Mesi fa fa abbiamo iniziato a parlare dell’enorme cast che caratterizza Umineko partendo da Natsuhi Ushiromiya, una figura abbastanza rilevante per gli eventi della storia che, con l’andare avanti della novel, ci riserva una sorpresa dopo l’altra, mostrandoci sempre meglio il suo essere e i suoi saldi valori. Natsuhi è la perfetta dimostrazione di come i personaggi “adulti” di Umineko si evolvano meno rispetto ai più giovani e di come, piuttosto, il loro sia un percorso di indagine e di scoperta continua. Eva, da questo punto di vista, rappresenta l’eccezione alla regola.
Eva è forse l’unico personaggio adulto che nella visual novel di Ryukishi cresce nel corso dei suoi otto episodi, impara e cambia radicalmente, mostrandoci da un lato nuovi tratti del suo essere come per gli altri “adulti” della storia, e dall’altra riuscendo (o provando, almeno) a migliorare se stessa e a fronteggiare i suoi lati peggiori, qualcosa che né Rosa né Kyrie riescono a fare fino alla fine e che Natsuhi fa in modo molto, molto diverso.
Già nel corso della lettura mi sono chiesta più volte il perché e ho cercato di capire cosa avesse Eva di diverso rispetto a tutti gli altri, ma alla fine ho capito che la risposta a questa domanda era sotto i nostri occhi già nel Question Arc, e in particolare in Episodio 3: è la presenza di Eva Beatrice.
Eva Beatrice non è nient’altro che la manifestazione di ciò che Eva è realmente dentro di sé, ossia una ragazzina ancora fin troppo legata alle paure, ai traumi e alle insicurezze, completamente incapace di crescere. Se la sorella minore Rosa fa di tutto per scappare dai suoi traumi reagendo con rifiuto ed aggressività nei confronti di tutto ciò che la circonda, Eva non riesce a fare lo stesso, cercando invece di nascondersi dietro inutili meccanismi di coping per provare a cancellare ciò che non vuole vedere.
L’amore di Hideyoshi è solo un modo tramite cui Eva si illude di poter andare avanti, di poter stare bene quando purtroppo non è così. Purtroppo, la realtà non funziona come l’Ushiromiya desidera e i traumi del passato sono molto, molto più complessi ed opprimenti di quanto lei stessa vorrebbe riconoscere.
Eva era una ragazzina sin troppo indipendente per la famiglia in cui è nata. Troppo ambiziosa per il suo anno di nascita, troppo maschiaccio per un padre che avrebbe voluto solo vedere la sua prima figlia femmina sposarsi e avere dei figli con un buon partito in grado di migliorare ulteriormente la condizione sociale della famiglia. Eva, invece, era completamente diversa dalla brava figlia femmina che desiderava Kinzo.
Eva, malgrado la volontà del padre, è sempre stata una donna ambiziosa ed indipendente, una ragazza a cui non interessava cucinare, cucire, né fare le faccende domestiche: lei desiderava invece occuparsi degli affari di famiglia. Non le interessava trovare un buon marito in grado di supportare lo status degli Ushiromiya: voleva essere lei stessa in prima linea a far crescere e portare in alto il buon nome della famiglia.
Nascere non solo per seconda, ma anche femmina è stato il primo, enorme smacco che la vita le ha riservato, perché è innegabile che in Eva sia presente da una parte una forte invidia nei confronti dei “privilegi” del fratello maggiore, mista a una pesante misoginia, scaturita forse in risposta al modo in cui è stata cresciuta. Tutto ciò l’ha portata, come ci dice Hideyoshi all’inizio di Episodio 3, a rimpiangere il genere con cui è nata.
Anche se adesso è sposata ed è felice, anche se ha un marito e un figlio, una parte di Eva non ha mai dimenticato il sogno che possedeva da ragazza e non ha mai superato il non essere riuscita a realizzarlo, tanto che lo proietta continuamente sul figlio che ha cresciuto per essere un perfetto uomo d’affari, quel capofamiglia ideale che lei non ha mai avuto occasione di diventare, programmando meticolosamente ogni aspetto della sua vita sin dal suo primo respiro.
L’aspetto più complesso del personaggio è proprio come si relaziona a Eva Beatrice, che meta-narrativamente parlando è quella parte infantile, senza freni, piena solo di odio che sfoga cercando di affermare il suo io a scapito di tutto ciò che la circonda. Eva Beatrice non è altro che Eva Ushiromiya rimasta da sola con se stessa: senza Hideyoshi, senza George, senza le persone che desidera proteggere e per le quali cerca di essere migliore ogni giorno, Eva è solo i suoi istinti di rivalsa, il suo rancore e le proprie catene. E, in questo senso, possiamo tranquillamente affermare che lei stessa vive questa dualità come se fosse tenuta in catene da nessun altro se non se stessa.
