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Gran Turismo – la recensione del nuovo film diretto da Neill Blomkamp ispirato allo storico gioco di corse

L’idea di realizzare un film su Gran Turismo, lo storico simulatore di guida targato Sony, può sembrare a prima vista controintuitiva. Come trasformare un gioco di semplici gare automobilistiche in un film che sia in grado di intrattenere sia il pubblico generalista sia i grandi appassionati della storica saga videoludica?

Questo era il difficile e ambizioso compito che dovevano affrontare il regista Neill Blomkamp e il resto della produzione: da un lato riproporre le atmosfere e gli elementi caratteristici dei videogiochi; dall’altro costruire una trama e una sceneggiatura avvincenti, così da poter unire in maniera efficace la dimensione cinematografica a quella puramente ludica e soddisfare qualunque tipo di spettatore.

Per cercare di unire due mondi così distanti, si è scelto di narrare la storia realmente accaduta di un personaggio a metà tra il mondo virtuale delle corse di Gran Turismo e quello reale delle gare automobilistiche di Motorsport: il giovane Jann Mardenborough, un ragazzo amante del videogioco che, qualificandosi con un torneo online alla GT Academy, una scuola che si proponeva proprio di trasformare i migliori giocatori di Gran Turismo in professionisti delle corse, è divenuto un pilota di successo che ha corso in alcune delle più importanti gare del mondo.

Il film segue dunque la storia di Jann, interpretato da Archie Madekwe, dalle origini fino al suo esordio nel mondo del professionismo automobilistico, alternando dunque i momenti di quotidianità che raccontano la crescita personale del ragazzo alle gare che lo hanno portato a partecipare persino alla famosa 24 ore di Le Mans.

Saranno dunque riusciti Blomkamp e il resto della produzione a realizzare il difficile compito di realizzare un film di Gran Turismo? Scopritelo insieme a noi all’interno della nostra recensione.

La storia di un sogno

La sceneggiatura del film gira attorno a due idee fondamentali che costituiscono un po’ il fulcro di ciò che vuole trasmettere il film: da un lato quella già vista e rivista che qualunque sogno, se ci credi fino in fondo, possa realizzarsi e dall’altro una seconda più attuale e interessante che vede nei videogiochi non solo una fonte di intrattenimento, ma anche una possibilità di realizzarsi all’interno della propria vita. E, in questo senso, Jann Mardenborough rappresenta la perfetta bandiera che unisce entrambi questi messaggi: è un videogiocatore bravo e determinato a fare delle corse automobilistiche il suo lavoro, nonostante la sua famiglia non possa permettersi di farlo entrare in questo mondo.

La sua occasione arriverà grazie all’ambizioso progetto dell’impiegato della Nissan Danny Moore, qui interpretato da Orlando Bloom, di creare una scuola per insegnare ai migliori giocatori di Gran Turismo a guidare delle macchine da corsa anche nella realtà e aiutarli a esordire nel mondo delle gare professionistiche. Jann riuscirà ad accedere alla GT Academy grazie a un torneo online di qualificazione e così, tra numerose delusioni e diversi ostacoli, diverrà infine un pilota professionista, arrivando a coronare il suo sogno.

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La narrazione dunque mette al centro la storia di Jann, mostrandoci la sua vita in famiglia, la sua determinazione a realizzare i suoi sogni, gli scontri con suo padre, la sua storia con Audrey, la ragazza che corteggia sin dall’inizio del film. L’obiettivo è di certo quello di far entrare lo spettatore nel mondo di Jann e farlo empatizzare con lui. Il problema principale è però che il film riesce a fare ciò solo fino a un certo punto. Nel marasma di cose e di personaggi che compaiono sullo schermo fatica a emergere la personalità del personaggio, che, di fatto, sembra un ragazzo qualunque, con tutti i pregi e difetti del caso. Certo, da un lato possiamo apprezzare la volontà di mostrare la normalità del ragazzo, volta anche a cercare di far immedesimare in lui un po’ tutti i ragazzi che guarderanno il film, ma questo, d’altro canto, porta quasi inevitabilmente alla creazione di un personaggio scialbo e anonimo, di cui difficilmente ti ricorderai a lungo la visione del film.

Qualcosa di simile si può anche dire dei familiari di Jann, Audrey e degli altri piloti, tutti dotati di caratterizzazioni molto approssimative e privi di una qualsiasi backstory che possa anche solo dare loro un po’ di spessore. Particolarmente deludente risulta essere soprattutto il personaggio interpretato da Thomas Kretschmann, ovvero Patrice Capa, che dovrebbe essere il principale villain del film, ma viene solamente caratterizzato come il classico pilota viziato, ricco e pervaso da un non ben motivato senso di superiorità nei confronti dei piloti che vengono dal mondo dei simulatori di corse. Egli inoltre non rappresenta mai una reale minaccia per il protagonista, nè è capace di colpire in particolar modo lo spettatore a causa del suo scarso carisma e della mancanza di una vera e propria backstory.

Un discorso in parte diverso può essere fatto per i due personaggi interpretati da Orlando Bloom e David Harbour, l’impiegato della Nissan Danny Moore e l’ingegnere Jack Salter. Il primo è anch’esso poco caratterizzato come gli altri personaggi secondari, ma almeno è protagonista di alcuni dialoghi interessanti che mettono in evidenza la lungimiranza del suo progetto e, talvolta, la sottile ipocrisia che si nasconde dietro alle sue idee: dare una possibilità ai migliori giocatori di simulatori, volendo, allo stesso tempo, seguire le logiche del marketing (ciò lo porta, ad esempio, a dubitare della scelta di Jann, nonostante sia stato il migliore, perché meno fotogenico rispetto agli altri).

