Giorni fa vi abbiamo mostrato alcuni esempi di allenatori Pokemon finalmente riuniti con i propri fidati compagni di viaggio grazie a Home, il servizio ufficiale di Nintendo che consente di trasferire i mostriciattoli nelle cassette dei giochi di ultima generazione grazie alla connessione internet.
Ma cosa succede quando il Pokemon che si vuole trasferire è bloccato nella scatola viola del GameCube, una console risalente a più di venti anni fa e quindi priva di supporto di rete? Beh, in quel caso scatta l’operazione “Salvataggio Charizard“, una vera e propria epopea che ha visto un dedicato allenatore gettarsi a caccia di vecchie console e cartucce, con l’unico obiettivo di portare il suo mon preferito su Scarlatto e Violetto.
340 dollari e quasi un anno dopo, Charizard ha finalmente potuto spiegare le ali sopra i prati tridimensionali di Paldea. Anche se forse un po’ indolenzito dopo anni di inattività, il Pokemon è lo stesso che l’allenatore ha catturato nel 2003 sul GameCube; lo stesso draghetto arancione che lo ha accompagnato durante molti pomeriggi di gioco nell’età più dolce della vita.
Il Pokemon che viaggiò dal GameCube alla Switch
Citando Wikipedia, “In informatica, il concetto di persistenza si riferisce alla caratteristica dei dati di un programma di sopravvivere all’esecuzione del programma stesso che li ha creati“. L’istinto umano di “salvare le cose” è alla base del funzionamento di ogni macchina programmabile, nonché una funzione indispensabile per i videogiochi moderni.
In un RPG dedicato alla cattura e allevamento di quelli che sostanzialmente sono animaletti dai poteri fantastici, la permanenza degli oggetti digitali è un concetto fondamentale non solo per il funzionamento dell’hardware, ma anche e soprattutto per il gameplay, e, se vogliamo, la “filosofia dell’opera“; il legame di fiducia e amicizia tra un Pokemon e il suo allenatore è il cuore pulsante sia dell’anime che della controparte videoludica della serie. Forse allora non c’è da stupirsi di fronte al gesto commovente di questo giocatore.
Giocando a Pokemon ci si affeziona a quei grumi di pixel che sfidano l’ingegno e la fortuna, specie quando mollano i brutti colpi nelle situazioni più disperate salvandoci dalla disfatta. Se si fatica per ore nel tentativo di beccare il mostriciattolo con la natura giusta, e finalmente la pokeball si chiude sull’esemplare perfetto, è impossibile non sentire qualcosa in più della semplice soddisfazione, specie se poi quel Drago infuocato migliora assieme a noi e ci porta in alto tra denti strette e vittorie sudate. Semplici sprite o modelli 3D diventano, nel tempo, affettuose NFT mintate nella Blockchain dei nostri ricordi. Quindi cosa sono i soldi, se in cambio ti danno il Charizard?
Il primo step per u/Roxaschao è stato procurarsi un Gameboy Advance, una copia di Rosso Fuoco, ed infine un cavo apposito per collegare la console appena acquistata al GameCube-prigione. Da Rosso Fuoco si è saltati direttamente a Platino grazie ad un DSlite con il perno rotto, che il dedicatissimo allenatore ha aggiustato manualmente. Da lì è stato piuttosto facile trasferire il Charizard su Bianco, poi su Bank, ed infine HOME, la piattaforma che supporta tutti i giochi Pokemon più recenti.
Una storia che affascina e meraviglia, e ci fa riflettere sui lati postivi di cloud e gaming digitale che stanno pian piano soppiantando il formato fisico. Gli account infiniti sempre connessi a internet potrebbero essere fastidiosi e lasciarci con un senso di diffidenza, ma paradossalmente sono un ottimo modo di avere “sempre con noi” i beni digitali a cui teniamo (ve lo dice uno che non si è ancora ripreso del tutto dall’aver smarrito la cassettina di Pokemon Nero col suo primo Infernape dentro).