Eva detesta questa parte di sé: non l’ha mai amata, non l’ha mai desiderata e ha fatto di tutto per metterla a tacere, per seppellirla nell’angolo più remoto della sua mente e dimenticarla completamente, fingendo che non fosse mai esistita per continuare la vita che conduce adesso, molto diversa da quella che aveva sognato ma che, lei lo sa, ormai non baratterebbe per nulla al mondo, neppure per tutto l’oro degli Ushiromiya.
Quello con se stessa è un rapporto sofferto, tormentato, da cui non sa come uscire. Ogni volta che prova ad andare avanti qualcosa la tira sempre indietro come se fossero delle catene, come se fosse la tela di un ragno, ed Eva stessa rappresenta il ragno, vivendo intrappolata nella sua ragnatela che ha costruito lei stessa, filamento per filamento. E vorrebbe davvero, davvero tanto uscirne, scappare, aggrapparsi a qualsiasi cosa la possa aiutare ad andare finalmente oltre e stare bene ma, per un motivo o per un altro, non ci riesce mai.
Come tutto il cast di Umineko, anche se ognuno a modo suo, anche Eva è un personaggio drammatico e tragico. Ed è, nonostante la meta-narrativa costruita da Ryukishi ci tenga a collegarla al mondo magico più di tutti gli altri personaggi adulti, uno dei personaggi più realisticamente tragici presenti nell’opera, e a pensarci forse è proprio per questo che l’autore ne rafforza così tanto il legame con la magia e le streghe: Eva è una persona qualunque, schiava di se stessa che vorrebbe riuscire a cambiare, a migliorare, a fuggire dai suoi demoni e stare meglio, ma che non sa come fare. Non lo ha mai saputo, perché nessuno le ha dato gli strumenti giusti.
La famiglia, lungi dal darle l’amore e il supporto di cui aveva bisogno, l’ha cresciuta nel rancore, nell’invidia, facendo nascere in lei soltanto l’istinto a prevaricare gli altri e una forte misoginia che sfoga nelle persone attorno a sé lasciandole più ferite che strumenti per crescere. Persino Hideyoshi, l’uomo che non è per nulla esagerato dire le abbia cambiato la vita, nonostante cerchi in tutti i modi di supportarla, di essere la sua roccia e il suo sostegno di fronte a tutti fallisce nella cosa più importante: insegnarle a stare bene, e a stare bene anche da sola.
Eva è un personaggio che ci ha provato. Ha provato ad essere degna di succedere come capofamiglia degli Ushiromiya, ad essere una buona madre per George e a restituire almeno in minima parte ad Hideyoshi tutto ciò che lui le ha donato, a salvare dalla solitudine la nipotina Ange e a proteggerla dal dolore. Ci ha provato, ci ha provato con tutta se stessa, ma ha comunque fallito in molte, moltissime cose.
Eva è destinata, anzi condannata a provarci senza mai riuscire davvero. Questa è la maledizione che si porta dietro sin da quando è ragazzina, punizione forse per non essere riuscita a lasciar andare un’ambizione troppo grande per lei.
Ma Eva ci ha comunque provato. E ciò che, alla fine, rimane veramente, veramente importante è proprio questo: Eva Ushiromiya ha vissuto una vita di tentativi, provando e riprovando a far funzionare le cose, spesso fallendo, ma provandoci ugualmente nonostante questo sforzo spesso non fosse neppure riconosciuto. E muore nel rimpianto di chi non riesce a portare a termine davvero quasi nessuno dei suoi obiettivi, in una vita di rimpianti, colma di difetti, costretta a subire solo biasimo e sguardi d’odio da chi le stava intorno.
L’esistenza di Eva Beatrice, lungi dal rappresentare un altro personaggio o un lato di lei che dovremo ignorare, ci ricorda proprio dell’esistenza di questo suo lato: del lato rancoroso, sì, ma anche quello che nascondeva i fallimenti e la sofferenza dei lutti dietro uno scudo di aggressività, di odio e di indifferenza. È la parte di Eva che, rimasta sola e respinta da tutti, rinuncia a provare ad essere migliore e cede all’immagine distorta che di lei hanno tutti coloro che l’hanno odiata.
Il finale perfetto di Eva, da questo punto di vista, è proprio riuscire. L’ultimo episodio dell’Answer Arc di Umineko non è solo una storia d’amore o un tributo ai lettori, un regalo a chi nel corso delle cento e oltre ore dell’opera aveva cercato di continuare a guardare il tutto con amore nonostante tutto, ma è anche il momento in cui Eva, finalmente, conquista qualcosa: abbraccia Ange. Abbraccia Ange, chiedendole scusa e dandole una speranza.
Abbraccia Ange, riuscendo a sistemare uno, almeno uno, dei più grandi errori che si era lasciata dietro nel corso della sua vita. E questo, al di là degli sbagli o forse proprio in virtù di quegli stessi sbagli, è il suo finale felice.