30 anni di una storia senza tempo
Uscito nelle sale giapponesi il 29 luglio 1989 Kiki – Consegne a domicilio compie trent’anni.
Eppure il tempo per questa pellicola non sembra essere passato.
Elementi che potremmo facilmente attribuire al secolo scorso, non sono difficili da ritrovare in alcuni paesi contemporanei dove per l’appunto il tempo sembra essersi fermato.
I televisori raccontano con i colori e i suoni degli anni ‘50, mentre alcune macchine ricordano il traffico degli anni ‘40, per arrivare fino agli anni ’30 grazie al dirigibile.
La pellicola figlia dello scorso millennio appartiene in realtà al nostro presente.
Oggetti ben delineati appartenenti ognuno al proprio tempo si fondono in un unico arco temporale, che è quello della narrazione; allo stesso modo fanno gli elementi che costituiscono la città, provenienti tutti da paesi diversi, ma che trovano la loro collocazione insieme in un’unica città immaginaria, la città di Koriko.
Miyazaki infatti ha costruito per Kiki, la giovane strega protagonista, non solo una città che fosse senza tempo, ma che non appartenesse a nessun luogo.
Le ispirazioni per la città arrivano principalmente dall’Europa, della quale possiamo riconoscere i café parigini, i tetti appuntiti di Visby, i tram che percorrono Lisbona, una torre con l’orologio che ci riporta a Stoccolma e i vicoli delle città del mediterraneo, attraverso i quali si può scorgere il mare.
Vicoli attraverso i quali soffia il vento che arriva dal mare, che riusciamo quasi a sentire sul viso come brezza marina.
Kiki ha un unico desiderio, abituata la lago del paese dov’è cresciuta, delimitato per definizione dalle sue sponde, desidera non avere più limiti e brama il mare e il suo orizzonte.
“Voglio cercare un posto da cui si veda il mare.”
Quello che sappiamo delle streghe
La storia di Kiki però non inizia in città.
Un’infinita distesa di verde, l’acqua cristallina di un lago incontaminato, increspata dallo stesso vento che muove veloci le nuvole nel cielo.
Vento che piega gli steli dei fiori e accarezza l’erba, mentre il cinguettio degli uccelli riempie l’aria.
Con naturalezza ci sdraiamo con Kiki sul prato, ci lasciamo accarezzare dal vento mentre ascoltiamo con attenzione quello che una radiolina ha da dirci.
“Per stasera vento da ovest a nord-ovest. Forza del vento tre. Sereno. È prevista una meravigliosa notte di luna piena. Per domani previsto sereno. Per dopodomani previsto sereno.”
Kiki non ha bisogno d’altro, si alza e va incontro al suo destino, sarà il vento che soffia da ovest a spingerla; è giunto il momento di andare.
Il pretesto è quello del noviziato, una pratica che pare essere tramandata da non si sa quante generazioni.
Si attende una notte di luna piena, si fanno i bagagli e si indossa un abito nero come da tradizione.
È un rito di passaggio che segna l’inizio del percorso che porta le giovani streghe a raggiungere la maturità.
Compiuti tredici anni le giovani streghe devono lasciare la propria casa per dimostrare in un anno di riuscire a cavarsela da sole.
La metafora, neanche troppo velata, è quella del dover lasciare la casa dell’infanzia per diventare adulti e, come spesso accade, la madre rimanderebbe quel momento fino all’ultimo in quanto ai suoi occhi la piccola Kiki sarà sempre la sua bambina.
Che non sia più una bambina ce lo conferma il padre che nel desiderio nostalgico della figlia di fare un ultimo “vola, vola” non riesce più a sollevarla come prima.
Certo Kiki non è un’adulta, ma non è più neanche una bambina.
Forse proprio per questo tra gli oggetti che lascia nella sua camera possiamo notare un piccolo Totoro sulla sua libreria.
Totoro come abbiamo già approfondito in un altro articolo (Il mio vicino Totoro | Se Miyazaki incontra Lewis Carroll) segna il ritorno all’infanzia da chi per forza di cose ha magari dovuto rinunciarci in parte, proprio come accade a Satsuki, una delle due protagoniste della stroria, mentre al contrario Kiki ha fretta di diventare grande.
“Senza tener duro per un anno in un’altra città non potrei diventare una strega.”
