La serie di Yakuza, ormai, è diventata un vero e proprio fenomeno culturale all’interno del mondo dei videogiochi. La saga sviluppata dai Ryu Ga Gotoku Studios infatti, dopo un’accoglienza assolutamente incredibile nel Paese del Sol Levante, dovuta sia ad una rappresentazione estremamente fedele della cultura giapponese sia ad una buona dose di follia che non guasta mai, è riuscita ad affermarsi con forza anche in territorio nostrano.
In particolare, dopo l’uscita di Like a Dragon, capitolo piuttosto atipico per gli standard della saga ma comunque estremamente riuscito, numerosi videogiocatori italiani ed europei hanno iniziato ad avvicinarsi ad un brand che trasuda fascino da tutti i pori, nonostante delle imperfezioni legate ad una struttura che si connette a doppio filo con i gusti dei videogiocatori giapponesi e che, a molti, potrebbe risultare particolarmente indigesta.
Nonostante dunque il brand Yakuza, che in Occidente è stato da poco ribattezzato in Like a Dragon, sia ormai sulla bocca e nelle console o PC di una quantità sterminata di videogiocatori, non tutti sanno che durante l’epoca PS3 i Ryu Ga Gotoku Studios pubblicarono due spin off che non hanno mai varcato i confini del Giappone; stiamo parlando, ovviamente, di Ryu Ga Gotoku Kenzan! e, ultimo ma non meno importante, di Ryu Ga Gotoku Ishin!.
Ecco a voi la nostra recensione di Like a Dragon Ishin!
I due titoli, slegati tra loro per ciò che riguarda la narrativa, catapultavano tutte le figure più iconiche ed amate del brand (si, Goro Majima, parlo di te) in un passato ove vicende storiche reali si univano a quelle fittizie che vedevano protagonisti Kazuma Kiriyu e soci in un connubio estremamente riuscito, capace di di donare ancor più spessore ad una saga già estremamente profonda e popolare; tuttavia, se non tramite copie importate e comunque non tradotte neanche in inglese, i giocatori americani ed europei non poterono godere di queste due particolari iterazioni.
Per fortuna, a circa 10 anni dall’uscita originale, Sega ha deciso di tornare sui propri passi e di portare anche al di fuori dei confini del Giappone il secondo dei due spin off pubblicati mediante un simil-remake, ribattezzandolo Like a Dragon: Ishin! e rendendolo finalmente disponibile anche per chi non mastica pane e kanji ogni giorno. Abbiamo avuto l’opportunità di provare a fondo il titolo, venendo trascinati come al solito nella spirale di dialoghi e follia che rappresenta un po’ il marchio di fabbrica della saga; curiosi di sapere cosa ne pensiamo? Proseguite pure nella lettura della nostra recensione!
Un intreccio valido, alimentato da un cast di rilievo
Ambientato durante il tardo periodo Edo – precisamente durante il Bakumatsu – e totalmente slegato dalle vicende raccontante in Kenzan!, Like a Dragon Ishin! racconta le vicende di un samurai del dominio di Tosa realmente esistito, chiamato Sakamoto Ryoma, che per l’occasione ha ripreso le fattezze dell’ormai leggendario Kazuma Kiriyu. Il Giappone è in subbuglio, scosso dall’arrivo di delle “navi nere” provenienti dall’Ovest e da una situazione politica tutt’altro che stabile; l’arrivo degli occidentali ha infatti alimentato le idee dei cosiddetti imperialisti, che desiderano restaurare la loro patria mettendo di nuovo al centro la figura dell’imperatore, rovesciando l’ormai noto sistema dello shogunato ed espellendo tutti gli stranieri in quanto considerati una minaccia per la vita della nazione.
All’interno di questo contesto storico, come già anticipato, si inseriscono le vicende di Ryoma, un giovane samurai di Tosa tornato a casa dopo un duro addestramento utile a perfezionare la nobile arte della spada. Dopo talune vicissitudini vissute da Sakamoto, compresa una gita in prigione, Like a Dragon Ishin! ci fa fare la conoscenza di Yoshida Toyo e Takechi Hanpeita, rispettivamente padre e fratello adottivo del protagonista; il primo è un ministro del Governo di Tosa, deciso più che mai a porre fine alle ingiustizie create da un assurdo sistema sociale di ranghi e classi, mentre il secondo è diventato il leader del Partito Lealista di Tosa, organizzazione che, alla pari di Toyo, ha come obiettivo quello di rovesciare il governo e porre fine agli abusi di potere dello stesso.
