce a restituire un quadro ancor più completo sulle motivazioni e i processi che hanno gradualmente trasformato una semplice lotta sanguinaria tra ragazzini nella raffinata macchina di morte che abbiamo conosciuto nella trilogia originale.