Kiki ha tutto l’entusiasmo che una ragazza nella sua condizione potrebbe avere, finalmente potrà provare a rendersi indipendente. È impaziente e sicura di se, Jiji meno.
Jiji è l’inseparabile gatto nero con il quale Kiki si appresta a partire e che spesso ricoprirà un po’ il ruolo di voce della sua coscienza e ne paleserà le preoccupazioni.
Kiki non solo vuole partire il prima possibile, ma per farlo vuole fin da subito fare affidamento sui suoi mezzi.
Orgogliosa mostra una piccola scopa di sua fattura sulla quale vorrebbe intraprendere il lungo viaggio.
La madre appoggiata da Jiji, la convincerà nell’accettare un ultimo aiuto dai genitori prima di partire.
La scopa della mamma forse non è la scelta più elegante, ma decisamente è quella più sicura.
“Anch’ io penso sia meglio la scopa della mamma.”
“Piccola Kiki una volta ambientatati nella vita in città potrai sempre fabbricarne una tua.”
Kiki è impaziente, ma si lascia convincere. Ogni cosa a suo tempo.
Così con il cuore pieno di speranze e la solida scopa della mamma è finalmente pronta per intraprendere il suo viaggio verso sud.
Il tempo è sereno.
Il viaggio
Il cielo è chiaro, sotto di lei le strade iniziano a trafficarsi di macchine e camion, sopra invece vola un grande aeroplano, mentre il paesaggio si fa a tratti industriale.
Ma la tempesta attende quasi sempre il sereno per mostrarsi.
Il vero viaggio di Kiki inizia da ora, perché per quanto uno possa sentirsi pronto, per quanto uno possa aver calcolato e aver fatto previsioni, la tempesta può arrivare in qualsiasi momento, senza avvisare, sia in cielo che nella vita.
Kiki però è giovane e piena di entusiasmo e anche se aveva immaginato diverso il suo viaggio, riesce a trovare una soluzione senza buttarsi giù.
L’obiettivo va raggiunto in un modo o in un altro.
Trova riparo nel vagone di un treno e supera così la prima notte.
Nonostante l’imprevisto al mattino il cielo è limpido e guardando fuori dal treno finalmente lo vede:
“Jiji c’è il mare! Il mare, fantastico! È la prima volta!”
E ancora:
“Guarda una città che galleggia sul mare.”
Kiki inforca così la sua scopa e spicca nuovamente il volo, la città la aspetta.
Non solo il mare, la novità per lei sta nello stesso traffico, nel numero di persone che percorrono le grandi vie o nella caoticità del mercato.
Kiki osserva affascinata la città dall’alto, è tutto come aveva sempre immaginato, ma come spesso accade la realtà è ben diversa dai sogni e quando questi ci si manifestano rischiamo lo schianto; non appena infatti Kiki proverà ad avvicinarsi alla città rischierà di causare un incidente e farsi del male.
Come funziona il mondo
Uno dei primi ostacoli quando si cresce, ma anche quando si cambia città, è sicuramente il dover fare conti con regole sempre più complesse e articolate.
Vivere in una società implica dover imparare come questa funziona.
Leggi, documenti, questioni burocratiche, sono concetti che si apprendono uno alla volta, a partire da come si fa una carta di identità o dal primo bonifico.
Se siamo fortunati magari troveremo qualcuno pronto ad aiutarci, magari da un genitore o un amico.
Oggi poi grazie a internet e una connessione veloce, gran parte delle informazioni di cui abbiamo bisogno probabilmente le ha già caricate qualcuno sotto forma di tutorial su Youtube.
La città la accoglie proprio così.
“Rendersi indipendenti a quell’età non si addice al mondo di oggi.”
La regola è semplice, se vuoi restare ti devi adeguare alle regole.
Il primo a presentarle la situazione sarà proprio un poliziotto, perfetto esempio di garante delle regole.
“Pure se strega devi rispettare il codice della strada […] Tu sei una minorenne, giusto?”
Introduce nozioni a lei estranee come il codice della strada o il fatto di essere minorenne, Kiki è in buona fede, ma come sappiamo questo non basta.
“Però io sono una strega e le streghe volano.”
La natura di Kiki è quella di una strega per la quale volare è la cosa più naturale del mondo, ma per restare dovrà adeguarsi e imparare a volare secondo le regole.
“Pernottare? Non ci sarebbe una qualche persona a farle da tutore?”
“Io sono una strega, le streghe vanno a rendersi indipendenti a tredici anni.”
