Film italiani su Disney Plus, Aldo Baglio è una Principessa Disney?
In molti sono rimasi stupiti di vedere arrivare nel catalogo di Disney Plus alcuni grandi classici del cinema italiano tra cui capolavori di Massimo Troisi, Roberto Benigni e alcuni dei più bei spettacoli di Aldo, Giovanni e Giacomo.
Mentre il web si è scatenato tra chi chiedeva che Aldo diventasse ufficialmente una Principessa Disney e tra chi si lamentava del fatto che il già povero catalogo della piattaforma è stato rimpinguato con film vecchi di 30 anni.
Tanti si sono chiesti il perché di queste aggiunte. Il motivo è presto detto e ha a che fare con delle leggi a livello nazionale ed europeo.
Per quanto riguarda il diritto comunitario, queste aggiunte al catalogo vanno inquadrate nell’ottica delle AVMSD (AudioVisual Media Services Directive). Si tratta di alcune linee guida che coordinano le diverse legislazioni nazionali dei paesi membri dell’Unione e che sanciscono alcune quote minime da dedicare alle produzioni locali. Variety ne aveva già parlato in esclusiva nel 2018 per poi confermare poco dopo che queste quote si sarebbero aggirante intorno al 30-40% del catalogo e che gli stati membri avevano 20 mesi per adeguarsi.
Questo discorso si intreccia a doppio filo con la legislazione italiana e, nel dettaglio, con il decreto Franceschini del 2017 che, pur antecedente alle direttive AVMSD, anticipava quanto poi legiferato a livello comunitario.
La riforma prevedeva infatti che le emittenti private trasmettessero almeno un film o una fiction italiane a settimana per ogni canale. Per la RAI, essendo TV di Stato, i limiti erano di almeno 2 prodotti italiani a settimana per canale.
Quanto disposto per gli emittenti broadcast (che definirono i limiti imposti come “insostenibili“) si applicava anche ai servizi in streaming, in virtù anche delle direttive europee di cui sopra, non ancora approvate ma già in fase avanzata di discussione.
Il decreto Franceschini è stato poi rimaneggiato nel 2019 e i limiti sono stati allentati, pur mantenendo delle quote minime In riferimento ai servizi streaming si leggeva che
nel contempo, si rafforzano le misure a sostegno delle opere di espressione originale italiana (che nel previgente sistema erano limitate alle sole opere cinematografiche) e a sostegno delle opere recenti, si rivedono gli obblighi in capo agli operatori on demand, con un maggior allineamento rispetto alle emittenti televisive “tradizionali” e si rafforza un sistema di flessibilità, senza rivedere, tuttavia, il nuovo e più efficace sistema sanzionatorio
La genesi delle “quote minime”
Queste leggi su “quote minime” e su “obblighi di programmazione” non sono una novità nel panorama italiano ed europeo.
La prima volta che si è parlato di “quote minime” è stata trent’anni fa, con la Direttiva Europea n. 552 del 3 ottobre 1989, la cosiddetta “TV senza frontiere”. All’epoca si parlava di “diversità culturale” e le direttive europee (oltre alla n. 552, si ricorda anche la n. 36 del 1997) trovarono attuazione nella legge n. 122 del 1998: veniva sancito il doppio obbligo di trasmissione di prodotti italiani ed europei (più della metà del palinsesto mensile) e di produzione (10% a carico delle emittenti private, 20% per la RAI).
La legge, fortemente voluta dal primo Governo Prodi nelle veci dell’allora Sottosegretario Vincenzo Vita, nonostante nasceva in seno a contesti ben diversi dagli attuali e con obiettivi che oggi considereremmo superati, è stata l’antesignana nel decreto Franceschini e successive modifiche, le quali hanno evidenziato l’eccessiva severità degli obblighi imposti alle emittenti, come ampiamente specificato nella relazione tecnica che accompagnava le modifiche alla legge:
il sistema degli obblighi di investimento e programmazione, come configurati nel testo vigente del Titolo VII del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (come modificato e integrato, in particolare da decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 204) vede una misura risultata eccessiva di taluni obblighi, con la presenza di previsioni che appaiono limitative della libertà imprenditoriale degli operatori
Gli effetti di queste leggi per i servizi streaming
Gli obblighi sono stati allentati, quindi, ma non rimossi e questo ha portato alla necessità di mettere a catalogo delle produzioni europee e italiane. Se servizi come Netflix non si sono dovuti preoccupare più di tanto di queste necessità, avendo già dalla loro dei prodotti europei di spessore (per esempio, La Casa di Carta) è in questa ottica che va vista la produzione di film e serial italiani da parte, ad esempio, di Prime Video: Celebrity Hunted ne è l’esempio più lampante.
Entrambi i servizi, lo avrete sicuramente notato, hanno messo a catalogo un numero sempre maggiore di film/serie/reality di produzione europea e italiana e, soprattutto, hanno adibito delle sezioni apposite in home page per sponsorizzare il tutto. Chi credeva si trattasse di patriottismo dovrà ricredersi.
La situazione su Disney Plus
A questo punto è facile capire il perché i film di Troisi, Benigni e gli spettacoli di Aldo, Giovanni e Giacomo sono arrivati o stanno per arrivare su Disney Plus.
Il servizio streaming si è dovuto adeguare alle direttive europee e alle leggi italiane e in mancanza di altri prodotti validi o disponibili (vuoi per mancanza di programmazione in merito alle produzioni europee, vuoi perché la quasi totalità dei prodotti Disney nei corso dei decenni è di produzione USA, vuoi perché non erano disponibili altri titoli per questioni di diritti) ha dovuto ripiegare su questi classici del cinema italiano.
Una scelta che non disprezziamo ma non possiamo fare a meno di notare come queste aggiunte vadano in conflitto con il target di riferimento e con il resto dei prodotti a catalogo, rendendosi protagonisti di una singolarità tutta all’italiana.
E nel frattempo i consumatori si lamentano per la pochezza di contenuti e per i numerosi rinvii dovuti all’emergenza sanitaria.
Cosa ne pensate? Eravate a conoscenza di queste leggi? Ditecelo nei commenti!
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