Truth Social, meglio conosciuto sull’internet come “il social di Donald Trump”, è stato sempre pubblicizzato dal miliardario come un social network diverso, dove la libertà di espressione regna sovrana.
La piattaforma, creata dall’ex presidente degli Stati Uniti, è divenuta il suo rifugio dopo che il suo account è stato bannato definitivamente da Twitter nel 2021, dopo l’attacco di Capitol Hills. Il nome del social è stato scelto proprio per rafforzare l’immagine che si voleva dare della piattaforma, che si è proclamata essere una sorta di “tenda” senza censura politica, tant’è che i post fatti su di essa sono denominati “truth”.
È ironico, una volta considerato tutto ciò, venire a sapere che adesso il social sta prendendo una piega contraria rispetto a quanto promesso: da diversi mesi molti post vengono rimossi o la visibilità ne viene limitata, spesso senza dare alcuna spiegazione.
Truth, il social di Donald Trump, sta diventando tutto il contrario di come doveva essere
A scoprire l’inversione dell’idea sulla quale si poggiava Truth, è stata una organizzazione no-profit per la difesa dei consumatori, chiamata “Public Citizen”. Tra i contenuti rimossi dalla piattaforma, a quanto risulta dalle indagini, ci sarebbero post anti-Trump inerenti all’investigazione attualmente in corso sugli attacchi a Capitol Hills, post a sostegno dell’aborto ma anche alcuni contenuti che non avevano alcun messaggio anti-Trump o anti-conservatore.
L’autrice del rapporto pubblicato da Public Citizen, Cheyenne Hunt-Majer, ha sperimentato la faccenda sulla propria pelle iscrivendosi alla piattaforma, il cui accesso è limitato ai soli cittadini di Stati Uniti e Canada:
“È diventato evidente per me entro i primi 15 minuti che le cose venivano bloccate”
Hunt-Majer appena iscritta alla piattaforma fece un test: provò a scrivere sul social “l’aborto è assistenza sanitaria” e ben presto scoprì che quanto pubblicato era stato sottoposto a “shadowban”. Il post era stato cioè nascosto dalla visualizzazione, il tutto senza alcun avviso o notifica.
In realtà, quello fu solo il primo di altri esperimenti: l’autrice fece la stessa cosa con post inerenti alla regolamentazione delle armi, della pillola del giorno dopo e con la testimonianza di Wandrea Moss sull’attacco a Capitol. Tutti i test, però, portarono al medesimo risultato.
Eppure, era proprio Truth Social a farsi forte delle proprie politiche sulla libertà di espressione, tanto da ritenere lo shadow ban “una pratica ingannevole e manipolativa” e promettere che l’azienda “non usa, e mai userà, lo shadow ban sui suoi utenti”.
D’altro canto, ciò non esclude che sulla piattaforma possa esistere una qualche tipologia di moderazione, che a quanto dice il social viene gestita dall’intelligenza artificiale e verificata da operatori umani. A essere moderati, secondo le politiche del social, sarebbero quei contenuti ritenuti illegali quali la minaccia di violenze, il porno e la violazione del diritto di copyright.
Ma Hunt-Majer ha reso evidente la discrepanza tra quanto affermato dal social e le sue effettive azioni:
“Stanno prendendo una posizione pubblica sullo shadow ban e sulla censura, e poi c’è una realtà di ciò che sta accadendo sulla piattaforma, che non corrisponde”.
L’autrice del rapporto concorda su quanto affermato da molti in questi mesi (tra cui anche Trump) nei riguardi dei social mainstream quali Facebook e Twitter: spesso la moderazione dei contenuti è effettuata in modo incoerente. Tuttavia, la modalità con cui viene gestita Truth rischia di renderlo decisamente peggio poiché manca totalmente di trasparenza e difatti, a differenza di tutti gli altri maggiori social che avvertono sempre l’utente quando un contenuto viene moderato, questo non accade mai su Truth.
Il rischio, spiega Hunt-Majer, è che andando avanti così Truth verrà trasformato in una “eco-chamber”:
“È una ricetta per il radicalismo e l’estremismo”.
Fonte: Business Insider