Negli scorsi giorni il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato il Green Deal, la normativa politica comunitaria incentrata sul progressivo ripristino della natura nel territorio dell’Unione. L’Italia, insieme ad altri Paesi membri, ha deciso di votare contro il regolamento.
Sembra che i motivi alla base di questa opposizione siano riconducibili agli ampi margini di miglioramento del testo adottato, specie in materia di costi amministrativi per il funzionamento del regolamento, sia in materia di oneri economici gravanti in capo agli operatori del settore agricolo.
L’Unione Europea adotta il Green Deal: il primo regolamento a tutela della natura
La votazione, tenutasi lo scorso 17 giugno, ha avuto esito favorevole: gli unici Paesi contrari alla nuova normativa sono stati, oltre all’Italia, la Finlandia, l’Olanda, la Polonia, la Svezia e l’Ungheria, mentre il Belgio è stato l’unico Stato ad astenersi. È risultato decisivo il ripensamento dell’Austria che, dopo un iniziale voto contrario, ha permesso alla mozione di essere adottata dall’organo dell’Unione Europea.
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Il regolamento così approvato è stato proposto dalla Commissione Europea ormai quasi due anni fa, il 22 giugno 2022, ed immediatamente è finito al centro del dibattito politico internazionale. La Commissione ha avvalorato la sua proposta legislativa mostrando alcuni studi dai quali emerge come oltre l’80% degli habitat europei fosse in cattivo stato.
L’obiettivo del Green Deal non è contrastare gli effetti del cambiamento climatico, in accordo con quanto già visto negli accordi sul clima di Parigi o durante la COP15, ma è anche tutelare la biodiversità degli ecosistemi europei, la sicurezza alimentare e quella economica.
A tal fine, la normativa impone una serrata attività di ripristino della natura, con l’obbligo di ripristinare almeno il 20% delle aree terresti e marittime del territorio dell’Unione Europea entro il 2030 e il quasi completo ripristino degli habitat dei Paesi membri entro il 2050.
Cosa prevede il nuovo Green Deal europeo
Secondo il testo approvato, il Green Deal configura gli obblighi gravanti in capo agli Stati membri in baso allo stato degli ecosistemi da ripristinare: la regola generale prevede il ripristino di almeno il 20% delle aree naturali, soglia che si eleva al 30% qualora gli habitat in oggetto siano particolarmente degradati.
In ogni caso, il regolamento stabilisce che, entro il 2040 almeno il 60% degli ecosistemi sia ripristinato ed entro il 2050 almeno il 90% di questi.
Ma non è finita qui, il testo normativo comunitario prevede anche il ripristino delle cosiddette torbiere, in breve le paludi. Su questo punto, però, è prevista una maggiore flessibilità, l’obbligo in questo caso è quello di ripristinare il 30% delle paludi bonificate per uso agricolo entro il 2030, il 40% entro il 2040 e il 50% entro il 2050.
Sono previste soglie minori di territori agricoli da allagare per i Paesi membri a cui risulterà più gravoso l’obiettivo.
Il Green Deal contiene delle norme volte a monitorare lo stato di salute degli ecosistemi. Infatti, stando alla normativa un ambiente naturale s’intende in buona salute quando si verificano almeno 2 eventi tra: un aumento degli insetti impollinatori o delle farfalle autoctone, una elevata diversità del paesaggio su una data percentuale agricola e uno stock di carbonio organico nei terreni minerali coltivati.
Anche gli ambienti cittadini rientrano nelle previsioni del regolamento, una norma fa divieto di ridurre lo spazio verde netto la copertura offerta dalle chiome degli alberi nelle aree urbane (almeno fino al 2030).
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