Tales from the Loop: l’ultima gigantesca fatica targata Amazon è riuscita a cogliere nel segno?
In questo periodo di quarantena non si può di certo negare che la guerra allo streaming non si sia fatta più agguerrita. Dallo sbarco di Disney+ nel Bel Paese fino all’arrivo di parecchi contenuti interessanti su Netflix (Come, ad esempio, La seconda stagione di After Life o uno show su… Big Show), è proprio in questo momento che i grandi colossi della televisione sul web stanno giocando mani decisamente importanti.
Dopo un’apparente stagione di magra, per Amazon Prime Video sembra finalmente arrivato il momento di unirsi al tavolo da gioco, e lo fa con una delle produzioni più ambiziose che lo studio abbia mai finanziato: Tales From the Loop.
Prima di iniziare è però doveroso fare una premessa: gli episodi messi a disposizione da Amazon Prime Video per la stampa sono soltanto 3. Queste prime impressioni si basano dunque su un breve assaggio di quello che la serie sarà realmente.
Una cittadina sovrastata da un mastodontico reattore in grado di sovvertire ogni legge della fisica, rendendo possibile quello che prima era impossibile: il Loop. Attraverso questa incredibile premessa, la storia esplorerà tutte le vicissitudini degli abitanti di questo centro abitato decisamente unico nel sue genere.
Tales from the Loop è ispirata all’incredibile lavoro di Simon Stålenhag, noto illustratore Svedese celebre per le sue immagini futuristiche ritraenti angoli distopici della Svezia rurale. Un autore in grado di mescolare una generosa dose elementi provenienti dalle più disparate epoche (passate e future), generando un prodotto decisamente unico e intrigante. È quindi ovvio che la posta in gioco era alta. L’elemento sul quale bisognava giocare duro era proprio l’immagine, nel tentativo di ricreare quelle magiche atmosfere senza tempo che sulla carta hanno ipnotizzato migliaia di persone.
Sai quando una persona dice che un qualcosa è impossibile? Io provo che quel qualcosa sia possibile.
Non ci vorrà molto per rendersi conto che il risultato ha dell’incredibile: dalle mastodontiche quanto misteriose torri del Loop sino ai curiosi robot dall’aspetto solitario che vagabondano nelle foreste, l’impresa della fotografia risulta incredibile quanto è stato incredibile il lavoro di world building, che, nonostante peschi a pieni mani da elementi provenienti anche dagli ormai asfissianti anni ’80, riesce a non cadere mai nella trappola del citazionismo sfrenato ormai onnipresente.
Tales From the Loop è una serie che vive di vita propria, in grado di proporre una spettacolarità visiva interessante, accompagnata da una colonna sonora sempre puntuale (per fare un parallelismo con Stranger Things: se nella serie ideata dai fratelli Duffer non ci si è sprecati con gli omaggi a Philip Glass, qui è proprio lo stesso Glass insieme a Paul Leonard-Morgan a comporre la colonna sonora).
Appurata dunque l’incredibile minuziosità della messa in scena, l’impresa degli ideatori non si arresta ai soli fotogrammi. Il monolitico reattore circolare del Loop, all’apparenza quasi vivo e pulsante, risulta piuttosto un pretesto per parlare di qualcos’altro.
A dire il vero, Tales from the Loop è una serie che non fa della fantascienza il suo perno portante. Il genere viene piuttosto utilizzato come catalizzatore (a volte, c’è da ammetterlo, decisamente troppo poco potente). Un delizioso contorno che potrebbe forse deludere veramente chi si aspetta una ricca portata condita da saporiti elementi sci-fi.
È dunque evidente che qui la fantascienza viene in aiuto come strumento per scavalcare quei piccoli (se così si possono definire) dossi imposti dalla realtà. Come ti comporteresti con un tuo doppio? Vorresti scoprire con disarmante facilità quanto ti resta da vivere e affrontarne le conseguenze?
Tutti sono connessi al Loop, in una maniera o nell’altra
Tales from the Loop si focalizza dunque sulla nostra umanità, esplorando i lidi più enigmatici dell’esistenza stessa. Nel farlo, però, non scade mai nel classico catastrofismo ormai tipico dei serial alla Black Mirror, anzi. La dolcezza della narrazione è in realtà alquanto disarmante, specialmente per i nostri tempi.
Attraverso un punto di vista decisamente quieto e intimo veniamo dunque trasportati nelle viscere di personaggi che hanno sempre un qualcosa di profondamente diverso da comunicarci. Gli episodi sono sì collegati da un filo conduttore ben definito, ma possono comunque essere fruiti come una sorta di serie antologica, poiché ognuno ha un focus e un protagonista completamente diverso (almeno da quello che abbiamo visto).
Sotto l’imperativo di evocare il più possibile l’umanità dei personaggi, è proprio grazie ad un sapiente lavoro di scrittura e regia che la serie trova dei veri e propri momenti di esplosione emotiva.
Complice forse uno splendido quanto toccante Jonathan Pryce, combinato ad una sintetizzazione visiva degna dei migliori film d’animazione, è forse il quarto episodio (non a caso, diretto proprio dal regista di Alla ricerca di Nemo e WALL-E, Andrew Stanton) il più pericoloso per i nostri traballanti cuoricini (almeno, lo è stato per me).
Non negheremo comunque che, a volte, si percepisce la pesantezza del racconto fatto principalmente d’immagini. Forse in alcuni momenti i 60 minuti di minutaggio si fanno sentire un po’ troppo. Questo, sfortunatamente, potrebbe scoraggiare gli spettatori più indecisi sul proseguire oltre il fatidico primo episodio.
Ci teniamo però a ribadire che stiamo comunque parlando di 3 episodi sugli 8 totali. Nonostante il complessivo entusiasmo generato, è ovvio che ci riferiamo ad una partita ancora in corso.
La speranza è che questo apparente poker di Amazon non si riveli in realtà un sonoro bluff. Anche perché, personalmente, ci ho già puntato tutto.
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