Mentre il caldo dell’estate inizia a farsi sentire, Spotify si prepara ad alzare la temperatura anche sugli abbonamenti. Il colosso dello streaming musicale è pronto ad annunciare rincari che interesseranno decine di Paesi, Italia inclusa. Secondo il Financial Times, l’aumento medio sarà di circa 1 euro per gli abbonamenti individuali in Europa e America Latina, con partenza prevista per giugno 2025. Il principale mercato, gli Stati Uniti, resterà immune questa volta, dopo l’adeguamento dei prezzi avvenuto già a luglio 2024.
La mossa di Spotify si inserisce in un contesto più ampio: il rallentamento della crescita del mercato musicale globale. Secondo i dati IFPI, nel 2024 i ricavi sono saliti a un ritmo dimezzato rispetto agli anni precedenti, spingendo le major discografiche a chiedere a gran voce aggiornamenti tariffari più in linea con l’inflazione.
Se si guarda al panorama più ampio, i servizi di streaming musicale risultano ancora molto più accessibili rispetto agli abbonamenti video, come quelli di Netflix o Disney+, rendendo l’aumento, tutto sommato, un tentativo di mantenere equilibrio tra domanda, costi e sostenibilità economica. Negli Stati Uniti, dove un abbonamento standard costa oggi 11,99 dollari contro i 9,99 del 2011, Spotify ha già dimostrato che piccoli ritocchi non scoraggiano necessariamente gli utenti. In Europa, Paesi Bassi e Lussemburgo hanno fatto da apripista alle nuove politiche di prezzo, che presto verranno estese su larga scala.

Lo Streaming musicale 2.0: tra opportunità e incognite anche per Spotify
Nel panorama dello streaming musicale sta nascendo un’idea che promette di cambiare le regole del gioco: lo “Streaming 2.0”. L’obiettivo è di differenziare l’offerta, puntando su nuove formule di abbonamento premium pensate per chi è disposto a investire di più in cambio di vantaggi esclusivi. Spotify, ad esempio, starebbe progettando un pacchetto “super-premium” da circa 6 dollari in più rispetto alla tariffa standard, offrendo accessi anticipati a nuovi brani o la possibilità di acquistare biglietti per concerti in anteprima.
Non è sola in questa corsa al rinnovamento: Apple, Amazon e YouTube stanno valutando mosse simili, pur mantenendo per ora le carte coperte. È stato Lucian Grainge, CEO di Universal Music Group, a introdurre ufficialmente il concetto di “Streaming 2.0” durante un evento agli Abbey Road Studios, ipotizzando una crescita enorme del valore del mercato in questa nuova fase.
Tuttavia, si apre anche uno scenario di incertezza. Dopo oltre dieci anni di musica “all you can eat” a prezzi contenuti, molti si chiedono se il pubblico sia davvero pronto a spendere di più per qualcosa che, fino a oggi, sembrava facilmente accessibile. L’analista Mark Mulligan di Midia Research lancia un interrogativo chiave: “La vera domanda è: la gente vuole davvero qualcosa di nuovo?“. La risposta dipenderà dalla capacità delle piattaforme di rendere tangibili i vantaggi esclusivi promessi, senza snaturare quella libertà di ascolto che ha reso lo streaming un fenomeno globale.
Nel frattempo, Spotify si gode un momento felice a Wall Street: nell’ultimo anno, le sue azioni hanno più che raddoppiato il valore, sospinte da una crescita solida degli abbonamenti e da un ritorno alla redditività. Gli occhi ora sono puntati sui prossimi risultati finanziari attesi a breve, che potrebbero fornire nuovi indizi su quanto il pubblico sia disposto ad abbracciare questa nuova fase dello streaming.