Toyo ed Hanpeita coinvolgono Sakamoto in un colpo di stato, ma, durante una riunione organizzativa, un misterioso assassino utilizzatore della tecnica del Tennen Rishin toglie la vita all’anziano Toyo; inutile affermare come Sakamoto, nel vano tentativo di rianimare il padre adottivo, viene creduto colpevole dell’omicidio e di conseguenza braccato dalle forze dell’ordine. Per questo motivo il protagonista decide dunque di fuggire da Tosa, alla ricerca di colui che ha tolto la vita all’uomo che gli aveva dato tutto.
La narrazione, dopo un time skip di circa un anno, si sposta tra le vie di Kyo, una Kyoto fittizia ed estremamente viva come da tradizione per la saga, ove le giornate di Sakamoto, che ha preso il nome di Saito Hajime, sono totalmente o quasi incentrate sulla ricerca degli utilizzatori del Tennen Rishin. Dopo un confronto con Hanpeita, piegatosi a quelle logiche che prometteva di voler distruggere, il protagonista scopre che in realtà gli utilizzatori del Tennen Rishin – tecnica ormai rara ed in disuso – fanno tutti parte di un’organizzazione di polizia chiamata Shinsengumi. Sakamoto dunque, risoluto più che mai nel trovare l’assassino di suo padre, decide andando contro ogni suo principio morale di unirsi alla Shinsengumi, facendo la conoscenza dei capi delle 10 unità di cui è composta l’organizzazione, tutti memorabili per caratterizzazione, tra cui spicca il sanguinario Okita Soji, reinterpretazione in salsa Edo del sempiterno Goro Majima.
Queste sono solo le premesse del comparto narrativo di Like a Dragon Ishin!; un comparto narrativo che non spicca per originalità nel suo svolgimento e che ha evidenti problemi di ritmo, dettati soprattutto dalla natura stessa del titolo e dalla saga di appartenenza, ma che riesce comunque a fare egregiamente il suo dovere. Nonostante infatti l’intreccio non spicchi per originalità, la commistione tra vicende storiche ed avvenimenti inventati ad hoc dagli sceneggiatori per l’occasione risulta essere estremamente riuscita, e capace di tenere incollato il giocatore allo schermo per le tante ore necessarie a portare a termine il titolo.
È un peccato tuttavia che, in questo lavoro di ristrutturazione, il team di sviluppo non abbia tagliato alcuni momenti morti o eccessivamente prolissi; si, la saga di Yakuza non ha mai puntato particolarmente sul ritmo, in pieno stile giapponese, ma abbiamo notato come negli ultimi capitoli del brand gli sviluppatori avessero comunque migliorato non di poco il pacing del racconto. Invece in questo prodotto sembra esserci stato un ritorno al passato che molti potrebbero non gradire e che, invece, siamo sicuri farà la felicità dei fan più sfegatati della saga.
Ad aumentare a dismisura la qualità della narrativa ci pensa la caratterizzazione di personaggi primari e secondari, tutti presi di peso dalla serie madre e riadattati per l’occasione; ognuno di essi è immediatamente riconoscibile, e modellato in maniera semplicemente egregia. Le motivazioni dei tanti comprimari diventano infatti più chiare con l’andare avanti della trama, ed il loro carattere – su cui è stata riposta estrema cura, esagerata se pensiamo all’epoca in cui uscì il titolo originale – è splendidamente delineato; non c’è un bianco o un nero, come da tradizione nella saga, ma una scala di grigi che vi permetterà di empatizzare con uno o l’altro personaggio.
Inoltre non possiamo non citare la ricercatezza con cui gli sviluppatori hanno ri-creato Kyo: una città viva, vigile, piena di sorprese ed insidie in ogni angolo, capace di risucchiare chiunque al suo interno esattamente come la Kamurocho che abbiamo imparato ad amare durante gli anni. La cura riposta nella riproposizione delle abitudini dell’epoca è enorme, e ciò non può che essere un grandissimo pregio oltre che un qualcosa di assolutamente apprezzato.
