L’Attacco dei giganti cambia casa di produzione. Ma che è successo?
In un clima in cui qualsiasi modifica ad un prodotto può venire percepita come un disastro irrimediabile (vedi Haikyuu!!), L’Attacco dei Giganti ha pensato, dopo ben 3 stagioni, di aggiungere al suo repertorio horror un’arma ben più spaventosa di qualsiasi gigante incontrato finora: il cambio di studio. Ma perché? E come mai proprio in questo momento?
È inutile girarci intorno: la notizia che ad occuparsi dell’ultima stagione de L’Attacco dei Giganti sarà un altro studio ha sicuramente scatenato molta paura tra le schiere di appassionati. Ma non tanto perché ad occuparsene sarà MAPPA, quanto piuttosto perché, semplicemente, a metterci la firma non sarà più WIT.
Se quindi siete tra quelli che, prevedendo il peggio, hanno già provveduto ad assaltare Planet Manga, “perché a ‘sto punto si va di fumetto”, sappiate che in fondo sarebbe difficile biasimarvi. D’altronde di cartoni popolari finiti improvvisamente nell’abisso proprio dopo aver cambiato studio di produzione ne abbiamo visti abbastanza negli ultimi anni. Come non menzionare il caso della seconda odiatissima stagione di One Punch-Man, o ancora peggio quello della terza stagione di The Seven Deadly Sins. E poco importa che effettivamente le cause fossero ben più complesse di come sembravano dall’esterno, ciò che buona parte del pubblico recepisce è semplicemente questo: cambio di studio di produzione = sciagura.
Se c’è però una cosa che chi ci ha seguito nell’approfondire le vicende degli anime appena menzionati ha ben chiaro, almeno si spera, è che più che una questione di quale edificio ospiterà lo staff durante la produzione della serie, è una questione di circostanze. E per comprenderle, ahimè, è fondamentale cercare di contestualizzare la situazione. Perché vedete, quando si fallisce nel cogliere il contesto e si prendono in considerazione unicamente i nomi di due aziende, si finisce per cadere vittima della fama che queste si sono costruite col tempo. Il ché, con tutte le dovute eccezioni, in un’industria piena di freelancer è semplicemente sbagliato.
La conseguenza di questo atteggiamento è semplice: si commette l’errore di spaventarsi a prescindere quando si parla di Deen o di J.C. Staff, o, in questo caso, di tranquillizzarsi nel sentire il nome di MAPPA. Quello sull’effettiva capacità dello studio di Yuri on Ice!! di fare bene è un altro discorso, però. Ciò che va fatto per rispondere alla domanda del titolo è fermarsi e tornare indietro. Se c’è stato un divorzio vuol dire che qualcuno l’ha chiesto, e se l’ha chiesto c’è un motivo.
Addio, WIT
Premessa: così come gli studi d’animazione hanno effettivo potere su ciò su cui andranno a lavorare e per quanto (sempre con le dovute eccezioni), così i comitati di produzione (ovvero il complesso di aziende che finanzia la produzione di un anime) sono quelli che stabiliscono a quale studio affidare l’adattamento animato e, nel caso, quando cambiare.
Capire questo è importante, perché scavare a fondo per tentare di capire chi ha deciso cosa sarebbe una perdita di tempo se, banalmente, una delle due parti non potesse effettivamente tirarsi indietro. Certo, ci sono situazioni in cui determinati studi pur essendo liberi di fare ciò che vogliono si trovano costretti ad accettare qualsiasi lavoro pur di sopravvivere, vanificando all’atto pratico quella libertà che hanno invece su carta, ma questo non è certo il caso di un’azienda che si è già presa dei rischi in passato finanziando prodotti originali e che fa comunque parte di un’altra azienda ben più solida come Production I.G.
In poche parole, siamo in una situazione nella quale entrambe le parti avevano la possibilità di prendere e dire sayonara, quindi passiamo finalmente al succo. Chi è che si è tirato indietro? E perché?
Non possiamo assolutamente saperlo per certo, in quanto non vi è stata una qualche dichiarazione ufficiale proveniente da una delle due parti, ma dando uno sguardo alla storia in toto dell’adattamento la risposta è praticamente a portata di mano.
Per quanto questo nello specifico sia terreno di speculazione più che di assoluta certezza, è palese che il comitato di produzione avesse in qualche modo interesse nel proseguire con WIT. Del resto lo stile che ha contraddistinto la serie può venir fuori allo stesso modo soltanto tra le mura dello studio, e aggiungere un secondo cambiamento drastico all’opera oltre quello narrativo è sicuramente un rischio che investitori come Kodansha, ovvero i detentori del copyright del fumetto di Hajime Isayama, vorrebbero evitare in questo momento.
La storia degli adattamenti di One Punch-Man e di The Seven Deadly Sins è quella di due comitati di produzione che per far uscire tutto in fretta hanno consapevolmente messo i loro prodotti in mano a degli studi nei quali riuscire a creare le circostanze giuste per creare un prodotto di qualità è sicuramente più difficile, mentre nel caso de L’Attacco dei Giganti siamo di fronte ad un comitato che, certamente non per amore dell’arte ma per i propri interessi, ha aspettato anni per dare il via alla seconda stagione, assecondando l’esigenza di Araki di dar vita al suo bambino Kabaneri of the Iron Fortress.
