La prima stagione di The Last Of Us ha terminato la sua corsa sulla HBO, chiudendo il tutto con un finale altamente potente, violento ed “egoistico” sotto molto punti di vista, che ovviamente andremo ad analizzare nel corso di questo approfondimento, volto anche a elogiare il grandissimo lavoro di trasposizione dal videogioco al piccolo schermo, che sicuramente pone dei canoni specifici con cui ogni prodotto del genere si dovrà misurare in futuro.
Non occorre dire che se non siete in pari con le puntate di non continuare con l’articolo. Dopo la maestosa chiusura del penultimo episodio, che sicuramente ha sancito un “breakpoint” per Ellie, Joel e la ragazzina continuano il loro viaggio, scoprendo tra le tante disgrazie, anche dei piccoli spiragli di luce per cui vale la pena vivere, riaccendendo la fiamma dell’esistenza in un mondo in cui sembra esistere solamente l’egoismo e la violenza.
Purtroppo questi ultimi prevalgono sempre e basta veramente poco nel mondo dipinto in The Last Of Us per far crollare quel castello di carta costruito in aria durante quei rasserenanti istanti delicati, rari, quasi unici. Oltre questo è anche utile evidenziare il come le fasi di gameplay presenti nel gioco siano state trasposte alla perfezione anche nella serie, alternando così le sezioni narrative a quelle esecutive con un equilibrio davvero non indifferente.
Anche e soprattutto in questo finale notiamo veramente poco di diverso rispetto alla controparte originale, specie se prendiamo in considerazione la chiusura definitiva di questa prima stagione di The Last Of Us: ma andiamo per gradi.
The Last Of Us: Il sacrificio di molti per la salvezza del singolo
Come ben sapete Ellie è una personaggio geneticamente disposto a respingere il virus, vista la sua immunità successivamente al morso di un infetto. La protagonista infatti non si è mai trasformata, nonostante chiunque intorno ad essa faceva una brutta fine dopo un incontro sfortunato con un clicker o una creatura in generale.
Proprio per questo la ragazzina potrebbe essere una salvezza per l’umanità, dato che il suo sangue potrebbe portare alla creazione di un antidoto o un vaccino per contrastare la pandemia scatenata attraverso il fungo Cordyceps, la causa principale per cui il mondo e l’umanità sono attualmente in estinzione all’interno del mondo costruito da Naughty Dog col capolavoro videoludico che prende il nome di The Last Of Us appunto.
Proprio per questo “Le Luci” vogliono la ragazzina per studiarla e usarla nel caso, anche a costo della sua vita, per salvare le innumerevoli vite cadute vittima di questa devastante pandemia. Catturata con la forza Elie viene trascinata in uno dei laboratori addetti a questo piano, insieme a Joel, non proprio convinto delle mosse di questa organizzazione.
L’uomo non ha niente da perdere e dopo la confessione fatta ad Ellie (citata in calce ndr) quest’ultimo non può accettare di sacrificarla per salvare un’umanità egoistica e violenta che come obiettivo ha solo il piacere di compiacere se stessa e nessuno di più.
Ellie: “Quindi il tempo guarisce tutte le ferite immagino”. Joel: “Non è stato il tempo a guarirle”. Anche se il discorso è abbastanza velato, dopo la morte della figlia Joel non ha vissuto più la sua persona, facendosi risucchiare dal suo dolore e dalla sua sofferenza per oltre 20 anni, fino a quando il rapporto con Ellie ha maturato il risanamento delle ferite, anche se queste ultime lo hanno segnato per sempre.
The Last Of Us: un finale fedele che colpisce nell’anima
Tutto questo preambolo per giustificare in un certo senso la scelta egoistica di Joel nel salvare Ellie, lasciando l’umanità al suo inevitabile destino, probabilmente diretto verso l’estinzione. Un uomo distrutto dalla vita che ha trovato un motivo per emozionarsi e viverla ancora una volta dopo 20 anni, quando simbolicamente il protagonista è morto insieme a sua figlia in quel tragico giorno rappresentato nel pilot di The Last Of Us.
Ancora una volta ci troviamo davanti all’interpretazione malinconica, devastata e “senza cuore” di Pedro Pascal, che tramite uno sguardo magnetico e passionale trascina il pubblico verso il suo percorso di redenzione, egoistico, violento, dando spazio non solo al suo lato paternale ma anche a quello animale, dove senza pietà fa tabula rasa all’interno del dipartimento delle Luci, lasciando ancora una volta dietro di se una scia di sangue che probabilmente non avrà mai fine.
Il pubblico si trova davanti una situazione che potrebbe colpire o ha già colpito chiunque, dove al centro è presente l’eterno dilemma della “salvezza di molti, in sacrificio del singolo”, questa volta rappresentato in maniera letterale.
Joel più umano che mai decide di salvare colei che lo rialzato dal baratro infernale in cui era sprofondato, anche se per farlo deve troncare forse l’unica speranza del mondo per contrastare la pandemia che sta devastando l’umanità. Un finale fedele al gioco, passionale, potente, “egoista”, che sicuramente ha catturato anche il pubblico non avvezzo all’opera videoludica originale, lasciandolo con l’amaro in bocca e pronto a vivere le conseguenze delle azioni del protagonista negli anni a venire.