In sostanza dunque, nonostante un intreccio classico e privo di enormi sussulti, il comparto narrativo di Like a Dragon Ishin! non può che essere promosso a pieni voti. Chiunque sia pratico della saga troverà pane per i suoi denti, mentre chi non lo è dovrà scendere a patti con dei canoni narrativi che tendono spesso a spezzare il ritmo dell’azione a causa di filmati poco utili o di dialoghi particolarmente verbosi; a ciò si aggiunga una Kyo piena di storie da raccontare ed un cast ricchissimo, variegato e capace di rimanere a lungo impresso nella mente del giocatore.
Gameplay in pieno stile Yakuza, ma…
Dal punto di vista del gameplay, Like a Dragon Ishin! riprende tutti i canoni visti nei primi 6 capitoli della saga; volendo semplificare per i novellini, parliamo di un RPG open map ricchissimo di attività, ove le missioni secondarie sono importanti quasi al pari delle principali, arricchito da un combat system che ricorda quello di un picchiaduro a scorrimento, e che risulta essere allo stesso tempo accessibile ma molto tecnico.
Sakamoto infatti si ritroverà catapultato non solo nel completamento di tutto quanto richiesto per proseguire nella trama, con missioni piuttosto ripetitive nello svolgimento e dalla struttura tutto sommato semplice e poco articolata su cui non c’è moltissimo da dire, ma anche in una serie di attività secondarie che, come da tradizione, rappresentano il vero fulcro della saga ideata dai Ryu Ga Gotoku Studios. C’è spazio infatti per quest che vanno dall’housing al ritrovamento di particolari oggetti o alla vittoria in particolari combattimenti, passando per i sempiterni minigiochi – che rappresentano senza dubbio alcuno la parte più folle dell’intera opera – che saranno capaci di rubare ore ed ore del vostro tempo. Vi segnaliamo, a tal proposito, la già pubblicizzatissima modalità Another Life, che vedrà il nostro Ryoma mettere da parte spade e pistole per dedicarsi interamente ad una casa di Kyo, curandone l’orto e cucinando per la sua graziosa ospite.
Anche in Like a Dragon Ishin! è presente un sistema di legami, che miglioreranno o mediante il completamento di alcune quest secondarie, o mediante il semplice acquisto di merce dai commercianti di Kyo; tali legami saranno utili ad accumulare dei “punti Onore” che vi permetteranno di accedere a nuove missioni secondarie e che andranno ad aumentare la vostra reputazione sia con gli altri commercianti della zona, sia con i cittadini, che saranno più inclini a chiedere aiuto ad un temuto membro della Shinsengumi come Sakamoto.
Il titolo dunque, dal punto di vista del mero gameplay, non fa nulla per discostarsi dai dettami della saga madre; esso infatti scorre liscio, senza particolari sussulti relativi alle meccaniche di gioco, e sa come appassionare il giocatore soprattutto grazie a quanto detto poc’anzi relativamente alle attività secondarie. A farla da padrone, unitamente a queste ultime, è il combat system, rinnovato parzialmente in questo remake ma comunque fondato sulle basi che hanno fatto grande Yakuza, seppur con qualche variazione sul tema.
Quattro stili, un combat system
Sakamoto infatti basa il suo stile di combattimento non sulle mani nude, comunque utilizzabili, ma sull’utilizzo della sua fida spada e di un’arma da fuoco; il protagonista avrà infatti a sua disposizione ben quattro stili di combattimento diversi, esattamente come il caro vecchio Kazuma Kiriyu, tutti estremamente coreografici e basati ognuno sull’utilizzo di una specifica arma. Oltre al già citato stile “brawler“, in cui si combatterà solo con calci e pugni, abbiamo infatti lo stile “swordsman“, pesante e basato unicamente sull’utilizzo della spada, lo stile “gunman” che vi permetterà di utilizzare unicamente le tante bocche da fuoco presenti in maniera estremamente spettacolare, ed infine lo stile “dancer“, che è anche il preferito di chi vi scrive; con quest’ultimo infatti, estremamente veloce e coreografico, utilizzerete sia la spada sia la pistola in vostra dotazione, dando vita ad un tripudio di fendenti e proiettili che renderanno difficile la vita a chiunque tenterà di ostacolarvi.
