Quando due anni fa i Manetti Bros. decisero di creare un nuovo film dedicato a Diabolik, si diffuse attorno al nuovo progetto un grande entusiasmo, che venne ulteriormente nutrito dalle reazioni tutto sommato positive del pubblico e di parte della stampa in seguito all’uscita della pellicola. Fu così che 01 Distribution decise di mettere subito in cantiere ben due seguiti e di creare così una vera e propria saga attorno al ladro mascherato.
Tuttavia, quando, solo un anno dopo, uscì, quasi a sorpresa, il nuovo capitolo della saga,
Diabolik – Ginko all’attacco!, l’accoglienza fu molto diversa: il film fu un flop totale a livello di incassi e subì molte critiche sia da parte degli spettatori che da parte della critica.
Tuttavia questi incidenti di percorso non hanno fermato il procedere della saga, che ora è arrivata al terzo, e forse ultimo, capitolo intitolato Diabolik Chi Sei?. Ma saranno riusciti i Manetti Bros. con questo ultimo capitolo a salvare questa saga dal declino progressivo a cui sembra ormai destinata? Scopriamolo all’interno della nostra recensione.
Una trama nuova e imprevedibile
Che la trama di questo nuovo capitolo sia totalmente differente da quella dei suoi due predecessori lo si capisce chiaramente già dal primo quarto d’ora. Per la prima volta infatti il famoso ladro mascherato non è la massima minaccia che deve affrontare il poliziotto Ginko: a minacciare l’ordine pubblico è piuttosto una banda di criminali che ha già messo a segno diverse rapine e provocato la morte di molte persone in tutta Clerville.
Sarà proprio nel tentativo di inseguire questa banda (anche se ovviamente per ragioni diverse) che i due storici rivali si ritroveranno nella stessa situazione: intrappolati in un sotterraneo e totalmente alla mercé dei loro aguzzini, pronti ad ammazzarli da un momento all’altro. Ormai convinto di essere destinato alla morte, sarà in questa particolare situazione che il famoso ladro deciderà di dare finalmente una risposta alla domanda postagli da Ginko “Diabolik chi sei?” e ci svelerà così gli eventi del suo passato che l’hanno portato a divenire una leggenda. Nel frattempo però ci sarà ancora qualcuno su cui potranno contare per avere salva la vita: Eva Kant e Altea, che saranno costrette a collaborare per cercare di salvare la vita dei loro amati.
La trama si presenta dunque come molto differente rispetto ai film precedenti, e ciò colpisce e sorprende sin da subito l’ignaro spettatore che si aspetterebbe di assistere a un altro episodio dell’infinita caccia del gatto col topo tra Ginko e Diabolik. Questa volta invece i Manetti Bros. scelgono di allontanarsi dal copione che aveva caratterizzato le opere precedenti e decidono di mettere in scena una storia che mostra interazioni inedite tra i personaggi e soprattutto racconta il passato del misterioso protagonista.
Viene dunque abbandonata la prevedibilità che aveva un po’ condannato e penalizzato il secondo capitolo della saga e ci si avventura invece in un territorio inesplorato caratterizzato da due elementi ben precisi che rimescolano un po’ le carte. Da un lato la presenza di nuovi villain che mettono in discussione la centralità dello scontro tra Ginko e Diabolik e, soprattutto, la loro “invulnerabilità“; dall’altro, la prevalenza dei dialoghi sull’azione: i precedenti film pieni di inseguimenti e di scene di violenza lasciano il posto a una pellicola molto più riflessiva e basata sulle relazioni tra i vari personaggi.
Un racconto incentrato sui personaggi
Tutto questo fa sì che Diabolik Chi Sei? sia un film dal ritmo molto più lento e compassato rispetto ai suoi predecessori. Un fatto questo che potrebbe tradire le aspettative degli spettatori che hanno già apprezzato la dinamicità dei capitoli precedenti e, in particolare, deludere coloro che prediligono l’azione rispetto ai dialoghi. Tuttavia, con questo film, i Manetti scelgono coraggiosamente di prendersi questo rischio avendo in mente uno scopo ben preciso: dare maggiore spessore a dei personaggi di cui i film precedenti avevano mostrato solo determinate sfumature, in modo da renderli più umani e complessi. Realizzano così un film, per certi aspetti, sorprendente e capace di intrattenere, ma, allo stesso tempo, caratterizzato da diversi difetti e lacune proprio nell’ambito dei dialoghi e della caratterizzazione dei personaggi.
