Se la critica non sa di cosa tratta, non è più critica
Negli ultimi tempi abbiamo assistito alla polemica, per molti versi sterile, ma che sicuramente fa riflettere, scaturita dall’uscita di Kingdom Come Deliverance (trovate la nostra recensione qui). Si tratta di un GDR ambientato nella Boemia del 1400 che ci mette nei panni di Henry, giovane figlio di un mastro fabbro che da un giorno all’altro, a causa di una imperversante guerra civile, è costretto a cambiare radicalmente la propria vita e imbarcarsi in un’avventura costellata di incontri, battaglie e intrighi politici.
Cos’è successo?
Il gioco, uscito il 13 febbraio 2018, prima di vedere la luce ha attraversato un iter piuttosto lungo – caratterizzato anche da una campagna Kickstarter che ha permesso a Warhorse, la casa di sviluppo, di completare l’opera. Attorno alla release, si è scatenata una tempesta mediatica, che solo in queste ultime settimane ha preso a calmarsi. Il gioco è stato preso di mira in ogni suo aspetto: dal sistema di salvataggio (per cui si necessitava o un oggetto consumabile o un letto, ora patchato per includere una funzione di “salva ed esci”) al sistema di combattimento, dall’accuratezza storica alla caratterizzazione dei personaggi principali e non, e così via.
Come spesso succede in questi casi, il pubblico si è diviso: da un lato, gli strenui sostenitori del gioco, e dall’altro i suoi feroci e impietosi oppositori. Al dibattito si sono uniti anche diversi youtuber esperti – o per lo meno presunti tali – del settore; tra questi, la voce che più ha risuonato in Italia è stata senza dubbio quella di Quei Due Sul Server – il simpatico duo molisano, costituito da Nicola Palmieri e Mario Palladino – che possono vantare un seguito assolutamente invidiabile nel panorama italiano.
In un video che potremmo definire “reazione a caldo”, i due si sono scagliati ferocemente contro il titolo: tra immagini e sequenze prese da gameplay precedentemente registrati, hanno demolito il gioco in tutto e per tutto, evitando curiosamente di evidenziarne i pregi, anche quelli innegabili. Fortunatamente, la risposta dalla stampa specializzata non si è fatta attendere: un articolo di Andrea Forlani, redattore di Eurogamer, fa emergere opinioni quasi agli antipodi rispetto a quelle di QDSS. In un altro video in risposta all’articolo, i due hanno poi ridimensionato il loro atteggiamento iniziale, pur ribadendo molti punti, più o meno discutibili, della loro tesi.
Qual è il problema in tutto ciò?
Viene dunque spontaneo chiedersi, specialmente se si conosce effettivamente Kingdom Come Deliverance, che cosa ci sia di genuino in tutto questo, e che cosa sia invece semplicemente frutto della polemica scaturita dal nulla. Quanto di vero è stato detto in merito al gioco, e quanto invece è stato “buttato là”, magari dopo pochissime e insufficienti ore di gioco?
Nei giorni seguenti, QDSS hanno pubblicato sul loro canale secondario (QDSS 2) i gameplay integrali della loro (breve) avventura su Kingdom Come Deliverance. Con soli 5-6 video – quasi senza soluzione di continuità l’uno dall’altro – e 4, forse 5, ore di gioco, sono stati in grado di mostrare “come NON si gioca a un videogioco”. Redez e Synergo, infatti, alternandosi il pad, fanno di tutto, davvero di tutto, per provocare falle nel gioco. Più che un gameplay, sembra un beta-testing: quasi tutte le azioni che fanno compiere al povero Henry costituiscono una caccia al bug/glitch. In realtà, una simile attività, se indirizzata al creare situazioni ridicole, è perfettamente plausibile. Dopotutto, ognuno gioca come vuole – e basta dare uno sguardo a YouTube per accorgersene.
