Per quanto il mondo di anime e manga sia in continua crescita nel mercato occidentale, vi è sempre un alone di mistero legato al come essi funzionino realmente, a quali siano le leggi non scritte dietro l’industria e a quali siano i numeri e valori di quest’ultima.
Raramente le compagnie giapponesi fanno quel passo in più per offrire una maggiore chiarezza dietro al proprio operato e quindi gli appassionati si ritrovano spesso a dover dare per assodate delle informazioni che possono risultare alquanto imprecise.
Ieri, 29 Ottobre 2023, il media giapponese Gigazine ha pubblicato un resoconto di un’intervista fatta tempo addietro al produttore Kazuya Masumoto sulle problematiche dell’industria degli anime. Masumoto è uno degli anime producer più rinomati in Giappone avendo lavorato a diversi progetti sia dell’ormai defunta Gainax che di Studio Trigger (Tengen Toppa Gurren Lagann, Kill la Kill, Panty&Stocking with Garterbelt, SSSS.Gridman e molto altro ancora).
Masumoto è sempre stato in prima linea nel “denunciare” le problematiche del mondo dell’animazione, ancora prima che la pandemia di Covid-19 iniziasse a compromettere le produzioni ed ancora prima che l’apporto degli animatori internazionali si rivelasse così necessario. Il suo discorso cerca di fornire un’analisi del mercato per trovare una soluzione che sia sostenibile sia per piani alti che per gli animatori, più in basso nella piramide sociale dell’industria.
I numeri dell’industria degli anime
Del lungo discorso di Masumoto abbiamo deciso di estrarre solo alcune delle più rilevanti dichiarazioni, partendo quindi dai numeri che sorreggono un anime.
Il produttore sottolinea come 10 anni fa il budget per la realizzazione di un episodio televisivo si aggirava attorno ai 15 milioni di yen (circa €95.000).
Oggigiorno, tuttavia, si parla di cifre attorno ai 25-30 milioni di yen (circa €160.000/190.000) per le produzioni “standard”, arrivando addirittura a 50-60 milioni (circa €310.000/380.000) per quelle più prestigiose/importanti. Per un normale anime da 12 puntate ci vogliono quindi ben oltre 1 milione di Euro.
Larga parte di questo incremento è da attribuire in primis all’inflazione fuori controllo che ha afflitto il Giappone a metà dello scorso decennio in seguito (ma non solo) all’incidente nucleare di Fukushima nel 2011 e all’approdo nel mercato dell’animazione delle piattaforme di streaming come Netflix, Crunchyroll e via discorrendo. Nonostante ciò, Masumoto sottolinea che tali cifre raramente bastano a coprire interamente i costi di una produzione, dato che sovente all’interno di esse vi possono essere numerose variabili ed incidenti di percorso e che, in generale, anche i costi di esse sono mediamente aumentati.
La complicata relazione con Netflix e le altre piattaforme
Soffermandosi sul discorso riguardante Netflix, Masumoto ha ribadito a più riprese come oramai anche all’interno dei comitati di produzione sia ben chiara la dimensione internazionale degli anime, e con tale consapevolezza ci si approccia alla realizzazione e alla distribuzione degli stessi.
Oltreoceano nei ’90 la pirateria era dominante visti gli alti costi di import-export dei supporti fisici, i quali facevano lievitare i prezzi e finivano per danneggiare gravemente gli introiti di un franchise; ora, grazie allo streaming, la problematica della pirateria è diminuita (seppur rimanendo un tasto molto dolente).
Egli, tuttavia, rimarca come l’apertura al pubblico ed al mercato internazionale sia più complicata e ardua di quanto si possa pensare. Masumoto, nello specifico, ha esperienza diretta nel negoziare con Netflix grazie a Cyberpunk Edgerunners e ci tiene a ribadire quanto sia complesso contrattare e stabilire partnership con queste compagnie occidentali a causa della barriera linguistica, culturale ed economica.
