Come molti artisti, inventori e scrittori, anche Takeshi Shudo, sceneggiatore della serie Pokémon sin dal primo episodio, era attanagliato da diverse difficoltà e processi mentali necessari nella sua produzione creativa. L’anime di Pokémon debuttò nel 1997, e da allora Shudo rimase come scrittore principale per i cinque anni successivi, scrivendone così sia gli episodi, che i tre film.
La serie di Pokémon si rivelò decisamente apprezzata dal pubblico più giovane, e amata ancora oggi dalle generazioni vecchie e nuove. Eppure, nonostante il franchise abbia ormai raggiunto una longevità più che impressionante, rimanendo in testa tra i media d’intrattenimento sia nelle categorie videoludiche, che in quelle animate, il successo ottenuto risulterebbe come un fattore controverso, vedendo le idee di Shudo.
Grazie a diversi blogpost scritti dallo sceneggiatore, tradotti poi in inglese e riportati da un utente sul web, si possono denotare numerose informazioni sul suo rapporto “travagliato” con il franchise. Soffermandosi su un post pubblicato nel 2009 – 10 mesi prima della sua morte – si mettono in luce le diverse ombre caratterizzanti il suo processo creativo, come la necessità di darsi all’alcool e una dipendenza dai tranquillanti, che avrebbero poi condotto Shudo verso un tragico destino.
La dedizione per Pokémon e un ruolo pesante sulle spalle
Takeshi Shudo si affidava spesso all’alcool e alle medicine per far fuoriuscire il suo spirito creativo, generando nuove idee per film ed episodi, e gli effetti ottenuti lo portavano a vagliare dei temi molto più oscuri per la serie. Alla fine del 2010 lo scrittore fu dichiarato deceduto per una grave emorragia cerebrale, possibilmente causata dall’utilizzo di queste sostanze. Prima di questo triste avvenimento, Shudo aveva svelato alcuni dettagli sul suo processo di creazione, e sulle idee che egli aveva in mente per la serie.
Il rinomato incidente del Pokémon Shock, che ha portato coloro che videro il primo film Pokémon nei cinema ad avere un attacco epilettico, gli fece comprendere il ruolo prominente che si trovava a occupare. Con i dirigenti indaffarati nel dover far fronte agli imprevisti dovuti a quest’evento, Shudo ne approfittò per creare qualcosa con elementi molto più dark e psicologici, portando così a compimento il copione de Il Ritorno di Mewtwo. Il successo ottenuto dal film fu clamoroso, portando così i piani alti a dargli carta bianca nella scrittura del secondo film; questo permesso segnò presto una svolta fondamentale per la carriera di Shudo.
Questa nuova libertà creativa lo condusse a realizzare un film a malapena indirizzato ai bambini, con temi complessi relativi all’esistenzialismo e alla coesistenza; Shudo, nel blogpost, ha affermato come si sentisse quasi impossessato quando stabilì queste tematiche. Dopo che lo staff fece notare allo sceneggiatore l’assenza dei protagonisti nella prima porzione di film, gli fu chiesto di’inserirli, e così egli fece, con la consapevolezza che ascoltando queste richieste non avrebbe avuto problemi nello scrivere il resto del copione, senza alcuna interferenza o richiesta di vederne il contenuto.
Per realizzare i personaggi, Shudo afferma più volte come egli immettesse tutto se stesso, creando diverse personalità e immedesimandosi in ogni loro gesto da rappresentare. La sua immaginazione e le sue opere dovevano ottenere un risultato congruente tra loro, e questo sarà un altro dei motivi che lo portò a un attaccamento morboso verso il Pokémon Lugia.
L’alcool era tra i mezzi principali per l’ispirazione, in grado di aiutarlo a dare un senso alle frasi che gli attorniavano la mente. Nel caso non potesse bere, avrebbe preso dei tranquillanti; tuttavia, egli si poneva un limite preciso da non valicare. Recitare il pi greco, fare 1+1, esporre il principio di Fermat o spiegare la congettura di Poincare; se risultava difficile, era ubriaco. In questo modo incontrava persone, ne assorbiva le prospettive e cercava di ordinarle con l’acool e le medicine.
Questi metodi sono stati utilizzati in modo pesante nella creazione del secondo film, e probabilmente anche per gli episodi televisivi della serie negli anni a seguire. La ripetitività dietro la produzione degli episodi era uno degli aspetti che più infastidiva Shudo: la costante ricerca da parte dei produttori di un momento commovente, uno divertente, uno pauroso… Si trattava di un aspetto che lo sceneggiatore non apprezzava, poiché non vi era più spazio per la crescita dei personaggi, e la storia proseguiva sempre con la stessa formula.
In seguito all’incontro per il film con Lugia, Shudo si sentì fortemente irritato nel vedere come la produzione di Pokémon sarebbe continuata. Dopo aver chiamato il regista e avergli chiesto per quanti altri anni essa sarebbe proseguita, gli fu risposto almeno dieci. Ma per Shudo, il suo limite erano due anni; dopo questo periodo, non sarebbe stato in grado di continuare. Giunti nel 2010, anno nel quale lo scrittore ha espresso sul blog queste parole, si contavano ormai quasi 500 episodi, e tutto è andato come aveva previsto il director.
Shudo desiderava guardare la serie evolversi con i tempi, armonizzandosi alla crescita degli spettatori; vederla rimanere sempre uguale anno dopo anno, avrebbe significato l’impossibilità di toccare temi rilevanti con le varie epoche. Tuttavia, dopo che il director gli disse “altri dieci anni”, Shudo si sarebbe “ossessionato” nello studiare come continuare Pokémon in modo indefinito. L’epilogo più tragico a questa storia fu come egli si trovò con il collassare a terra mentre si trovava nei pressi di una stazione, finendo ricoverato nello stesso ospedale dove si trovò una ragazza che soffrì del “Pokémon Shock”. I fatti successivi, a ciò, ormai, si conoscono bene.