In queste ore in America si sta trattando il delicato tema della “Robot Tax”, una tassa pensata per mitigare l’impatto negativo delle nuove tecnologie sui posti di lavoro, una migliore convivenza tra uomo e macchina anche dal punto di vista fiscale, ma non è così facile come sembra.
Non è un mistero che negli ultimi decenni l’impiego dei robot nelle mansioni quotidiane stia facendo discutere ed allarmare i lavoratori di ogni settore. In molti temono ormai di essere sostituiti e rimpiazzati completamente dalle nuove tecnologie.
La crescita esponenziale delle intelligenze artificiali dell’ultimo periodo, poi, non fa che ingigantire queste preoccupazioni, tanto che diverse personalità di spicco dell’intrattenimento (come l’Unione degli attori SAG-AFTRA) hanno annunciato scioperi che causeranno ritardi nelle produzioni fino alla regolamentazione della digital recreation, ovvero la manipolazione non consensuale, attraverso le intelligenze artificiali generative, delle loro voci e dei loro connotati.
Il problema però non si ferma all’industria dell’intrattenimento, perché milioni di operai che occupano posti di lavoro di carattere più “manuale” si sentono a rischio sostituzione, dato il sempre maggiore impiego di robot in grado di svolgere le stesse mansioni con meno rischi e meno errori.
La soluzione sembra arrivare in maniera piuttosto naturale: tassare l’impiego delle nuove tecnologie quando queste vengono adottate al posto di un operatore umano, in modo da disincentivare l’utilizzo delle macchine e ridare ai lavoratori ciò che perderebbero a causa del loro utilizzo. Persino il fondatore della Microsoft Bill Gates, in un’intervista a Quartz del 2017, ha preso le parti dei lavoratori, affermando la necessità di un aumento delle tasse sui robot.
Chi si oppone alla Robot Tax?
Certo, tassare l’utilizzo delle tecnologie per favorire l’impiego di lavoratori umani suona bene, ma in molti sono insorti alla notizia per far notare che adottare una soluzione del genere, oltre a rallentare il progresso, salverebbe a breve termine quei posti di lavoro messi a rischio, ma allo stesso tempo impedirebbe lo sviluppo a lungo termine di professioni che potrebbero procedere di pari passo con le macchine, senza contare l’enorme difficoltà che potrebbe costituire il trovare una definizione univoca e decisiva di cosa sia un “robot” e di ciò che non lo è, in un mondo che si evolve così rapidamente.
Una soluzione, dicono le opposizioni, potrebbe essere rivoluzionare del tutto il mercato del lavoro, includendo nel computo totale anche le nuove tecnologie e creando corsi per la convivenza uomo-macchina. Altre voci autorevoli, come quelle di Costinot and Werning del Massachusetts Institute of Technology, si ritengono a favore di una tassa sui robot ma solo finché tali maggiorazioni sui costi non eccedano il range che va dall’1% al 3,7%, poiché in questo modo non andrà solo a compensare la perdita del lavoro di chi si vede sostituito dalle macchine, ma andrà a riformare a lungo termine la richiesta di lavoro e gli stipendi delle varie industrie.