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Secondo uno studio, i Pokémon influenzerebbero un’area specifica del nostro cervello

Creato nel 1996 da Satoshi Tajiri a partire dai due videogiochi per Game Boy Pocket Monsters Aka e Pocket Monsters Midori, quello dei Pokémon rappresenta uno dei media franchise più redditizi al mondo. Grazie anche ai numerosi prodotti collaterali, come anime, film e merchandise di varia natura, i Pokémon fanno ormai parte dell’immaginario collettivo globale e, come tutti i fenomeni di portata planetaria, è stato lungamente studiato da molti punti di vista.

Nel 2023 è infatti stato pubblicato sul Journal of Medical Internet Research uno studio cinese volto ad analizzare l’impatto di Pokémon Go sull’attività fisica e il benessere psicosociale nei bambini e negli adolescenti. I cambiamenti comportamentali legati alla fruizione dei videogiochi del brand sono stati presi in esame nel 2018 in un testo apparso sul Journal of Emergencies, Trauma, and Shock.

Fra i tanti però, il più interessante è forse lo studio del 2019 pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour facente parte della galassia delle pubblicazioni collegate a Nature, intitolato Extensive childhood experience with Pokémon suggests eccentricity drives organization of visual cortex. Grazie a questo lavoro, a firma del professore di Neuroscienze di Princeton Jesse Gomez, del neurologo di Sydney Michael Barnett e della professoressa di Psicologia di Stanford Kalanit Grill-Spector, gli sperimentatori sono giunti alla conclusione che vedere un determinato oggetto durante l’infanzia fino all’età scolare influenza lo sviluppo del nostro cervello e un’ampia esperienza visiva comune nell’infanzia porta a una rappresentazione comune con una topografia funzionale coerente nel cervello degli adulti.

Pokémon

Gomez e colleghi hanno testato 22 partecipanti con un’età compresa tra 18 e 44 anni divisi in due gruppi, Partecipanti Esperti e Partecipanti Principianti. I membri del primo gruppo avevano iniziato a giocare ai giochi Nintendo Pokémon originali tra i 5 e gli 8 anni sul dispositivo portatile Game Boy, hanno continuato a giocare durante tutta la loro infanzia fino all’età adulta o hanno ripreso il gioco almeno una volta in età adulta. I membri del secondo gruppo non avevano mai giocato ai Pokémon e in ogni caso avevano avuto poca o nessuna interazione con i Pokémon nella loro incarnazione videoludica.

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I soggetti studiati, in autonomia, sono stati sottoposti a Risonanza Magnetica Funzionale, un tipo particolare di Risonanza Magnetica che viene utilizzata, in ambito neuroradiologico, per rilevare quali aree cerebrali si attivano durante l’esecuzione di un compito che al soggetto è richiesto di eseguire. Durante il test ai soggetti sono state mostrate otto diverse categorie di immagini su schermo, vale a dire: volti, corpi senza testa, Pokémon a 8 bit del gioco originale Nintendo, animali, personaggi dei cartoni animati della televisione della fine degli anni ‘90 e dell’inizio degli anni 2000, pseudoparole, automobili e corridoi.

Gli animali (inclusi gli insetti) sono stati scelti come categoria di stimolo animato molto simile ai Pokémon, poiché la maggior parte dei personaggi Pokémon sono stati progettati per assomigliare ad animali o insetti. I cartoni animati sono stati scelti perché rappresentano un’altra categoria animata che si presumeva fosse stata esperita da entrambi i gruppi prevalentemente durante l’infanzia e che fosse in qualche modo riconoscibile da entrambi i gruppi.

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Esaminando le rappresentazioni corticali negli adulti che hanno avuto esperienza visiva con una specifica categoria visiva artificiale fin dall’infanzia, gli sperimentatori hanno scoperto che i Partecipanti Esperti dimostravano modelli di risposta corticale agli stimoli visivi coerenti tra tutti i partecipanti appartenenti al primo gruppo, con un’attività importante in un’area della Circonvoluzione temporale inferiore (l’area del nostro cervello responsabile dell’elaborazione e riconoscimento di ciò che vediamo) laterale all’area corticale specifica per i volti che non era selettivamente stimolata nei Partecipanti Principianti.

Insomma, a differenza di quanto si potrebbe pensare, l’area selettiva per i Pokémon non sembrerebbe sovrapporsi né all’area selettiva per gli animali né a quella selettiva per l’animazione percepita: i Pokémon come oggetto percepito varierebbero quindi da altri stimoli visivi (come animali, insetti, volti, cartoni animati generici) nelle loro proprietà fisiche, rappresentando un’esperienza visiva sufficientemente strutturata perché questo input si traduca in una selettività di categoria percettiva.

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Da un punto di vista scientifico l’aspetto più rilevante di questo studio è la scoperta che l’esperienza visiva della prima infanzia modella l’architettura funzionale della corteccia visiva. I dati raccolti suggeriscono quindi che un’esperienza prolungata a partire dall’infanzia può portare all’emergere di una rappresentazione cerebrale per una nuova categoria di oggetti destinandole in un certo senso un’area cerebrale apposita, strutturata e comune. Altri studi sono in corso per cercare di comprendere meglio questi meccanismi e le caratteristiche semantiche legate alla “creazione di una nuova area”. Non resta che continuare a esplorare il nostro cervello, proprio come farebbe un Allenatore Pokémon in viaggio.

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Manuel Crispo

Manuel Crispo

Medico, vive e lavora a Siena. Scrive un po' di tutto. "La lettura è piacere e gioia di essere vivo o tristezza di essere vivo e soprattutto è conoscenza e domande".

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