“Dunque un documento di identità?”
Allo stesso modo si scontrerà con l’albergatore, che aggiungerà alle nozioni elencate prima quelle di garante e di documento di identità. Kiki non ne ha mai avuto bisogno, ha con se i soldi per pagare onestamente quello per cui fa richiesta, ma le regole non glielo permettono.
È la seconda lezione da imparare: più cresciamo più il mondo si fa complicato.
Kiki è abbattuta. La nostalgia di casa inizia a manifestarsi. Non sa come fare.
Inizia per lei un’altalena di emozioni nella quale si alterneranno momenti di sconforto che solo la gentilezza della gente o la vista del mare potranno scacciare, donandole nuova gioia.
Jiji si appiglia ai suoi momenti di debolezza e tenta nuovamente di dissuaderla dal restare, forse qualcosa di più semplice sarebbe meglio. Jiji è la voce nella nostra testa che quando ci sembra di fallire, quando tutto sembra nero ci invita a lasciar perdere, a mollare.
Ma Kiki è determinata. Seppur la famiglia a casa sia pronta a riaccoglierla a braccia aperte nell’eventualità di un fallimento, le aspettative di cui si sente carica sono molteplici.
“Io ormai concluderò l’apprendistato a breve, che felicità poter tornare a casa a testa alta.”
Così le aveva detto la strega che aveva incontrato non appena partita.
Non si tratta solo di superare il praticantato, è una questione di onore.
Ma proprio mentre pensierosa si ritrova a guardare l’agognato orizzonte e probabilmente l’idea di cambiare città la accarezza, un’occasione le si presenta.
Non un’occasione che le possa portare un qualche guadagno, ma la semplice opportunità di essere gentile.
Sentirsi utile ed essere gentile, di questo ha bisogno Kiki dopo una pessima giornata.
La gentilezza vedremo porta quasi sempre gentilezza, Kiki ne è assolutamente convinta.
È una delle sue certezze sulle quali può ancora fare affidamento.
La gentilezza di Kiki viene finalmente ripagata, la signora Osono la accoglierà in casa, forse perché spinta da un senso materno maggiormente accentuato dalla gravidanza, o forse per semplice bontà d’animo.
Le porrà alcune condizioni, Kiki vuole guadagnarsi quello che ottiene e vive con massima serietà il suo apprendistato, ma è ancora inesperta e ha bisogno di una mano.
La stanza è sporca tanto da costringerla a usare la borsa come cuscino.
La prima giornata in città si conclude così, una giornata dove tutto è andato apparentemente storto, ma dove un solo gesto gentile è bastato per rincuorarla.
“Jiji si vede il mare.”
Aprire la finestra e vedere il mare appena sveglia, è in una città come questa che vuole stare e farà di tutto per rimanerci.
“Jiji si vede il mare.”
Emanciparsi
“Apro un attività!”
Emanciparsi spesso è sinonimo di potersi mantenere da soli.
Qual è dunque l’età giusta per lasciare il “nido”?
La risposta a questa domanda cambia da città a città, da cultura a cultura, a volte anche semplicemente da famiglia a famiglia, ma soprattutto da persona a persona.
Per Kiki questa domanda non si pone.
“Si tratta di un’antica usanza le bimbe che diventano streghe compiuti i tredici anni devono lasciare casa.”
Kiki guarda sognante le sue coetanee in abiti moderni, comprati loro probabilmente dai genitori, mentre lei deve tirare avanti con i pochi soldi che ha.
Parrebbe quasi una moderna Cenerentola, costretta a lavorare nel suo abito scuro mentre le altre ragazze agghindate a festa si divertono, ma non è così.
Kiki non è Cenerentola costretta a casa dalle matrigne, Kiki è spinta da un fortissimo senso di responsabilità.
Pur riuscendo proprio come Cenerentola, a fare in tempo per la sua festa, rinuncia.
“Ormai non importa, non potrei mica andare conciata così.”
Anche se lei stessa è una strega non c’è nessun incantesimo, nessuna fata madrina o equipe di topi sarti e uccellini incantati pronti ad aiutarla per prepararsi.
La vita di una ragazza, o ragazzo che sia, che lavora è fatta di rinunce, ma queste se il lavoro da soddisfazione pesano meno, la nostra protagonista ha gli occhi sull’obiettivo e in questo è assolutamente matura.
