Negli ultimi giorni è stato finalmente messo un punto a una questione che è rimasta in sospeso già da diversi anni. È infatti dal 2020 che Google è alle prese con una class-action da 5 miliardi di dollari che accusa il colosso del web di raccogliere dati indebitamente durante l’utilizzo della modalità Incognito.
La modalità Incognito dovrebbe consentire agli utenti di effettuare ricerche e visitare siti Web senza che i dati vengano salvati nel browser. Ma, secondo i sostenitori della class-action, ciò non sarebbe del tutto vero. Il colosso del web infatti, nonostante l’utilizzo di questa modalità, avrebbe continuato a salvare dati sulle ricerche e a utilizzarli per proporre agli utenti pubblicità personalizzate. Questo procedimento, comunemente utilizzato durante le nostre ricerche quotidiane, viene in questo caso considerato ingannevole perché applicato su utenti convinti di essere “invisibili” grazie alla modalità Incognito.
Inizialmente, Google aveva annunciato di voler combattere strenuamente per la propria innocenza. Il colosso del web sosteneva che l’accusa non sussistesse per via della dicitura “La tua attività potrebbe comunque essere visibile ai siti web visitati” presente ogni volta che si apre una nuova pagina di navigazione in incognito. Tuttavia, ora sembra che abbia deciso di fare marcia indietro e negli ultimi giorni ha annunciato di voler patteggiare, così da chiudere definitivamente la questione.
Quanto dovrà pagare ora Google?
Durante il mese di agosto 2023, la giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha decretato che il caso avrebbe effettivamente avuto seguito e criticato il colosso del web per la raccolta dei dati degli utenti in modalità incognito, salvandoli peraltro nei “medesimi log” della modalità standard. La società ha inseguito annunciato di voler patteggiare, anche se non è ancora stato stabilito in cosa consisterà l’accordo.
Il patteggiamento verrà infatti presentato al tribunale verso la fine di gennaio 2024 e verrà approvato entro febbraio. Recentemente Google ha annunciato di essere impegnata nella protezione dei dati degli utenti e di essere sempre al lavoro “per migliorare le proprie pratiche sulla privacy”. E probabilmente la scelta di mettere un punto a questa questione è nata proprio per dare un segnale in questa direzione e dimostrare agli utenti la propria trasparenza nell’utilizzo dei dati privati.