Oggi considerato uno dei massimi esponenti del j-horror contemporaneo, Junji Ito (prefettura di Gifu, 31 luglio 1963) è cresciuto in una piccola cittadina vicino Nagano. Lui stesso ha poi dichiarato come lo scenario delle vecchie case di legno in un contesto rurale lo abbiano in qualche modo formato e predisposto a produrre opere inquietanti.
Istigato dalle sorelle maggiori, che leggevano manga horror sulle riviste, Junji Ito comincia giovanissimo a leggere le opere del grande maestro Kazuo Umezu e disegna i primi, acerbi tentativi di fumetto all’età di 4 anni, coltivando il disegno come hobby durante gli studi da odontotecnico.
Da questa grande passione è nato un autore la cui influenza non accenna a diminuire: negli anni Junji Ito ha pubblicato moltissime opere, non tutte classificabili come appartenenti al genere horror puro. In questa trattazione ne nomineremo solo alcune, quelle a nostro parere più importanti, o interessanti, o semplicemente iconiche.
I primi passi di Junji Ito
Ito esordisce come mangaka nel 1987 pubblicando la sua prima storia sulla rivista shojo Monthly Halloween. Tomie (che in seguito ha ispirato anche una riuscita serie di lungometraggi live-action e una collezione di NTF) è la storia di una ragazza, Tomie appunto, bellissima ma anche egoista e incredibilmente arrogante. Nel suo egoismo, che sfiora la sociopatia, la ragazza è in grado di provocare un incontenibile desiderio carnale in ogni uomo che incontra fino a infettarlo con la propria pazzia. Così, innumerevoli volte, Tomie finirà uccisa e fatta a pezzi da un uomo ma da ogni frammento del suo corpo ridotto a brandelli nascerà una nuova Tomie, sempre crudele e bellissima, sempre folle e distruttiva.
Con questa sua prima opera Junji Ito vince la Menzione d’onore al Premio Kazuo Umezu di quell’anno. Il legame fra questi due autori è potentissimo, come si conviene al rapporto fra un maestro e un allievo, sebbene questo si sia sviluppato a distanza. Il francese Jean-Marie Bouissou, storico e politologo specialista del Giappone contemporaneo, osserva che l’orrore nei fumetti giapponesi è legato molto più spesso a una sfera simbolica e morfologica rimandante al femminile piuttosto che al maschile con i suoi sostituiti fallici – mannaie, spade, coltelli – che è invece preponderante nell’immaginario orrorifico di altre culture (cfr. Il manga. Storia e universi del fumetto giapponese, a cura di Marco Pellitteri, Tunué, 2011).
Come Umezu, che è annoverabile far i fondatori di ciò che chiamiamo “commedia shojo”, esordì nel fumetto del terrore proprio tramite storie horror che ridisegnavano le immagini convenzionalmente utilizzate nei fumetti per ragazze, storie gotiche ricche di immagini carnali, di bocche voraci, di corpi posseduti e maledetti, anche il suo allievo a distanza Junji Ito dà inizio alla propria carriera con una storia che ha il suo perno nel corpo femminile, oggetto desiderante e desiderato, mai compiutamente raggiunto, creatore di sé stesso nonché creatore di morte. In una intervista di qualche anno fa Junji Ito dichiara:
Lo spazio fisico, il pieno e il vuoto. Ne sono attratto in maniera irresistibile: così come mi intrigavano le protesi i calchi dentistici ai tempi, oggi subisco il fascino delle sagome ormai vuote delle vittime a Pompei, ho un’attrazione quasi ancestrale per le fessure oltre le quali è impossibile vedere». E poi: «La bellezza è l’altra faccia del grottesco e, nel mio caso, una non fa che evocare l’altra. Si pensi allo xenomorfo, all’alieno di Hans Rudi Giger, uno degli artisti che più mi hanno influenzato: è la sintesi suprema, un essere grottesco ma dalla bellezza innegabile, sensuale. Credo che il mio obbiettivo sia questo: riuscire a creare qualcosa di così superbamente grottesco da diventare meraviglioso.