Vede quelle ragazze spensierate in strada e le guarda a volte con innocente invidia, ma quando poi impara a conoscerle quello che vede non le piace.
“Io questo sformato lo detesto sai.”
È il caso della nipote della signora che Kiki ha preferito aiutare, compromettendo la sua serata. Il sacrificio però non è apprezzato, non solo quello di Kiki, ma soprattutto quello di chi con tanto amore e probabilmente fatica si è dato pena per il compleanno della signorina che le apre la porta.
È l’ennesima volta in cui la città le sbatte in faccia una realtà che Kiki non riesce a comprendere.
L’ingenua vergogna per i propri nonni o genitori, per tutto ciò che ci piaceva da piccoli, per qualcosa che non crediamo possa essere apprezzato dagli altri è una fase quasi obbligata attraverso la quale ogni adolescente passa.
Quello che ci si sente dire è che quando si crescerà il tempo perso sarà un grande rimpianto, ma quando si è adolescenti certe cose non ti toccano e il futuro, l’assenza, la morte dei propri cari sembrano sempre così lontani.
La nipote della nonnina è una ragazza di città più o meno della stessa età di Kiki, è elegante e alla moda. Kiki ricorda di averla notata subito il primo giorno insieme alle sue amiche, subito dopo aveva desiderato un paio di scarpette rosse in una vetrina per poi fare i conti con la realtà, pronta a ricordarle che non se le sarebbe potuta permettere.
La reazione della nipote della signora ci invita ad etichettarla come ingrata, ma non ci risulta così difficile provare compassione.
Chi ci è passato lo sa e vorrebbe dirglielo. Vorremo dirle che nonostante il bel tempo la nonna fatica ad alzarsi, che nonostante le crei fatica le ha preparato il suo piatto preferito con amore; vorremo dirle che il tempo per sua nonna sta per scadere è che nessuno potrà restituirglielo, ma non possiamo, e anche se potessimo probabilmente non ci ascolterebbe. La nipote della signora non è cattiva, è semplicemente adolescente.
“Sarebbe meglio se fosse almeno color ciclamino.”
“Fin dall’antichità il vestito delle streghe è stato formalizzato così.”
“Gatto nero, vestita di nero, sono tutta nera e nero.”
“Kiki non attaccarti tanto all’esteriorità ad essere prezioso è l’animo […] e poi non ti scordare di sorridere sempre.”
Il monito della madre ci risuona nelle orecchie, eppure come l’importanza del tempo, quella delle apparenze è ugualmente una fase che interessa soprattutto chi cresce in città.
Che sia il volersi omologare o distinguere il tutto passa più o meno inconsapevolmente attraverso una moda, e quindi passeggera, ma che solo da adulti riusciamo a valutare per quello che è.
A determinare quello che valiamo realmente non è niente che sia visibile, eppure a tredici anni questo concetto sembra assolutamente complicato. Alcuni non si liberano di questo schema neanche crescendo e per loro non possiamo provare che pena.
Kiki non ha più voglia di sorridere, non ce la fa più. Non prova neanche a correre sotto la pioggia, non le importa del ritardo, non le importa della festa o dell’acqua che le cade addosso e le bagna i vestiti, non le interessa più niente.
Stremata si butta nel suo letto, ma solo dopo aver steso i suoi vestiti, perché nessuno lo farà per lei.
Anche le streghe si ammalano
“Quindi anche le streghe si ammalano?”
In questa storia dove la magia si confonde facilmente con la realtà cos’è davvero fantastico e cosa reale?
Kiki è una strega, ma la sua magia è diversa da quella alla quale altre storie ci hanno abituato.
La magia non è uno schiocco di dita o uno sventolio di bacchetta con il quale si possono risolvere i propri problemi.
Per fare le sue consegne usa una cartina, non può sottrarsi dal peso reale di un pacco o curare la propria influenza. La stessa scopa una volta rotta non può essere riparata se non manualmente.
Inoltre la magia può affievolirsi o sparire del tutto.
A Kiki succede proprio in concomitanza con l’ingresso nella piena adolescenza.
“Jiji, ma che cosa mi sarà preso. Con tanto sforzo mi ero trovata un amico e d’improvviso finisco a fare l’odiosa. Sembra che la Kiki docile e allegra sia finita chissà dove.”
Essere scontrosi e a volte provare vergogna per tutte quelle cose che ci caratterizzavano da bambini.
