Le ragazze non giocano ai videogames. Si tratta di un mito talmente radicato che ancora oggi qualcuno ci crede. Ormai il fenomeno del gaming è una faccenda globale, un settore tanto espanso e popolare da generare incassi più alti di cinema e musica messe assieme — ma non è sempre stato così. C’era una volta un mercato dei videogames ancora in sviluppo, che non credeva nel pubblico femminile e temeva di osare. In quei tempi bui ci ha pensato Barbie a far ricredere gli analisti, dimostrando con i dati di vendita che in realtà i videogiochi sono per tutti, mettendo in evidenza lo spazio per una serie di prodotti ben più vari di quanto si pensasse.
Barbie Fashion Designer è stato il primo videogioco di gran successo a essere commercializzato (e soprattutto pubblicizzato) per un pubblico prettamente femminile, un’idea che violava tutte le tendenze di marketing dell’epoca. Nella società degli anni ’90 la tecnologia e nello specifico i videogiochi erano visti come una passione prettamente maschile, e nessuna casa di sviluppo poteva permettersi di rischiare con un prodotto “in rosa”. Eppure, grazie all’idea di una bambina e alla testardaggine di suo padre, la bambola più famosa al mondo è approdata sui PC di oltre due milioni di famiglie, permettendo a moltissime future donne di avvicinarsi per la prima volta al pezzo di tecnologia più importante del secolo.
Non è un’esagerazione dire che se oggi il mercato del gaming è un panorama eterogeneo e pieno di titoli per ogni tipo di palato, il merito è anche di Barbie Fashion Designer. Attenzione, non stiamo elevando a potenza un contributo da poco, anzi, quello della bionda bambolina è un importantissimo precedente che ha sdoganato i videogiochi (e per estensione la tecnologia) presso ogni fascia di popolazione e gruppo di interesse, alla faccia di quello che dicevano i libri sul marketing negli anni ’90.
L’idea vincente di una bambina fan di Barbie
Elizabeth Joy Rifkin stava giocando con le sue Barbie quando ha cambiato la storia del gaming per sempre. Era il 1992, E.J. aveva appena 4 anni, e la sua nonna le portò a casa degli stralci di stoffa ricavati da un vestito accorciato in sartoria. Subito la piccola si mise a progettare un abito per le sue bambole, usando carta, pennarelli, e graffette. Mentre E.J. lavorava ai vestiti in miniatura, forse ostacolata dalla difficoltà di immaginare gli oggetti tridimensionali proiettati sul foglio di carta, chiese stizzita a suo padre perché non si potessero disegnare gli abiti sul computer, che già riconosceva come uno strumento molto potente.
L’innocente domanda della ragazzina fece girare le rotelle nella testa del padre, l’inventore Andy Rifkin. “Perché non si possono disegnare i vestiti sul computer”? In realtà, nonostante la limitata potenza di calcolo dei computer per uso domestico dell’epoca, la progettazione digitale di abiti era già possibile, solo che nessuno ci aveva ancora pensato. O meglio, nessuno aveva ancora pensato di rendere il processo abbastanza semplice per essere usato da delle giovani ragazze, dettaglio che colpì molto il signor Rifkin. Secondo lui un gioco che permettesse di progettare e poi stampare abiti personalizzati per le Barbie sarebbe andato a ruba tra le bambine di quegli anni, e col senno di poi ci aveva visto giusto.
Dopo innumerevoli tentativi di convincere Mattel, a cui bruciavano ancora le gengive dopo i fallimenti in campo informatico (tra le sconfitte più cocenti citiamo i tragici Intellivision III e Mattel Aquarius), Rifkin riuscì a convincere l’azienda produttrice della bambola più famosa al mondo che un gioco di Barbie per ragazze non era solo possibile, ma avrebbe praticamente permesso di stampare soldi sotto forma di carta speciale per gli abiti fai-da-te delle bambole. Nel 1996 uscì finalmente Barbie Fashion Designer, un gioco per PC che sconvolse completamente il mondo del gaming.