I due protagonisti assoluti: Ginko e Diabolik
Questo tentativo è particolarmente evidente per i due protagonisti: Ginko e Diabolik, ormai a rischio di divenire, dopo ben due film, noiosi e ripetitivi agli occhi del grande pubblico. Per questo, i registi hanno deciso di puntare su una storia un po’ diversa dalle altre, che vuole, almeno teoricamente, arricchire molto la caratterizzazione di entrambi, coinvolgendoli in situazioni mai affrontate prima.
Diabolik, infatti, grazie alla narrazione del suo passato, dovrebbe smettere di essere solo un uomo apparentemente privo di emozioni e perfettamente programmato per il furto: in questo film scopriamo che anche lui un tempo è stato giovane e indifeso e che molto di ciò che è diventato è dovuto all’ambiente in cui è cresciuto e alle sofferenze patite durante la sua crescita. Insomma, per la prima volta, l’inafferrabile ladro si abbassa al nostro stesso livello e si mostra ferito, solo, vulnerabile, permettendoci così di comprendere molto meglio le sue azioni e, almeno in teoria, empatizzare maggiormente con lui.
Eppure, alla fine del film, si ha l’impressione che questa operazione sia riuscita solo fino a un certo punto. Certo, finalmente sappiamo le origini e la storia che si nascondono dietro al misterioso ladro, ma non sappiamo molto altro di più: i suoi pensieri, la sua morale, la sua filosofia rimangono elementi apparentemente inesistenti, come se la risposta alla domanda “Perché Diabolik ruba?”, anche dopo questo film, continuasse a essere: “Perché sì”. Ciò fa inevitabilmente perdere fascino al personaggio, alimentando l’impressione, già data dalle altre pellicole, che, una volta tolte le molte maschere con cui il ladro cambia continuamente identità, rimanga solo un essere vuoto e privo di personalità.
Diverso invece è il discorso che si può fare sul commissario Ginko, che appare essere uno dei personaggi più riusciti di questa saga cinematografia. L’interpretazione di Mastandrea, come già avveniva negli altri film, riesce a rendere interessante e credibile questo tormentato e vulnerabile poliziotto, che in Diabolik Chi Sei? si trova a dover affrontare situazioni capaci di metterlo ancor di più sotto pressione. La presenza infatti di nuovi criminali sulla scena lo spinge ad abbandonare la sua eterna caccia a Diabolik e ad andare persino oltre ai suoi limiti, pur di catturare questi pericolosi malviventi. Ma non solo: il successivo incontro con Diabolik è, per lui, l’occasione scoprire finalmente cosa si cela dietro a quel fantasma che ha rincorso per tutta la vita e, per noi, di assistere finalmente a un confronto diretto tra i due. Confronto che però risulta, alla fine, essere un po’ deludente, visto che le battute con cui i due mettono in discussione l’uno l’operato dell’altro sono poche e scarsamente soddisfacenti, lasciando l’impressione nello spettatore di aver assistito a uno scambio che avrebbe potuto interessante, ma che alla fine non dice molto di nuovo sui due eroi, al di là del racconto delle origini di Diabolik.
I personaggi secondari: Eva Kant, Altea e gli altri
Per quanto riguarda invece i personaggi femminili, ovvero Eva Kant e Altea, poco cambia rispetto ai film precedenti, oltre al ruolo che esse hanno all’interno della storia. Delle due la più convincente continua a essere la Eva Kant di Miriam Leone, che appare, ancora una volta, grazie alla sua espressività e alle sue movenze sinuose perfettamente a suo agio nei panni dell’amata di Diabolik. Monica Bellucci torna invece nel ruolo di Altea e, purtroppo, ci “delizia” nuovamente con il suo inascoltabile e assolutamente fastidioso accento che rende inevitabilmente grottesco e ridicolo un personaggio che, di per sé, non sarebbe neanche così male.