L’alternanza di questi quattro stili è fondamentale per sopravvivere ai combattimenti più insidiosi, che richiederanno come sempre un abile utilizzo delle abilità sbloccate ad ogni level up – mediante uno skill tree estremamente intuitivo e profondo – e l’ovvio sfruttamento delle celeberrime e spettacolari finisher, ormai un marchio di fabbrica della saga. Ad aumentare il già altissimo tasso di spettacolarità dei combattimenti ci pensano le Trooper Card: queste carte, assegnabili ad ognuno dei quattro stili di combattimento, permetteranno al giocatore di avere innumerevoli vantaggi durante le tantissime battaglie presenti, e rispecchiano in pieno la follia che aleggia sull’intera serie creata dai Ryu Ga Gotoku Studios. Mediante l’utilizzo di queste infatti, sarà possibile ad esempio rallentare il tempo, evocare dei piccoli Shiba capaci di distrarre i nemici in battaglia grazie alla loro tenerezza, o chiamare a raccolta una serie di persone che si cimenteranno in un balletto utile a curare Sakamoto nel bel mezzo dello scontro con un boss.
Le Trooper Card aggiungono una varietà impressionante ad un combat system che è sì ben riuscito, ma che avrebbe necessitato di ulteriori limature per essere più al passo coi tempi; abbiamo notato infatti che talvolta gli input necessari per concatenare delle combo non vengono considerati, e che le hitbox soprattutto nei combattimenti più affollati risultano essere estremamente imprecise. Ciò, in un combat system sì frenetico ma comunque estremamente tecnico e complicato da padroneggiare a dovere, non può passare sottotraccia; un vero peccato, dato che nonostante le sbavature presenti i combattimenti risultano essere estremamente divertenti, per quanto ripetitivi sul lungo periodo.
In sostanza dunque il gameplay di Like a Dragon Ishin! non fa nulla per tradire la sua età, risultando essere sì estremamente piacevole e strutturato, ma ancorato comunque a delle meccaniche che col tempo si sono evolute e su cui grava in maniera piuttosto importante il peso degli anni. Anche il combat system, frenetico e spettacolare, ha qualche imperfezione, anche se siamo davanti ad un prodotto che risulta comunque essere di buonissima fattura.
Un remake riuscito a metà
Dal punto di vista tecnico infine, Like a Dragon Ishin! si colloca a metà tra la definizione di remake e quella di remastered. Nonostante infatti gli sviluppatori abbiano sostituito modelli, texture e sistema di illuminazione, il lavoro svolto non è neanche lontanamente paragonabile a quello eseguito con Yakuza Kiwami. Il colpo d’occhio nel complesso è ottimo, ma i frequentissimi caricamenti – che su PS5 risultano comunque essere molto veloci -, le transizioni poco pulite e gli scenari poco vari rendono chiaro il fatto che questo titolo appartenga in realtà alla scorsa generazione di console, e non ci sono 4K o 60 FPS che tengano come ipotetica giustificazione. Ottimo il doppiaggio interamente in giapponese ed il sonoro, così come la direzione artistica, sempre di altissimo livello. Si segnala inoltre la presenza dei sottotitoli in italiano, una novità approdata su Yakuza solo da qualche anno, oltre che quella di un apprezzatissimo glossario in game.
In conclusione..
Like a Dragon Ishin! è un ritorno al passato, in senso figurato e letterale. Il titolo infatti saprà come far appassionare i tanti fan che attendevano da tempo questa riedizione ma, allo stesso tempo, è ancorato a dei dettami ludici e tecnici che risultano essere ormai leggermente vetusti e fuori dal tempo. Siamo dunque davanti ad un prodotto “vecchio”, ma che si lascia giocare e che saprà comunque regalare ore ed ore di divertimento a chiunque deciderà di imbarcarsi in quest’avventura, purché scenda a patto con delle mancanze piuttosto consistenti. Chissà cosa sarebbe successo con un trattamento a là Kiwami…