A volte semplicemente crescendo perdiamo una parte di noi.
Ci guardiamo in uno specchio e non ci riconosciamo più.
Cambiamo e spesso quello che diventiamo non ci piace.
“Io mi trovo in corso di apprendistato, se la mia magia scomparisse finirei per non valere più nulla.”
Il nemico più grande
“Non ho altro talento che volare nel cielo.”
Kiki è la protagonista di una storia nella quale non compare nessun nemico apparente.
Più la storia avanza più capiamo invece che l’antagonista è presente ed è il più pericoloso che si possa incontrare.
Il nemico più grande di Kiki è se stessa.
“Sia la magia sia la pittura sono simili sai. Anche io spesso non riesco più a dipingere”
“Davvero e in quei momenti come si fa?”
Kiki ha sempre volato senza pensarci, ora invece, ciò che più le riusciva naturale le si rivela quasi impossibile.
Il consiglio le arriva ancora una volta da chi ha più esperienza.
Quando manca l’ispirazione per qualsiasi lavoro quello che Ursula suggerisce fare è di mettersi e provarci, provarci e riprovarci finché qualcosa non ne viene fuori. Se anche provando così non si dovesse riuscire, non rimarrebbe altro che mettersi l’anima in pace e fare una pausa.
“Fai una passeggiata e ammiri il paesaggio, fai un sonnellino, non fai niente e un giorno o l’altro, d’improvviso ti viene voglia di dipingere.”
In quest’opera dove realtà e magia si confondono, la magia non è altro che un talento ricevuto grazie al sangue, ma destinato a soccombere se non viene coltivato con fatica e dedizione.
“Lo sai, fu alla tua età Kiki che decisi di diventare una pittrice. Mi divertiva tanto dipingere quasi che mi spiaceva andare a dormire. Così, finché un giorno non riuscivo più a dipingere affatto. Dipingevo e dipingevo, ma non mi convinceva. Capì che sino ad allora avevo dipinto delle imitazioni di qualcun altro; erano cose che avevo già visto da qualche parte, mi dissi che dovevo dipingere un quadro mio.”
“Fu doloroso?”
“Ma anche adesso è la stessa cosa, però sai dopo di allora mi sembra di aver capito un po’ più di prima che cosa sia dipingere un quadro. E la magia invece non consiste nel recitare incantesimi vero?”
“Dicono si voli per il sangue.”
“Il sangue della strega eh? Che bello a me piacciono queste cose. Il sangue della strega, il sangue del pittore, il sangue del fornaio. Sono come dei poteri datici da Dio o da chi per lui, grazie ai quali si può anche soffrire però.”
“Io a cosa fosse la magia non avevo mai neanche pensato, credevo che cose come l’apprendistato fossero usanze antiquate.”
Il talento è dono e condanna.
Quando si presenta da piccoli una qualche inclinazione in genere sono gli adulti a riconoscerla come talento.
Ogni talento però determina anche una grande responsabilità, soprattutto se si vuole seguire la strada che questo ci indica.
A determinare il successo è la dedizione, capita infatti che persone senza nessuna particolare propensione verso una qualsiasi occupazione, compensino le proprie mancanze con la passione, per questo chiunque si ritrovi in possesso di un qualche talento, nel caso voglia coltivarlo avrà una maggiore responsabilità nei confronti del suo operato.
Nel caso di Ursula si tratta della pittura, mentre per la giovane strega è il volo.
Ursula rappresenta a tratti l’alter ego adulto, e di conseguenza più maturo, di Kiki, non a caso sia nella versione giapponese che in quella italiana la doppiatrice di entrambe è la stessa.
“La prima volta che hai volato nel cielo com’è stato?”
“Non me lo ricordo dato che ero ancora molto piccola, anche se però la mamma mi ha detto che non ero spaventata neanche un po’.”
“Ah magari fossi nato anch’io in una famiglia di streghe, tu Kiki puoi filare sulla tua scopa mentre io devo fare cose così.”
La passione di Tombo è il volo, ma per poterla seguire è costretto a utilizzare dei macchinari complessi, che a volte necessitano di un immenso sforzo fisico e che altre falliscono, ma lui non si abbatte e continua a provare un fallimento alla volta. Anche Kiki dovrà faticare per riuscire a volare di nuovo.
“Ma per me si tratta di lavoro, non è mica tutto un divertimento.”