Il problema sorge quando il duo, da tutto ciò, comincia a trarre conclusioni catastrofiche, attribuendo al gioco difetti inesistenti. Come la presunta “assenza di libertà”, desunta dal fatto che il gioco dia degli obiettivi e segnali semplicemente di averli falliti, senza risultare comunque in un game over, qualora le azioni del giocatore siano difformi a quelle richieste dall’obiettivo. Un po’ troppo, no? Certamente, se si considera che il duo termolese sia comunque riuscito, nonostante tutte le difficoltà autoprocuratesi, a portare a termine il prologo – il quale funge praticamente da tutorial e quindi pone alcune restrizioni al giocatore.
Cosa c’è di vero?
Per quanto sia doloroso riconoscerlo, c’è un fondo di verità: gli scettici hanno ragione su due fronti. Innanzitutto, Kingdom Come Deliverance è costellato di bug e glitch, anche se piuttosto di rado “game-breaking”, più spesso “immersion-breaking”; inoltre, dal punto di vista tecnico sono evidenti numerosi problemi (rendering delle texture lentissimo, frame rate instabile, ecc.). Tutti problemi, comunque, che si sarebbero potuti evitare spendendo qualche mese in più per l’ottimizzazione del gioco. Proprio questo rende ingiustificabile il voto esageratamente alto che alcune testate giornalistiche hanno assegnato al titolo (si parla addirittura di 9/10). Ad ogni modo, come ci rivela una breve ricerca su Metacritic, Kingdom Come Deliverance ha ricevuto un giudizio complessivo – tra utenti e critica – ben più adeguato allo stato attuale in cui si trova: una valutazione che si aggira intorno al 7/10.
Escludendo queste note acerbe e pochissime altre scelte di game design che non risultano brillanti, ma che potranno benissimo essere modificate, Kingdom Come Deliverance si rivela un titolo valido, in grado di respingere le altre critiche che gli sono state rivolte. Basti pensare al discorso della libertà data al giocatore, sbandierata dagli sviluppatori ma apparentemente inesistente per molti. In realtà, una volta compreso il funzionamento del gioco – cosa che sicuramente non succede con appena 5 ore di gioco alle spalle – risulta chiaro che è possibile affrontare ogni situazione proposta in moltissimi modi. Si può perfino scegliere la “via sbagliata”, commettendo molteplici crimini e risultando così ricercati. Di questo sono testimoni proprio i gameplay di Quei Due Sul Server.
Capire un gioco prima di giudicarlo
L’esperienza di gioco, però, ha senso solo se il giocatore ne accetta le regole e il sistema di valori: siamo pur sempre nel Medioevo! Se, per esempio, il giocatore esercitasse violenza su un cittadino, sarebbe ragionevole aspettarsi che le guardie della città gli diano la caccia fino alla cattura o allo smarrimento. Se si rubasse qualcosa, sarebbe altrettanto ragionevole aspettarsi che la vittima denunci quanto prima il furto; più vale la refurtiva, più tempo dovrà passare prima che se lo dimentichi, a meno che non ci si rivolga ad un ricettatore per rivenderla.
Insomma, fa soffrire vedere un gioco che presenta molti spunti interessanti venire distrutto da giocatori che, non amando il genere e forse non comprendendolo, dopo una prova superficiale e dedicata puramente alla ricerca del difetto, si sentono in dovere di sparare sentenze definitive, talora palesemente scorrette o disinformate. A maggior ragione, se i suddetti possono essere qualificati come “influencer” e hanno perciò una forza persuasiva notevole su molti dei loro spettatori. Tutto semplicemente per “fare rumore” e ottenere facili visualizzazioni, magari. Quel che è certo è che azioni del genere non mirano a fare della critica costruttiva; se così fosse, diciamo che bisognerebbe aggiustare un bel po’ il tiro.
Dobbiamo preoccuparci quindi?
Episodi del genere fanno sorgere per forza qualche preoccupazione. Se questo fosse il livello di critica da aspettarsi in futuro, come ne risentirebbe lo sviluppo della nostra amata “decima arte”? Come potrà il videogiocatore ottenere una visione quanto più obiettiva su un titolo prima di acquistarlo? Qual è il rischio di vedere confuse opinioni e gusti personali con pareri oggettivi e completi? Non ci resta che sperare che vicende infauste come questa non si ripetano più, perlomeno nel breve periodo; e che la critica, specializzata e non, si senta più responsabile dei giudizi che dà.
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