Nella ricerca scientifica gli imprevisti possono capitare, anche in esperimenti che si pensava fossero già stati un successo. Questo è quello che l’azienda Neuralink di Elon Musk ha vissuto negli ultimi giorni, quando è stato registrato il primo malfunzionamento del chip piantato nel cervello del primo paziente umano, che pochi mesi fa avevamo visto giocare a Civilization IV con il pensiero.
Il malfunzionamento del chip di Neuralink
La notizia è stata riportata prima dal The Wall Street Journal, con Neuralink che ha dovuto confermare tutto poco dopo. Il tutto risale alla fine di febbraio, quando il chip ha riscontrato un problema di funzionamento dovuto al disallineamento di alcuni dei sottili filamenti che monitorano l’attività neuronale nel cervello del paziente. Le cause di questo spostamento non sono ancora chiare, ma secondo una fonte vicina al WSJ è stato causato dall’aria rimasta intrappolata all’interno del cranio in seguito all’operazione (condizione che prende il nome di pneumacefalo).
Lo spostamento aveva ridotto la velocità della trasmissione dei dati BPS – ossia i dati che determinano la precisione e la rapidità con cui si può controllare il cursore del computer – e nei primi momenti l’azienda di Musk aveva valutato persino di rimuovere il chip. Ha trovato però un’altra soluzione: ha modificato l’algoritmo di decodifica dei dati, riuscendo a portare tutto a com’era prima, ad aumentare le capacità di traduzione dei segnali in azioni e a potenziare l’interfaccia dell’utente.
Per fortuna la soluzione si è risolta nel migliore dei modi, in quanto il paziente non sembra aver riscontrato nessun problema di saluto dovuto al malfunzionamento del chip. Come detto all’inizio dell’articolo, gli imprevisti possono capitare, e di certo questo caso renderà i dipendenti dell’azienda molto più attenti nelle prossime operazioni (pensate che quest’anno ne saranno fatte ben 10).
Non bisogna poi ignorare il fatto che il chip di Neuralink sia un dispositivo davvero molto complesso, in quanto composto da 64 filamenti flessibili (che sono molto più sottili di un capello umano) che trasportano continuamente 1.024 elettrodi che servono per rilevare l’attività cerebrale.
Questi filamenti vengono posti in delle zone di interesse del cervello umano, in modo che possano captarne i segnali e poi tradurli nelle azioni che vorrebbe compiere il paziente. Per fare le operazioni in maniera precisa viene utilizzato un apposito robot chirurgo di proprietà dell’azienda.