“Ah tu dici, è un lavoro che sfrutta il tuo talento no? È stupendo.”
Bisogna trovare un equilibrio e se siamo fortunati il nostro lavoro non sarà diverso da quello che ci teneva svegli la notte per passione quando eravamo piccoli.
Chi ti può davvero salvare
Parlare di adolescenza senza cadere nel banale è incredibilmente difficile, Miyazaki però riesce a disegnare e raccontare con un incredibile semplicità la realtà delle azioni di questa complessa età di passaggio.
Una volta maturati ci portiamo dietro una serie di questioni magari irrisolte, legate alla nostra adolescenza. Situazioni, frasi, esperienze magari brevissime che però ci possono tormentare per anni.
Una cosa è certa, ciò che ci permette di maturare sono le sofferenze attraverso le quali passiamo, sono quelle a renderci gli adulti che siamo oggi.
“Quella ragazza proprio non trova forma. […] Il tuo viso va benone e dall’altra volta è di gran lunga più positivo.”
Il viso di cui parla Ursula descrivendo Kiki è un viso crucciato dalla sofferenza, che ai suoi occhi appare più bello, ma soprattutto più interessante.
Eppure anche da adulti non è raro ritrovare nello specchio quel tredicenne insicuro e sopraffatto da problemi apparentemente insuperabili.
È parte imprescindibile degli adulti che siamo diventati, lo stesso che a volte vorremmo poter dimenticare.
Lo stesso al quale potendo vorremmo tendere la mano nel suo momento peggiore e dare una carezza. Lo stesso che vorremmo poter rassicurare dicendogli che tutto andrà come deve andare, che ce la farà e che tutto questo lo renderà più forte.
Probabilmente un semplice sorriso non sarebbe bastato a rasserenarci, ma sono sicura che avrebbe aiutato. Lo stesso che ora come ora possiamo regalare a chi incontriamo, senza mai dimenticarci di essere gentili.
Tutto quello che hai non è che te stesso
Kiki nonostante abbia incontrato nel suo percorso tantissima indifferenza, è riuscita comunque a circondarsi di persone che con la loro gentilezza le hanno dato la forza per superare la vita in città.
È forse emblematico il fatto che nel momento di massima tensione, quando sarà costretta ad agire per salvare l’amico Tombo, nessuno di questi sarà presente.
Infatti gli amici o le persone gentili che ha incontrato come i signori Osono o la vecchina saranno tutti lontani dalla piazza, certamente a fare il tifo per lei, ma dietro i loro televisori.
Le persone che invece le avevano dimostrato indifferenza sono tutte lì, a gridare come forse non hanno mai fatto, dal poliziotto alla prima signora incontrata in città che le aveva riservato un freddo benvenuto.
Kiki non è la principessa che dev’essere salvata, è eroina che deve abbracciare, o meglio inforcare, il suo destino.
La città le tende una mano, un signore le presta uno spazzolone che in passato probabilmente avrebbe rifiutato.
Quello spazzolone in realtà rappresenta proprio tutto ciò che la città le ha offerto durante la sua permanenza, niente che all’apparenza possa sembrare bello, ma che in realtà non è niente di più di quello di cui Kiki aveva realmente bisogno.
La magia per diventare una vera strega la porta dentro di se da sempre, ma per farla fiorire è dovuta passare attraverso le difficoltà della vita.
Intorno a lei un’infinità di visi sconosciuti.
D’un tratto non le importa davvero più niente dell’apparenza o di volare su di uno spazzolone invece di una scopa.
Con non poche difficoltà e grazie al tifo di una città che inizialmente l’aveva rigettata senza successo, Kiki torna padrona della sua magia e salva Tombo.
Kiki non solo ha trovato il suo posto nel mondo, ma se l’è conquistato.
Quello spazzolone è la prova della sua vera forza ed un felice promemoria per lei, tanto da volerlo inserire nella sua nuova insegna in ferro battuto.
I primi a doverci accettare siamo noi, gli altri seguiranno, proprio come le ragazze così diverse da lei, con le quali la vediamo ritratta nei titoli di coda, o la stessa città nella quale le bambine la prendono come modello, lei e la sua veste nera.
Kiki è fiera di se può finalmente scrive ai suoi genitori.
Sa bene che le capiteranno altre difficoltà, ma la città e la sua vita nonostante tutto le piacciono e forse proprio per questo che ora riesce ad apprezzarle ancora di più.
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