E per quanto riguarda WIT, invece?
Con buone probabilità per alcuni di voi questa sarà una notizia nuova, ma produrre L’Attacco dei Giganti è stata un’impresa ben più ardua di quella che Eren si è imposto. La pretesa di materializzare senza particolari compromessi la visione tanto peculiare quanto ambiziosa del regista Tetsuro Araki, che consiste nel pretendere un alto livello di rifinitura e dettaglio nella presentazione, ha costretto il team ad affrontare enormi fatiche.
Araki ha scelto di infilzare nei design dei personaggi (e non solo) un numero eccessivo di linee di contorno e di dettagli con i quali è riuscito ad ottenere quello stile che tanto contraddistingue la serie, al costo però di rendere il lavoro degli animatori e dei supervisori delle animazioni un incubo, perché appunto costretti a dover rispettivamente far muovere e correggere un numero spropositato di linee.
La prima stagione infatti ha seriamente sfiorato il disastro, richiedendo un numero semplicemente abnorme, e probabilmente mai visto prima in epoca contemporanea, di supervisori e rifinitori (2nd key animation) delle animazioni per essere conclusa a dovere. O meglio… conclusa esternalizzando ben 9 episodi ad altri studi d’animazione. E non c’è stata pausa capace di sopperire alla situazione, perché durante gli anni d’attesa per la seconda stagione, come già detto, lo stesso team si è dedicato alla produzione di Kabaneri.
Anche se le stagioni successive, fortunatamente, non hanno mai eguagliato quel tipo di disastro organizzativo, la verità è che la metodologia di lavoro non è mai cambiata. Araki ha quanto meno compreso di non poter gestire l’adattamento per più di 12 episodi, però il suo approccio incredibilmente esigente e sfiancante è sempre rimasto lo stesso. Tant’è che nell’ultimo episodio della seconda stagione, prodotto grazie agli sforzi di tantissimi animatori chiave e supervisori delle animazioni, le risorse erano così strette che ci si è dovuti affidare a dei still frame per descrivere l’assalto dei giganti al Gigante Corazzato.
Arrivati alla seconda parte della terza serie, la situazione si è aggravata sensibilmente. L’uso prima sporadico della CG nella presentazione dei giganti era ormai praticamente diventato una necessità, e, facendo attenzione, nella seconda parte è effettivamente possibile percepire la maggiore fatica con cui lo show metteva sul piatto le scene a cui c’aveva sempre abituato. Ormai la produzione era diventata semplicemente insostenibile, e, nonostante tutto, lo staff è sempre riuscito a non far trasparire mai in maniera sin troppo evidente tutti i suoi problemi, o quanto meno ad alternarli a delle sequenze d’animazione di altissimo livello.
Se questo articolo vi stesse facendo cascare letteralmente dal pero, sappiate che non dovreste farvene una colpa. Lo staff ha organizzato le sue energie in maniera molto mirata, concentrandosi esclusivamente nei momenti in cui non riuscire ad ottenere un risultato affascinante sarebbe stato imperdonabile. D’altro canto, è chiaro che fare dell’attenzione alla rifinitura dei propri disegni il punto cardine di ciò che si vuol proporre vuol anche dire stare attenti a non far notare troppo la differenza tra i momenti in cui ci si è messi d’impegno e quelli in cui invece ci si è “rilassati”… e da questo punto di vista l’adattamento ha lasciato a desiderare. Peccato, ma era inevitabile in quella situazione.
Obbiettivamente però L’Attacco dei Giganti ha avuto innumerevoli momenti sbalorditivi, e questi sono dovuti agli sforzi e alla bravura di singoli individui che, nonostante la situazione, hanno messo sulle loro spalle una mole di lavoro enorme o semplicemente applicato il loro ingegno per rendere i vari scontri indimenticabili. Sarebbe meraviglioso poter dedicare ad ognuno di essi il giusto spazio, ma non è questo il momento. Tra tutti, comunque, è chiaro che a finire sotto i riflettori non può che essere il grandissimo Arifumi Imai.
Imai è un’artista dall’enorme talento, ma soprattutto è colui che ha impiantato nella serie il famoso stile “alla Spider-Man”. Imai è stato il responsabile delle animazioni delle scene più importanti ed epiche di tutto l’adattamento, nonché un supervisore delle animazioni dall’inestimabile valore, la cui bravura ha concesso alle scene più frenetiche quella marcia in più che tanto è stata apprezzata dal pubblico.
Eppure, per quanto celati e nascosti dallo stesso trucco applicato come rifinitura addizionale sugli occhi dei personaggi durante la seconda stagione (la famosa make-up animation di WIT), i problemi sono rimasti lì, trascurati a tal punto da causare danni irrimediabili. La gloria scaturita dal mettere la propria firma su un adattamento di tale impatto tra il pubblico era sicuramente un aspetto da non poter trascurare nel momento di prendere la fatidica decisione, ma da un punto di vista pragmatico è chiaro che questa non più fosse sufficiente a giustificare un investimento di energie e risorse così importante per lo studio, specialmente avendo la consapevolezza di non ricevere chissà quale compenso economico in cambio.
WIT vuole andare avanti, vuole crescere investendo su nuovi progetti (come il recentemente annunciato Great Pretender, da loro finanziato in parte), e, purtroppo, la fantastica storia di Eren a questo punto non era altro che un ostacolo.
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