A quattro anni da Remnant: From the Ashes, Gunfire Games ritorna nel multiverso post-apocalittico dominato dal Root con Remnant 2, Action-RPG che strizza l’occhio al filone soulslike, pubblicato da Gearbox Publishing.
Sarà riuscito lo sviluppatore texano ad affinare la formula di gioco sorprendente del primo capitolo – grazie al sapiente mix tra elementi della tradizione ruolistica made in From Software e meccaniche da Third-Person Loot-Shooter – o si sarà arenato come i tanti progetti che, avendo basato le loro fortune sulle intuizioni di Miyazaki & co, non hanno saputo rinnovarsi con sequel all’altezza? Scopritelo all’interno della nostra recensione!
Buoni spunti al vento
Il titolo, come anticipato, è ambientato in una Terra post-apocalittica, in cui l’umanità è stata decimata e soggiogata da una forza a metà tra il multiversale e il sovrannaturale chiamata Root. Il giocatore assume il ruolo di un sopravvissuto che, suo malgrado e attraverso un incontro fortuito, si ritrova nel bel mezzo di una piccola lotta di potere interna all’ultimo baluardo dell’umanità: il Ward 13.
L’avventura ha inizio proprio in questo distretto, che rappresenta – in termini videoludici – il più classico degli hub centrali. È qui che il protagonista entra in contatto con il portale noto come Pietra del Mondo, che gli concede l’accessoa universi diversi dal suo, trasportandolo in lande inospitali, alla ricerca di qualcuno. In totale, il nostro si ritroverà a disposizione cinque diversi universi esplorabili, location di mastodontiche proporzioni che incorporano a loro volta diverse aree e biomi.
Se questo incipit poteva essere foriero di scelte narrative interessanti e persino inusuali, purtroppo in Remnant 2 resta tutto estremamente superficiale, trasformandosi ben presto nel classico racconto del Prescelto che è costretto – o quasi – a mettersi a disposizione del bene comune per portare a casa il risultato per tutti.
La storia principale, alla fine, si dilata e si annacqua, fino a perdersi del tutto tra gli sparuti ed ermetici dialoghi che il nostro PG si trova ad affrontare negli universi visitati, che più che emulare quelli misteriosi ed enigmatici intrattenuti con gli NPC di soulsiana memoria, sembrano quasi farne il verso, come a ricalcarne l’aspetto grottesco più che quello funzionale.
Git Gun
Accantonato e digerito il fatto che la narrativa rappresenta persino meno di un mero contorno per l’offerta di Remnant 2, ben poche delusioni riserva il “piatto forte annunciato” del titolo, ovvero il suo combat system.
La succitata miscela tra elementi di combattimento – melee e shooting – in terza persona e la gestione di inventario, risorse e stamina à la souls, che ha fatto la fortuna di Gunfire Games all’esordio, resta intatta e viene persino migliorata in questo capitolo.
Il combattimento in Remnant 2 resta impegnativo e gratificante come in passato. I giocatori devono usare le loro abilità e il loro equipaggiamento per sconfiggere i nemici, che variano in dimensioni e forza, con boss particolarmente impegnativi che richiedono attenzione e riflessi pronti per andare al tappeto.
Il lavoro di fino, senza stravolgimenti di sorta, attuato da Gunfire non è quindi teso alla reinvezione della ruota, quanto al perfezionamento di ciò che si è già visto nel capitolo precedente. La scelta iniziale pone il giocatore di fronte a cinque classi – o archetipi – di partenza, ognuna con i propri punti di forza e debolezza; ma non si tratta di un’opzione da intendersi in senso rigido e stringente:
anzi, è proprio il sistema di progressione di Remnant 2 a giustificarne il proverbiale prezzo del biglietto. Un salto evolutivo che consegna nelle nostre mani un titolo in cui ibridare e fondere elementi di più build è possibile e incentivato, lasciando tutto a discrezionalità e fantasia di coloro i quali vi si approcciano.
