Nel 2016 Apple era finita sotto accusa per il cosiddetto “batterygate“, uno scandalo riguardante l’obsolescenza programmata degli iPhone 6. Dopo otto anni di battaglie legali e ricorsi in tribunale, negli ultimi giorni il gigante tech ha finalmente iniziato a pagare i risarcimenti dovuti ai consumatori.
Nonostante Apple avesse accettato di pagare 500 milioni di dollari già nel 2020, gli assegni non erano mai partiti a causa dei numerosi ricorsi presentati alle Corti di Appello statunitensi. Nel novembre 2023 l’ultimo ricorso è stato respinto, e la mela morsicata si è vista costretta a versare i primi risarcimenti, che secondo le recenti segnalazioni dei litiganti ammontano a 92,17 dollari (contro i 25 che ci si aspettava).
Ancora oggi Apple sostiene di non aver violato alcuna legge, e sebbene si sia scusata ufficialmente per gli “errori nella comunicazione con il consumatore“, l’azienda ci tiene a specificare che non si sente dalla parte del torto, aggiungendo di aver accettato di pagare i danni al pubblico solo per “evitare un fastidioso e costoso procedimento legale”.
La verità sul batterygate di Apple
La causa intentata dai molti consumatori inferociti non verteva sulle batterie al Litio in quanto tali, che indipendentemente dallo smartphone sono dotate di una “vita massima” relativamente corta. Il vero problema stava nella soluzione applicata da Apple, che provò ad aggiustare un difetto hardware con un frustrante rimedio lato software di cui molti utilizzatori avrebbero volentieri fatto a meno.
Come fu scoperto dagli utenti stessi, negli aggiornamenti di iOS erano “nascoste” delle righe di codice che rallentavano le prestazioni degli smartphone iPhone 6 (ma anche 7 e 7 Plus). Secondo Apple queste limitazioni della CPU (throttling) servivano ad allentare il carico sulle batterie più vecchie, posticipando l’inevitabile momento in cui telefono si sarebbe spento per sempre.
Le intenzioni dichiarate erano quindi quelle di allungare la vita utile degli smartphone Apple, ma i consumatori ci videro un tentativo di spingere i possessori di iPhone ad acquistare i nuovi modelli rendendo quelli attuali talmente lenti da risultare inutilizzabili.
Tra le rivendicazioni dei consumatori c’era la possibilità di disattivare il throttling, fenomeno che secondo molti si attivava fin troppo precocemente e facendo riferimento a stime grossolane o incorrette. Altri utenti lamentavano che, anche dopo aver sostituito la batteria (talvolta un’impresa in sé a causa dei centri di riparazione indisponenti), il throttling non si disattivava, suggerendo che le limitazioni delle prestazioni sarebbero potute essere legate all’età del dispositivo piuttosto che all’effettiva salute della batteria.
Il futuro
Che si trattasse di accuse legittime o meno, Apple ha preferito elargire i risarcimenti piuttosto che chiarire la faccenda in tribunale. Il rallentamento delle prestazioni è ancora presente sui nuovi modelli iPhone, ma a partire da iOS 11.3 è possibile disattivare il throttling dalle impostazioni — una feature che è costata molto sia agli utenti che a Apple.
Se vi siete sentiti danneggiati dal rallentamento del vostro iPhone e sentite di aver diritto anche voi a dei succosi risarcimenti, ci dispiace avvisarvi che è troppo tardi per iscriversi alla lista: il termine ultimo era nel 2020.
Eppure le battaglie legali per la mela morsicata non sono ancora finite: la class action degli utenti britanici, che lamentarono un rallentamento effettivo del 58% su iPhone 8 (contro un tetto teorico del 10%) è ancora in corso, e l’azienda timonata da Tim Cook, stavolta, non sembra voler cedere alle richieste di indennizzo. E la lista completa delle cause aperte contro Apple è ancora molto lunga.