Avatar 2: la via dell’acqua, la più recente opera cinematografica di James Cameron che è arrivata nei cinema 13 anni dopo il primo film, ha fatto parlare moltissimo di sé sin da prima di vederlo effettivamente in sala.
Siamo tutti familiari con il grande impegno che Cameron mette nelle sue opere, ma con Avatar (in modo simile ma ancora più apmlificato rispetto a quanto accaduto con il primo film) le risorse e il lavoro che sono state dedicate sembrano davvero qualcosa di assurdo.
Alla base di tutto, c’è stata la volontà di Cameron di rendere il tutto il più realistico possibile. Ma limitarsi a ciò sarebbe stato troppo facile: il regista ha voluto aggiungere una difficoltà in più che spesso causa grossi grattacapi nei film: ovvero l’acqua. Tantissima acqua, e il film girato con un imperativo effetto wet-for-wet che ha costretto la produzione a reinventare la tecnologia di performance-capture del primo film.
L’imperativo realismo di Avatar 2 richiedeva di stare ore e ore in acqua
Cameron non voleva limitarsi a girare utilizzando la fotografia dry-for-wet che abbiamo già visto in film quali Acquaman e Wakanda Forever, che consistevano nel girare il film con gli attori su piattaforme galleggianti e un green screen che simulasse il movimento subacqueo.
James Cameron voleva che i suoi attori imparassero in realtà a tuffarsi come i Na’vi, che nuotassero veramente e che riuscissero a stare in apnea sul serio (Kate Winslet ha preso piuttosto sul serio la cosa, arrivando a stare in apnea 7 minuti e 14 secondi). Infatti, alcuni anni fa divennero molto noti i requisiti da Marina Militare USA richiesti agli attori per girare il film, e oggi si può realmente giudicare se ne sia valsa la pena, a prodotto finito.
Per il film, James Cameron ha fatto costruire una specie di enorme acquario in cui gran parte delle scene necessarie sarebbero potute essere girate. Secondo il direttore della fotografia Russel Carpenter, l’acquario poteva essere qualunque cosa: da una semplice spiaggia a un vero e proprio fondale. Le onde, le correnti e il movimento degli attori (oltre che dei loro indumenti e capelli) sarebbe stato molto più semplice da riprodurre girando realmente il tutto in acqua.
Chiedere agli attori di passare 8 ore al giorno immersi in acqua con i propri vestiti è stato dunque imperativo per la riuscita realistica del film. Inoltre, gran parte dei vestiti dovevano essere ricreati dalla produzione con un colore bianco, che meglio si adattava al girato in acqua. Secondo Deborah Lynn Scott, costume designer, ogni capo d’abbigliamento ha richiesto almeno 200 ore di lavoro.
Alcune delle scene più difficili, che hanno veramente messo alla prova il wet-for-wet voluto da James Cameron per Avatar 2, sono state sicuramente quella del tulkun che rovescia la gigantesca nave dei cacciatori di balene, ma anche quella in cui Spider nuota accanto ai Na’vi mentre la nave affonda. Se il film fosse stato fatto puramente in CGI, l’effetto tanto voluto sarebbe stato molto difficile da mantenere. Per non parlare della lotta continua contro i riflessi nell’acqua che ha dovuto affrontare la produzione.
Il grandissimo lavoro di Cameron e dell’intera produzione ha fatto sì che ogni particolare elemento del film riuscisse a coinvolgere l’attore, e di riflesso lo spettatore, fino al midollo. Tutto l’inferno passato in questi anni per creare Avatar 2: la via dell’acqua sembra essere valso fino all’ultimo sforzo.
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