Pochi autori contemporanei hanno saputo evocare nei propri lettori sentimenti intensi e contrastanti come Shintaro Kago. Il suo porsi in posizione eccentrica rispetto a qualunque possibile definizione di mainstream ha fatto sì che potesse navigare sottotraccia per diversi anni, ma era fatale che prima o poi qualcuno si accorgesse di lui.
Per ragioni legate al suo stile peculiare e a una diversa sensibilità, sembra che Shintaro Kago abbia avuto più successo in Europa che in Patria. Nel nostro Paese, ad esempio, la prima edizione di una sua opera risale al 2005 per D/Visual ma, forse a causa dell’infelice titolo di L’enciclopedia delle Kagate, non ebbe il riscontro che avrebbe meritato.
Molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi il nome di Shintaro Kago è conosciuto, tanto amato quanto odiato. Nella prossima edizione di Lucca Comics & Games sarà ospite per Hollow Press, editore che si occupa di pubblicare le sue opere in Italia dal 2015, per presentare il primo volume della sua nuova serie, Parasitic City. Il nome è tutto un programma.
Shintaro Kago, uno sguardo sull’abisso
Sebbene il mondo del fumetto giapponese sia per lo più inquadrato all’interno di percorso industriale che ha fatto del more-of-the-same la propria bandiera, proponendo spesso opere uguali a sé stesse e iscritte all’interno di canoni narrativi ed estetici ben precisi, non si può dire che non esistano spazi per chi cerca strade nuove.
Shintaro Kago, nato a Tokyo nel 1969 (appartiene quindi alla generazione di altri outsider come Atsushi Kaneko, Usamaru Furuya e Hiroaki Samura) ha esordito nel 1988 sulla rivisita Comic Box proponendo diversi one-shot come My beloved Lady e Punctures, opere che già allora mostravano la sua tendenza a mescolare stili e influenze, riflessioni sul corpo umano e sul manga come medium. Da quel momento in poi la sua vena di follia si è fatta sempre più estrema, tanto quanto la sua critica alle convenzioni (nell’arte come nella politica) è diventata più affilata.
Nelle sue opere successive, edite su riviste underground come Comic Flamingo, prosegue su questa strada lastricata di invenzioni grottesche. Come in Shine! La sfera di co-prosperità della Grande Asia Orientale del 1999 in cui riscrive la storia della Seconda Guerra Mondiale immaginando che l’esercito giapponese metta le mani su un meteorite che gigantifica gli esseri viventi di genere femminile: in questo modo il corpo delle donne viene rifunzionalizzato per scopi bellici. Violentate, mutilate, usate per trasportare merci nel proprio utero e a usare le proprie deiezioni come armi, il tutto nel nome dello Spirito Patriottico che Kago critica con una violenza senza precedenti.
Temi analoghi sviluppa in opere successive come La formidabile Invasione Mongola in cui semoventi mani umane giganti chiamate Destrieri Mongoli diventano la punta di diamante di un esercito che cambierà la Storia per sempre, o in Super Conductive Brains Parataxis in cui ancora una volta umani giganti vengono usati per gli scopi più diversi. Mutazioni corporee e riscrittura della storia abbondano anche in altre opere come Corpi Estranei, in cui Shintaro Kago riflette anche sugli spazi, immaginando mura e acquedotti moltiplicarsi a dismisura travalicando i limiti delle vignette stesse.
La critica alla progressiva oggettificazione del corpo è dunque uno degli aspetti più evidenti e consolidati della sua arte, ma non certo l’unico. Oltre il corpo c’è la rappresentazione dello stesso. Il segno, il disegno, il manga con le sue gabbie, i suoi balloon, le sue convenzioni grafiche e narrative.
Così, in Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?, con cui nel 2014 ha vinto il Gran Guinigi, Kago riflette sui luoghi comuni del fumetto stesso; oppure in Harem’s end in cui la critica è più a fuoco sugli stilemi del manga shonen. La metanarrazione, indubbio punto di arrivo (o di partenza? la circolarità è d’obbligo quando si parla di Kago) della sua arte la ritroviamo anche nel pregevole Fraction.
A farla da padrone in altri prodotti come La principessa del castello senza fine (ambientata in epoca feudale, in un castello che per qualche motivo inizia a sdoppiarsi e moltiplicarsi sino a raggiungere dimensioni impossibili) è il combinatorio, la resa materiale (e corporea, ovviamente) dell’astratto, dell’infinito. E questo è solo l’inizio. Perché la fantasia malata di Shintaro Kago, come il castello della Principessa No, sembra destinata a non fermarsi mai.
Tra ambizione e compiacimento
Avere assecondato la propria tendenza all’eccesso ha reso Shintaro Kago un fenomeno editoriale strano, qualcosa fra Jorge Luis Borges, David Cronenberg e i Monty Python. Lo sguardo di Kago è senza dubbio compiaciuto, specie nel mostrare corpi femminili (ma anche maschili) nudi, deformati e violati; budella, deiezioni umane e feti gonfi sono la norma; necrofilia, stupri, chirurgia creativa, schiavitù, tutto all’insegna della critica e del metafumetto.
Nelle sue opere, che quando premono sull’acceleratore del grottesco possono raggiungere livelli difficili da sostenere, il corpo umano viene esplorato in tutte le proprie componenti più disgustose e segrete: budella, cervelli, sangue, feci, urina; il corpo umano si fa fumetto ed entrambi vengono scomposti con piglio da scienziato pazzo per cui ciò che resta, alla fine, sono le infinite possibilità combinatorie, matematiche, che Kago mette su carta con intenzioni quasi enciclopediche.
Shintaro Kago ci mostra tutto, vuole che guardiamo tutto, vuole che quello che fa ci piaccia e al tempo stesso ci disgusti. Ciò che lo rende unico è proprio il suo coraggio nel proseguire fino in fondo. Il suo stile viene spesso definito Ero Guro o Fashionable Paranoia ma si tratta di definizioni che hanno poco senso nel suo caso. Kago è in effetti un chirurgo, che con il proprio bisturi d’inchiostro smembra e riduce alle proprie componenti essenziali i limiti, i luoghi comuni, le convenzioni narrative e grafiche del manga inteso come medium.
I critici spesso citano l’infrazione della quarta parete come un vezzo stilistico da parte sua, ma è probabile che si tratti piuttosto della pietra angolare della sua poetica deformativa. Nel nome della libertà espressiva Kago procede sempre più devastando con trovate orrende, violente e irricevibili (una specie di David Foster Wallace allegro) tutto ciò che il lettore è abituato a considerare ovvio.
Non sarebbe piaciuto a Osamu Tezuka (che ad esempio in Anamorphosis viene anche mitragliato a morte) e in generale tende a non piacere a chi è abituato a intendere il fumetto come strumento d’evasione, sebbene Shintaro Kago, con le proprie opere estreme ed esagerate, ci proponga la forma di evasione più totale che esista. L’evasione dalla normalità.