Il problema principale ha a che fare con le schedule, poiché piattaforme come Netflix si aspettano che i lavori vengano completati e consegnati in anticipo, fino ad addirittura 3 mesi prima della messa in onda, così da poter organizzare meglio le campagne marketing.
In teoria DOVREBBE funzionare alla stessa maniera in Giappone, ma in realtà non accade quasi mai: Masumoto menziona come alcuni episodi, per esempio, di Panty & Stocking siano stati consegnati 1 giorno prima della trasmissione.
Tecnicamente si sarebbe trattata di violazione del contratto, ma essendo una ricorrenza diffusa per diversi progetti Trigger se la cavò senza troppi problemi; se ciò accadesse con Netflix, Trigger dovrebbe pagare una grossa multa a causa della violazione del contratto. Ciò forza gli studi d’animazioni ad approcci e tempistiche spesso aliene alle proprie abitudini, rischiando di fatto di complicare e peggiorare le condizioni del lavoro invece che migliorarle.
Le problematiche dell’industria degli anime
Il discorso prosegue basandosi su di un report riguardante l’industria degli anime svolto da Teitoku Data Bank.
Masumoto sottolinea l’esistenza di una polarizzazione tra le grandi aziende “redditizie” e quelle “non redditizie”. Come già riportato nell’indagine del 2022, circa 1/3 degli studi operano in perdita. Ciò è ovviamente preoccupante e Masumoto ipotizza che in futuro potremmo vedere più fusioni tra le varie società per evitare il rischio di bancarotta. Ciò comporterebbe la formazione di grossissimi agglomerati che catalizzano una spropositata mole di lavori all’interno della propria orbita.
I grandi studi d’animazione che diventano ancora più grandi potrebbe essere una soluzione a medio termine, ma dietro l’angolo vi sarebbe il rischio di creare un’industria oligarchica che arricchirebbe i ricchi senza portare benefici ai “poveri”, dato che questi agglomerati sarebbero talmente dominanti da poter fare il bello ed il cattivo tempo secondo i propri interessi.
L’aumento del budget ha effetti anche sulla produzione complessiva: gli adattamenti e trasposizioni sono sempre più favoriti perché rappresentano un investimento più sicuro. D’altro canto siamo in un periodo molto buio per i progetti originali, perché nessuno vuole investire così tanti soldi in produzioni così rischiose. Ciò ovviamente premia la quantità a discapito della qualità e la catena di montaggio a discapito della fantasia.
Insieme ai budget sono aumentati anche gli stipendi. Masumoto sostiene che gli stipendi degli animatori siano raddoppiati (rispetto a quando?). Questo comunque non conferma che gli stipendi siano aumentati di pari passo con l’inflazione, quindi è più che probabile che lo stipendio medio di un animatore sia rimasto comunque non adeguato al costo della vita in Giappone.
L’aumento degli stipendi tuttavia non risolve il problema della mancanza di personale: sebbene gli studi stiano reclutando sempre più animatori interni, ci vuole troppo tempo per formare nuovi artisti quando il numero complessivo di produzioni continua ad aumentare di anno in anno.
Masumoto ha quindi insistito sulla necessità di uno “sviluppo delle risorse umane”: più personale interno, più formazione. Ha guidato tali sforzi in Trigger, ma menziona anche altri studi che hanno creato le proprie scuole per preparare le nuove leve al futuro mercato degli anime.
In sintesi, anche se Masumoto non si tira indietro nell’affrontare alcuni dei maggiori problemi dell’industria degli anime, nel complesso è piuttosto positivo. Come sostiene, l’industria degli anime in questo momento non è né completamente nera né completamente bianca: sta solo diventando progressivamente più bianca. Speriamo solo che il tempo gli dia ragione e che altre questioni urgenti come il nuovo sistema di fatturazione non fermino completamente qualunque progresso possa verificarsi.
Fonti: FullFrontal