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Il secondo è invece forse il personaggio più interessante del film: un vecchio pilota che ha smesso da tempo di guidare, divenuto in seguito meccanico e ingegnere capo. Egli è una figura inizialmente burbera e poco empatica, tuttavia con il proseguire del film aprirà il suo cuore e si affezionerà gradualmente a Jann, instaurando con lui un bellissimo rapporto e divenendo protagonista di alcuni dei dialoghi più intensi del film.

Corse adrenaliniche in giro per il mondo

Se dal punto di vista della trama e della caratterizzazione dei personaggi il risultato pare dunque essere deludente, la situazione migliora molto all’interno di quelle che dovrebbero essere il cuore del film: le corse automobilistiche. In queste scene infatti, la regia di Blomkamp, più anonima nelle situazioni quotidiane, mostra finalmente i muscoli, riuscendo a rendere le gare adrenaliniche ed entusiasmanti.

Ciò avviene grazie al continuo alternarsi di diversi tipi di inquadrature (dall’alto, dal punto di vista del guidatore, dall’interno del motore etc.) che accelera oppure rallenta così da gestire perfettamente il ritmo della corsa e dare maggiore rilevanza ai momenti più concitati, come l’ultimo giro o il traguardo. Ad accompagnare perfettamente questi momenti abbiamo poi anche un buon utilizzo di una colonna sonora che di certo non brilla per originalità, ma riesce ad accompagnare in maniera convincente il succedersi delle diverse fasi della gara.

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Massima espressione di tutto questo risulta essere in particolare l’evento che rappresenta anche l’apice dell’intero film: la 24 Ore di Le Mans. Questa storica gara è una delle più importanti del mondo e rappresenta per Jann l’occasione per entrare nella storia dell’automobilismo. Per questo il regista si sofferma a lungo sulla tensione dei piloti nel momento pre-gara e sulla solennità delle cerimonie che precedono l’inizio. Poi inizia la gara e, con essa, anche il momento migliore di tutto il film, reso ancora più notevole dalla grande difficoltà che comporta il dover mettere in scena una gara di questo tipo.

La 24 ore dura infatti letteralmente un’intera giornata e viene corsa da squadre di 3 piloti che si alternano nella guida della stessa macchina. Di conseguenza, il regista che si prepara a rappresentarla deve essere capace di cogliere i momenti migliori della gara per non fare durare troppo la sequenza, ma, allo stesso tempo, deve renderla abbastanza lunga da far comprendere la difficoltà e lo spessore della prova di resistenza a cui si sottopongono i piloti all’interno della corsa.

Neill Blomkamp riesce in maniera egregia a evidenziare tutto ciò soffermandosi sui momenti più concitati della corsa e mostrando allo stesso tempo la tensione e le emozioni di Jann, di Moore e Salter ai box e anche dei genitori del ragazzo, che seguono la corsa da casa. In questo senso, acquistano molta importanza i momenti dei pit-stop, che diventano pause ansiogene dove si accumula la tensione prima del momento liberatorio del ritorno in pista. Per il resto, la gara scorre bene e in modo divertente, riuscendo a dare una buona conclusione a un film che, nonostante i difetti, riesce tutto sommato a intrattenere.

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Il fattore Gran Turismo

Finora abbiamo parlato della struttura e della trama di Gran Turismo, ma non abbiamo dato una risposta ad alcuni interrogativi fondamentali: quanto si sente l’influenza della serie videoludica all’interno delle corse? Gli elementi che vengono presi da Gran Turismo hanno un’utilità o sono solo delle chicche introdotte per far contenti gli appassionati?

Sicuramente, per rispondere alla prima domanda, l’influenza dei videogiochi si sente abbastanza. Soprattutto nella prima parte, le inquadrature e gli effetti grafici presi direttamente dal videogioco sono numerosi e volti soprattutto a evidenziare quanta influenza abbia la dimensione videoludica sul modo di Jann di vedere la vita. A partire dall’ingresso della GT Academy invece, questi elementi gradualmente scompaiono, come a voler evidenziare il passaggio del protagonista dalla dimensione virtuale a quella reale. Ciò è, allo stesso tempo, un pregio e un difetto, poiché sicuramente permette al film di assumere un’atmosfera più matura e meno giocosa, ma, contemporaneamente, è come se si perdesse un po’ la sua identità e, a partire dalla seconda parte, esso non sembrasse più l’adattamento di Gran Turismo, ma un qualsiasi lungometraggio sulle corse automobilistiche.

L’unico effetto grafico che rimane per tutto il film e che non è considerabile un mero orpello stilistico è l’indicazione della posizione di Jann che compare sulla sua macchina nelle inquadrature dall’alto. Questo elemento è in realtà fondamentale anche a livello registico, perché permette allo spettatore di comprendere dove si trova la macchina del protagonista e riuscire così a orientarsi meglio all’interno del caos di macchine che talvolta si crea durante le corse.

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Conclusioni

Gran Turismo, nonostante i numerosi difetti che risiedono soprattutto nella scarsa caratterizzazione dei personaggi e nella banalità della trama, riesce a portare a compimento gran parte degli obiettivi che si propone: celebrare la storica saga di Gran Turismo, creando allo stesso tempo un film divertente che possa soddisfare sia gli appassionati che il pubblico generalista.

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Simone Gambaro

Simone Gambaro

Aspirante scrittore classe 1997 amante di tutto ciò che è intrattenimento. Vivo in provincia di Milano e adoro i Pokémon, i libri di Philip K. Dick, i film horror e la musica rap.

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