Cosa rende Barbie Fashion Designer un gioco eccezionale
Barbie Fashion Designer non è un gioco fuori dal comune solo per il volume di vendite, che rimane comunque degno di nota. Il prodotto ha infatti raggiunto un milione di copie vendute in soli due anni, cifra quasi impensabile per i tempi. Il ’96 viene spesso ricordato come l’anno di Quake e Doom, che nei primi 12 mesi sul mercato vendettero rispettivamente 373’000 e 200’000 copie. Poco in confronto a Barbie Fashion Designer, che nello stesso periodo di tempo è riuscito a vendere ben 393’575 dischetti, totalizzando un incasso di oltre 14 milioni di dollari. Durante il periodo delle vacanze natalizie Mattel riusciva a malapena a stare dietro alle richieste dei negozi, e fu anche costretta ad affittare un aereo speciale per far arrivare tempestivamente la merce dalla Cina.
Tra le altre particolarità del titolo va per forza citata la carta speciale necessaria per stampare i vestiti. Mattel si è lasciata convincere dall’idea di E.J. e suo padre (che in seguito al grande successo venne promosso a Vicepresidente di Mattel Media) anche grazie a questa caratteristica. L’invenzione consisteva in particolari fogli a doppia faccia: da una parte c’era della carta simile a quella usata negli uffici, mentre dall’altra una sorta di stoffa che assorbiva l’inchiostro nero delle stampanti. Grazie a questa trovata era possibile imprimere i modelli generati dal gioco su un materiale molto simile al tessuto, che le fan di barbie avrebbero ritagliato e finito di assemblare con lo scotch incluso nella confezione.
Barbie Fashion Designer ha spinto i limiti del videogioco, sfocando il confine tra digitale e materiale, dimostrando alle ragazze di tutto il mondo che i computer potevano essere concretamente utili sin dalla giovane età. Ma ha anche ridefinito cosa significa giocare con la bambola più famosa del mondo, che da ormai più di 60 anni funge da esempio di femminismo e femminilità (un connubio non sempre molto facile).
Eredità e controversie
Tuttavia il gioco non ha avuto la strada spianata. Oltre alle resistenze iniziali dei vertici Mattel, c’è stato un insidioso e velocissimo periodo di sviluppo durato appena un anno, fatto di settimane lavorative interminabili (in certi casi superiori alle 100 ore), difficoltà tecniche legate ai tempi di caricamento, e persino problemi di marketing. Certo, si trattava di un videogioco, ma la bambina media avrebbe davvero notato la confezione se questa era incastrata tra gli scaffali di Duke Nukem 3D e Dead or Alive?
Mattel non credeva che il pubblico a cui si stava rivolgendo visitasse regolarmente gli scaffali di videogiochi, quindi dopo la settimana di lancio, caratterizzata da vendite deludenti, venne girato uno spot pubblicitario con una giovanissima Mila Kunis (Lily ne Il Cigno Nero, nonché doppiatrice originale di Meg Griffin) pensato proprio per rimediare a questa criticità. A quel punto le vendite schizzarono alle stelle.
Come Barbie stessa, anche il gioco ha ricevuto il suo numero di critiche nonostante il successo commerciale (o forse proprio a causa di questo). Il fango arrivava da tutte le direzioni; c’era chi non lo riteneva nemmeno un vero videogioco, chi lo vedeva come “un’invasione di spazio” verso l’hobby che si pensava riservato ai maschi, e persino chi si preoccupava che il programma stesse “ipnotizzando” o “facendo marcire il cervello” delle giocatrici.
Il prodotto però piaceva da impazzire, tanto che Mattel iniziò una lunga serie di videogiochi di Barbie. Il sequel diretto Cool Looks uscì appena un anno dopo, e non ci volle molto perché anche gli altri sviluppatori si accorgessero del potenziale dei “Games for Girls“, cioè Giochi per Ragazze; un movimento che a volte viene biasimato perché ha provocato la genderizzazione nei videogames (e quindi la propagazione di stereotipi), ma allo stesso tempo quasi tutti lo riconoscono come un passo fondamentale verso lo sdoganamento del medium videoludico a cui abbiamo assistito negli ultimi anni.
In questo senso l’importantissimo ruolo di Barbie Fashion Designer è stato riconosciuto ufficialmente nel 2023, con l’ingresso nella Video Game Hall of Fame. Come Wii Sports e The Last of Us, ma anche Dwarf Fortress e Pokemon, ora anche Barbie può vantarsi di aver fatto la storia del videogame, e forse con l’uscita dell’attesissimo film la bambola più amata del mondo si prepara a segnare anche l’industria del cinema live action, un settore che cammina ancora su gambe incerte. Magari delle scarpe rosa aiuteranno?