A spalleggiare il sistema di progressione, permettendo al giocatore di preparare un loadout composto da un’arma principale, una secondaria, una melee e costringendolo a indugiare a fondo su decine e decine di oggetti disponibili per potenziarle c’è un elemento RPG di tutto rispetto.
Quanto all’esplorazione, il mondo di Remnant 2 è vasto e ingarbugliato. I giocatori si ritrovano a visitare una varietà di ambientazioni, tra cui fogne, foreste, deserti, labirinti hi-tech e decrepite città. A tal proposito, tocca parlare più specificatamente dell’elemento procedurale:
la generazione randomica impatta sull’ordine in cui il protagonista si addentra nei cinque universi citati in precedenza, ma non si limita soltanto a ciò. Questa mette il suo malefico zampino anche sulla loro stessa struttura. Come predetto, infatti, ognuna di queste vastissime aree esplorabili si compone di una serie – anche piuttosto nutrita – di dungeon e aree, ciascuno protetto a sua volta da un boss di zona, inestimabili segreti, oggetti unici e qualche riuscito enigma ambientale.
Questo sistema, se da un lato ha il palese difetto di vincolare tanto, forse ‘troppo’ per certi versi, l’ottima progressione di cui si è discusso ad un marcato elemento RNG, dall’altro ha l’enorme pregio di dare a tutti i giocatori la possibilità di vivere un’avventura davvero unica. Sia che si decida di affrontare una nuova campagna da zero – parlando di Replay Value… – che nel confronto con le run intraprese in parallelo dagli amici.
A tal proposito, il multiplayer di Remnant 2 supporta fino a tre giocatori. Affrontare i nemici, esplorare il mondo di gioco e bighellonare per gli universi in compagnia rende l’esperienza decisamente meno ardua. In questo senso, è interessante la presenza delle “avventure”: mini-campagne stand-alone, in cui poter alzare il livello di sfida, da affrontare con gli amici che sfruttano una sola mappa e non intaccano, per così dire, quella principale.
L’U5 non basta
Luci ed ombre per quanto riguarda il level design, comparto nel quale spesso risiedono le maggiori differenze tra le creazioni di From Software e quelle dei propri emuli. Remnant 2, purtroppo, non fa eccezione, proponendo al giocatore alcuni livelli circolari ben fatti, ed altre situazioni in cui stanze tutte uguali si susseguivano senza soluzione di continuità sino allo scontro col mini-boss di turno per l’oggetto unico di turno.
I difetti più evidenti della proposta di Gunfire Games, però, sono ascrivibili soprattutto al comparto tecnico. Pur avendo la palma di primo gioco in assoluto a sfruttare l’Unreal Engine 5, Remnant 2 è un titolo graficamente pressapochista e poco ottimizzato, almeno su PS5 dov’è avvenuta la nostra prova.
Sovente ci siamo ritrovati di fronte a modelli poligonali poco dettagliati e a caricamenti tardivi delle texture. Gli shader di oggetti e location non sono esaltanti e danno l’impressione di posticcio e plasticoso. In generale il colpo d’occhio non è mai pessimo, ma neanche esaltante.
Probabilmente, il giudizio è viziato da una direzione artistica incapace di coadiuvare a dovere il comparto tecnico e a sopperirne le mancanze. L’estetica di boss, nemici base e aree di gioco è spesso derivativa fino al limite della controversia. Quando non lo è, purtroppo, è semplicemente anonima.
In Conclusione…
Remnant 2 è un titolo che fa dannatamente bene ciò che prometteva di fare, ma se riesce ad affinare quelli che erano già punti di forza del suo predecessore, non ha la stessa forza dirompente nel correggerne gli atavici difetti.
Graficamente non è nulla di eccezionale, ma si sa che gli avanguardisti difficilmente sono i migliori esponenti di qualsiasi corrente. Poco male, in ogni caso, perché ciò che abbiamo di fronte è un titolo ludicamente solidissimo, longevo e rigiocabile all’inverosimile – grazie alla croce e delizia della generazione procedurale.