L’interazione tra i due personaggi, che dovrebbe essere, anche in questo caso, una parte fondamentale della narrazione, risulta alla fine essere abbastanza inconcludente e, più che altro, “curiosa“. È giusto carino vederle interagire tra di loro, ma, al di là dell’interesse iniziale dato dall’effetto sorpresa, la collaborazione alla fine non riesce a dire dei due personaggi molto di più rispetto a quanto sapevamo già dai capitoli precedenti.
Abbastanza convincenti risultano invece essere i villain principali della pellicola: i componenti della banda di criminali che minaccia la città di Clerville e poi riesce a catturare Ginko e Diabolik. Essi, pur essendo personaggi un po’ stereotipati, riescono bene nel ruolo per cui sono stati creati: mettere in secondo piano la questione Diabolik e far sì che la storia imbocchi un binario totalmente nuovo rispetto al passato. Sono dunque dei meri espedienti narrativi, utili solamente per far incontrare faccia a faccia Ginko e Diabolik, ma sono comunque dotati di una caratterizzazione abbastanza decente, che li rende delle minacce credibili all’incolumità dei due protagonisti. Qualche parola va infine spesa per il Sergente Palmer, che in questo film dà forse il meglio di sé e in alcuni momenti è quasi commovente nel suo essere profondamente e ingenuamente fedele a Ginko e al suo lavoro di poliziotto.
Il ruolo dell’ambientazione all’interno della narrazione
Parlando infine dell’ambientazione, essa mantiene ovviamente lo stesso stile retrò e intrigante degli altri film, ma, allo stesso tempo, pare risentire dell’impostazione generale del film ed essere a sua volta sacrificata in favore di un’assoluta centralità dei personaggi. Il nascondiglio di Diabolik, l’ufficio di Ginko, le strade e gli interni di Clerville e del resto del mondo di Diabolik non sono più i luoghi principali in cui si svolge la narrazione, ma solo degli sfondi che ogni tanto si intravedono qua e là, mentre i protagonisti si muovono alla disperata ricerca della banda di rapinatori.
Si ha dunque quasi l’impressione che i registi, dopo averci mostrato i luoghi del mondo ideato da Angela e Luciana Giussani nei precedenti film, li diano per assodati e ormai conosciuti dallo spettatore e spostino del tutto la loro attenzione sui protagonisti. Questa scelta, per quanto comprensibile nel complesso dell’operazione, toglie un pochino di fascino alla pellicola, che viene così privata quasi totalmente della genialità di alcuni espedienti utilizzati da Diabolik per fuggire e, nel complesso, rende le azioni messe in scena più “scollate” dal contesto sociale rispetto a quanto invece avveniva nei film precedenti.
Conclusione
In conclusione, Diabolik Chi Sei? risulta essere un film tutto sommato godibile, grazie soprattutto a una trama interessante che si allontana in maniera decisa dalla struttura piuttosto prevedibile dei precedenti capitoli. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, emergono diversi problemi che riguardano soprattutto quell’elemento che avrebbe dovuto essere il fulcro della narrazione, ovvero la caratterizzazione dei personaggi e, in particolare, del protagonista, Diabolik. Il film fallisce infatti nel tentativo di dare un maggiore spessore psicologico al personaggio principale, che non riesce dunque a smarcarsi del tutto dall’impressione già data nei film precedenti: quella di un personaggio un po’ vuoto, sostanzialmente privo di profondità e di complessità di pensiero. Insomma, da questi film emerge l’immagine di un eroe ormai “vecchio” e superato, che, se trasportato nell’epoca contemporanea, regge male alla prova del tempo e sembra incapace di trasmettere qualcosa di diverso dalla semplice nostalgia per un periodo storico ormai lontano. Forse, a tradire i Manetti, è stata dunque l’eccessiva fedeltà all’opera originale, che li ha portati, quasi inevitabilmente, a mettere in scena un’opera, a livello visivo e stilistico, di certo molto convincente, ma che, da un punto di vista narrativo, appare un po’ lontana dagli standard attuali e adatta più che altro ad accarezzare i ricordi nostalgici degli appassionati del fumetto.