Lo spazio e il corpo come pietre angolari su cui basare la propria arte.
Uzumaki, la spirale della follia
Mentre in Le maledizioni di Soichi (pubblicato nel 1997) Junji Ito spinge l’acceleratore sul grottesco mettendo in scena un goffo stregone incapace di relazionarsi agli altri, il suo seguente successo, Uzumaki, rappresenta un ulteriore ragionamento sulla forma e sul mistero che questa può racchiudere.
Serializzato fra il 1998 e il 1999 sulle pagine di Big Comic Spirits e in seguito raccolta in tre volumi tankobon da Shogakukan, Uzumaki racconta la storia degli abitanti di una città immaginaria, Kurozu-cho, colpita da una maledizione riguardante le spirali. Nel 2003 è stato nominato per l’Eisner Award e inserito nella lista dei “10 romanzi grafici per ragazzi” della Young Adult Library Services Association nel 2009. Come ha dichiarato lui stesso, «I segni a forma di spirale di solito vengono disegnati sulle guance dei personaggi dei fumetti comici giapponesi rappresentando un effetto di calore».
La sua intenzione era dunque ribaltare la simpatia della forma spirale trasformandola in un simbolo d’orrore e di ignoto. La missione può dirsi compiuta e Uzumaki è ad oggi una delle sue opere più conosciute e apprezzate, al punto da avere ispirato autori mainstream come Gege Akutami ed essere stata adattata in un anime, realizzato da Hiroshi Nagahama per lo studio Drive e la co-produzione di Adult Swim e Production I.G. USA.
Gli altri successi
In Gyo, altro seinen pubblicato fra il 2001 e il 2002 su Big Comic Spirits, Junji Ito propone una nuova, endemica e crudele mutazione corporea mettendo in scena la più geniale apocalisse zombie mai mostrata. In Remina la distruzione del mondo si intreccia con l’amaro destino di una timida ragazza desiderata da tutti mentre in Dissolving Classroom la morte e la sofferenza giungono tramite il gesto più rappresentativo della cultura giapponese: l’inchino.
Uno degli ultimi grandi successi di Junji Ito in ordine di tempo è il suo personale adattamento manga, pubblicato sulle pagine di Big Comic Original, del seminale Lo squalificato di Osamu Dazai, romanzo in parte autobiografico che narra di un uomo chiamato Oba Yozo e della sua incapacità nel rapportarsi con altre persone, che lo farà scivolare nella depressione e nella follia fino a sentirsi indegno di essere considerato un essere umano.
In questo impareggiabile lavoro di adattamento brillano tutte le immagini tipiche del suo stile: l’orrore e il disagio legati alla materia carnale, l’attrazione/terrore per la bellezza, l’impossibilità di comunicare con i propri simili. Uomini deboli, donne sottomesse, l’orrore che distorce il quotidiano. Anche nel suo Squalificato quindi Ito ritrova quelle figure repulsive e disperate, fragili e orribili che infestano la sua opera come uno yokai o un demone.
Assieme ad altri autori della propria generazione, fra i quali vale la pena citare Usamaru Furuya, Atsushi Kaneko e Shintaro Kago, si è sempre mosso al di fuori delle logiche produttive commerciali che negli ultimi decenni hanno funestato il j-horror, ma ha ottenuto un successo troppo immediato e troppo vasto per poterlo definire autenticamente underground (come potremmo fare ad esempio per Kaneko e Furuya).
Figura quindi ibrida, definitivamente autoriale e dotata di uno stile inconfondibile, Junji Ito ha portato alle estreme conseguenze il proprio ragionamento intorno al corpo, inteso sia come oggetto di desiderio sia come fonte di disagio e orrore, tema attualissimo in una società che sempre più oggettualizza e idolatra l’esteriorità dell’uomo.