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Gonzalez v. Google: il processo che può rivoluzionare il Web

In un processo che potrebbe scuotere le fondamenta del diritto informatico, la Corte Suprema statunitense è chiamata a decidere se Google sia legalmente responsabile dei contenuti dannosi consigliati dal suo algoritmo.

Il processo che potrebbe cambiare il diritto informatico

Non bastava il polverone dovuto ai mega licenziamenti degli ultimi mesi; ora le Big Tech sono nuovamente al centro dell’attenzione per un processo al via negli Stati Uniti in questi giorni. La Corte Suprema dovrà infatti decidere se Google sia perseguibile legalmente per i contenuti di natura dannosa/violenta promossi dal suo algoritmo.

Ma come si è arrivati a un processo di questo tipo? Facciamo un passo indietro. È il 2015 quando Nohemi Gonzalez, studentessa di scambio proveniente dalla California State University, viene uccisa nell’ambito degli attentati di Parigi del 2015 rivendicati dallo Stato Islamico. Ora la famiglia di Nohemi è a Washington, pronta ad apparire davanti alla Corte Suprema per fare battaglia a Google, accusando l’azienda di aver promosso il terrorismo.

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I genitori di Nohemi Gonzalez

L’algoritmo di Google promuove la propaganda del terrorismo?

L’idea che Google abbia realmente supportato il terrorismo fa rabbrividire, ed effettivamente la questione è un po’ diversa. Sotto accusa è infatti l’algoritmo di YouTube, società di proprietà di Google, che secondo la famiglia Gonzalez ha promosso video di propaganda dello Stato Islamico tramite le raccomandazioni dell’algoritmo.

Secondo i coniugi Gonzalez, spalleggiati da uno studio legale specializzato in cause contro grandi società che sostengono il terrorismo, non si tratta unicamente di un problema morale o etico, ma di una vera e propria violazione. La promozione di questo tipo di video violerebbe infatti la legge antiterrorismo degli Stati Uniti, che vieta di diffondere contenuti che promuovono il terrorismo o la propaganda volta al reclutamento di nuovi adepti.

Ci si trova quindi di fronte a una questione incredibilmente complessa: da una parte troviamo una famiglia spezzata, pronta a scagliarsi contro Google accusandola di non aver impedito la circolazione di video di propaganda del terrorismo, dall’altra il colosso Google, che può contare sulla protezione di una particolare legge chiamata Sezione 230.

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La Sezione 230: la legge che tutela i social network

Ma cos’è esattamente la Sezione 230? In parole povere, si tratta di una legge statunitense risalente al 1996 che solleva i social network da qualsiasi responsabilità derivante dai contenuti pubblicati dai loro utenti. In soldoni, una società come Google non è responsabile dei contenuti, per quanto scabrosi o violenti, pubblicati da un utente.

Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi.

Allo stesso modo, se un contenuto va a ledere una persona, la stessa società non è mai ritenuta responsabile e questa persona non ha alcun diritto di citarla in giudizio. Ed è proprio questo l’intento della famiglia Gonzalez: presentare di fronte alla Corte Suprema le ragioni secondo cui Google ha violato la legge e deve essere punita.

Luci e ombre della Sezione 230

Secondo i detrattori, la Sezione 230 è una sorta di cavillo legale che permette alle Big Tech di eludere qualsiasi tipo di responsabilità, promuovendo al contempo contenuti che aumentano la popolarità delle proprie piattaforme e censurando ciò che fa loro più comodo.

Se aziende come Facebook e YouTube sono diventate due autentici colossi dell’ambito multimediale, ciò è dovuto anche alla possibilità di ospitare contenuti di qualsiasi tipo senza il rischio di ripercussioni. Di conseguenza, video problematici come quelli di massacri in diretta o esecuzioni, di propaganda terroristica o di incitamento all’odio circolano liberamente.

