Le tecnologie smart, pensate per semplificare la vita quotidiana, potrebbero nascondere un lato oscuro: la raccolta eccessiva di dati personali. E se una friggitrice ad aria, comprata per velocizzare la cottura dei vostri pasti in modo salutare, fosse un modo per terzi di ottenere informazioni su di voi? Non si tratta di fantasia, ma di seria possibilità. Secondo una recente analisi condotta da Which?, alcuni dispositivi apparentemente innocui, come appunto una friggitrice ad aria o uno smartwatch, richiedono permessi insoliti e inviano dati a terze parti.
Non solo gli utenti devono fornire dati basilari come la posizione esatta, ma alcuni apparecchi si riservano anche l’accesso a microfono e altri permessi “rischiosi” dei telefoni. Il problema non si limita a dispositivi di nicchia, ma coinvolge alcuni dei più diffusi e venduti prodotti tech. Un esempio significativo è il prodotto “friggitrice ad aria” di Xiaomi e Aigostar. Questi apparecchi, oltre a richiedere la posizione esatta degli utenti, collegano i dati con piattaforme di tracciamento come Facebook e Pangle, la rete pubblicitaria di TikTok.
Xiaomi ha confermato che i suoi dispositivi inviano dati a server cinesi tramite i servizi Tencent, a seconda dell’area geografica. Huawei, d’altro canto, ha difeso il suo smartwatch, affermando che i permessi sono giustificati dal ruolo del dispositivo nella gestione delle attività personali; tuttavia, Which? ha rilevato tracker attivi, nonostante Huawei abbia dichiarato di non usare dati per fini di marketing.
Le smart TV, da Samsung a Hisense, non fanno eccezione: se da un lato si dichiarano conformi alle normative sulla privacy, richiedono comunque la posizione precisa degli utenti. I menu delle TV sono pieni di pubblicità mirata, e Samsung, in particolare, sembra richiedere dati anche per le app di gestione tramite telefono, che includono l’accesso alle altre applicazioni installate sul dispositivo.
I consigli per proteggersi dalla propria friggitrice ad aria (e da altri dispositivi) e il ruolo della normativa
Nonostante le rassicurazioni, gli utenti non sono in grado di rinunciare a tutte queste richieste senza sacrificare funzionalità essenziali. La crescente complessità e opacità di questi processi preoccupano, spingendo i consumatori a chiedere un approccio più etico da parte delle aziende, che dovrebbe superare il semplice fine del profitto. Nel 2025 l’Information Commissioner’s Office (ICO) pubblicherà nuove linee guida per i produttori di smart device, che potrebbero includere obblighi di trasparenza più stringenti. Il problema riguarda soprattutto i produttori esteri, che spesso eludono facilmente normative locali e garantiscono poco riguardo ai tempi di aggiornamento e supporto per la sicurezza.
Nel frattempo, gli esperti di Which? offrono alcuni suggerimenti pratici per limitare l’invadenza dei dispositivi. Tra questi vi sono: negare permessi eccessivi (come l’accesso al microfono), limitare l’uso della posizione ai soli servizi essenziali, e consultare sempre le informative sulla privacy per capire i propri diritti. Utile anche l’attivazione di modalità come il “Guest Mode” per Google Assistant, che impedisce la registrazione e l’utilizzo dei dati vocali.
Harry Rose, editore di Which?, sottolinea che “le aziende tecnologiche devono fornire maggiore trasparenza e considerare la privacy degli utenti una priorità”, e auspica che l’ICO introduca un codice effettivamente applicabile a livello internazionale, vista la diffusione globale dei dispositivi smart. L’indagine di Which? invita quindi a riflettere su un nuovo scenario digitale in cui tecnologia e sicurezza personale devono trovare un equilibrio. La tecnologia smart rappresenta senza dubbio un’opportunità di innovazione, ma anche una responsabilità per produttori e utenti, che devono imparare a conoscere i propri diritti e a proteggere i dati sensibili.