Come se non bastasse, è molto probabile che contenuti di questo tipo, un po’ per le tematiche estreme e un po’ per la malsana curiosità che alberga nel cuore umano, diventino virali e finiscano dritti nell’algoritmo. Ed ecco che, come per magia, un video che non dovrebbe esistere sulla faccia della Terra finisce tra i contenuti consigliati a un utente che, suo malgrado, si sta semplicemente informando su tematiche delicate.

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La complessità del caso Gonzalez v. Google

Visto il terreno ostico su cui sta avvenendo il processo, la Corte Suprema ha già anticipato di volersi muovere con grande cautela e senza lasciare nulla al caso. L’incognita maggiore è rappresentata dalla Sezione 230, una legge quasi trentennale creata per salvaguardare lo sviluppo di Internet e, secondo molti, un fondamento da preservare a qualsiasi costo.

Ma ci sono anche opinioni discordanti, come quella della professoressa di legge all’Università di Miami, Mary Anne Franks. Secondo lei, la legge è stata pensata per consentire alle piattaforme online di moderare i contenuti per rendere il Web un posto migliore, ma senza il timore di ripercussioni da parte di chi lo ostacola.

Celebre è il caso della Stratton Oakmont, la società famosa per il film The Wolf of Wall Street, che nel 1995 ha fatto causa a Prodigy (sito che ospitava contenuti redatti dagli utenti) dopo che un utente aveva pubblicato accuse nei confronti della società di brokeraggio e del suo presidente. Proprio questo scandalo ha portato alla creazione della Sezione 230.

Riassumendo, la Corte Suprema valuterà le ragioni dell’accusa per comprendere se l’algoritmo di Google ha effettivamente violato la legge antiterrorismo. Un’eventuale decisione a favore della famiglia Gonzalez potrebbe mettere in dubbio la Sezione 230, che andrebbe ridiscussa per poi essere modificata o addirittura rimossa.

Tuttavia, una decisione simile avrebbe grosse implicazioni sul mondo dell’informatica e richiederebbe, oltre al consenso in tribunale, l’impegno di molti esperti nel comprendere come agire in un contesto ricco di incognite come quello del Web.

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Perché il processo potrebbe rivoluzionare il funzionamento di Internet

Ma per noi, generazione di divoratori seriali di contenuti, questa decisione cosa comporterebbe? Secondo Halimah DeLaine Prado, consigliera generale presso Google, un possibile scenario è quello di un Internet meno sicuro, privo di contenuti utili e specifici per ogni utente, e che rischia di minare l’economia di publisher, creator e piccole aziende.

Addio quindi al grazioso video consigliato in base alla cronologia, al nuovo brano di Spotify scelto in base al genere più ascoltato, all’offerta di lavoro basata sulle esigenze specifiche di un utente e al paio di scarpe in sconto rispetto a quando sono state visualizzate la settimana precedente. Inoltre, senza la Sezione 230, le Big Tech si troverebbero costrette a eliminare qualsiasi contenuto o servizio che ritengono un potenziale rischio di cause legali a proprio sfavore.

L’obiettivo della famiglia Gonzalez

In attesa della decisione finale, che presumibilmente non arriverà fino a giugno, i legali della famiglia Gonzalez chiariscono il loro unico obiettivo: far sì che le grandi aziende non condividano contenuti di natura terroristica e che ne siano responsabili quando ciò avviene.

A venticinque anni di distanza, la situazione è diversa. [Le società, NdR] Hanno algoritmi, hanno strumenti, e utilizzano i contenuti per il loro modello imprenditoriale. Per questo è giunto il momento di riflettere sulla Sezione 230.

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Nohemi Gonzalez, la studentessa uccisa negli attentati di Parigi del 2015

LEGGI ANCHE: Perché le aziende big tech stanno licenziando circa il 6% della loro forza lavoro?

FONTI: CNN, The Washington Post

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Sebastiano Inama

Sebastiano Inama

L'invincibile principe guerriero forgiato dal fuoco di mille battaglie, nonché localizzatore di videogiochi e copywriter.

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