Quando si parla del mondo della serialità bisogna sempre andare in punta di piedi. In un periodo in cui l’industria è in palese sovrapproduzione con piattaforme streaming che sfornano centinaia (se non migliaia) di serie l’anno, avere prodotti seriali o anche singoli episodi capaci di segnare la storia del mezzo diventa sempre più difficile.
Insomma, tanti progetti non corrispondono ad alta qualità e questo sembra che anche il pubblico lo stia imparando.
The Last of Us è la serie tv che, nell’ultimo periodo, meglio sta testimoniando quanto prendersi i propri tempi e curare tutto nei minimi dettagli tiri fuori prodotti che possano essere veramente ricordati.
E’ inutile girarci intorno, esisterà un prima e un dopo The Last of Us e non solo per il modo in cui lavora sul concetto di trasposizione ma anche su come riesce a trattare tematiche universali in un prodotto che, generalmente, dovrebbe essere di genere. Un survival action che ha la forza e la capacità di raccontare l’amore nella sua forma più sincera.
Quando un ‘bottle episode’ diventa un capolavoro narrativo
‘Long Long Time’, terzo eccezionale episodio di The Last of Us, può essere tranquillamente innalzato a simbolo del lavoro che la serie sta portando avanti.
Una volta episodi di questo tipo venivano chiamati “bottle episode”, realizzati per rientrare nei costi, con pochi attori, poche ambientazioni e un grande impegno di scrittura in modo da catturare lo spettatore anche senza imprese e scene mirabolanti.
Negli anni il modo di fare tv è cambiato ma, ovviamente, è rimasto un certo interesse dei registi e degli sceneggiatori nel realizzare episodi in cui la narrazione viene messa momentaneamente in pausa per raccontare storie collaterali.
E molto spesso, sono proprio questi episodi di “stallo” che si trasformano in veri e propri capolavori narrativi. L’episodio Fly di Breaking Bad è un esempio inestimabile di come questa tendenza abbia portato alla realizzazione di prodotti che hanno fatto la storia della serialità.
E non ci pentiamo di dire che la 1×03 di The Last of Us si inserisce proprio lassù in quell’olimpo di episodi scritti per rimanere.
*AVVERTIMENTO SPOILER*
The Last of Us: un terzo episodio pieno di licenze che elevano l’opera
Già all’uscita delle prime recensioni in anteprima molti avevano parlato della “miglior ora di televisione della storia recente” ma nessuno aveva avuto il coraggio di svelare qualcosa in più. Ma ora, ad episodio visto, non si può fare altro che essere d’accordo.
Fin dal primo momento The Last of Us si è contraddistinto per riuscire a ricreare fedelmente intere scene provenienti dal videogioco testimoniando quanto già l’opera videoludica avesse una visione incredibilmente cinematografica.
All’annuncio della serie tv, Neil Druckmann non si era risparmiato da affermare quanto la serie tv “fosse meglio del videogioco” capace di raccontare in maniera migliore storie che nel gioco erano state appena accennate, addirittura, in certi casi, cambiandole.
La 1×03 prende una direzione totalmente nuova ribaltando la prospettiva dei personaggi rispetto a quello a cui il pubblico era abituato nel videogioco. Un rischio perfettamente calcolato.
‘Long, long Time’ diventa la miglior definizione possibile del termine adattamento mettendo in piedi un episodio totalmente di scrittura che, proprio attraverso l’incredibile penna di Craig Mazin, riesce a raccontare una storia totalmente nuova capace di rientrare perfettamente nella narrazione principale.
La toccante storia di Bill e Frank (sostenuta dai magnifici Nick Offerman e Murray Bartlett) e lo struggente finale, non sembrano essere un di più ma qualcosa che ci svela lati nuovi della storia (il codice delle canzoni, la lettera di Bill) in totale sintonia con il viaggio di Joel ed Ellie.
Non si è soli, neanche in mezzo all’apocalisse
“I’m old. I’m satisfied, and you are my purpose”
Quello a cui si assiste già dopo i primi 15 minuti è un manifesto dell’amore universale e della capacità di riuscire a trovare uno spiraglio di luce anche quando la fiducia verso l’umanità sembra aver abbandonato qualsiasi cosa.
Quello che viene fatto è un salto indietro di 20 anni nella vita di Bill, survivalista, complottista che riesce ad eludere la FEDRA e a rimanere totalmente isolato nella sua cittadina nel quale costruisce una vera e propria fortezza.
Frank inciampa accidentalmente, dopo 3 anni, nella sua quotidianità confermando come anche un uomo senza alcun tipo di obiettivo e speranza verso il mondo possa trovare una luce.
Nel caso di Bill, la sua luce convola tutta in Frank e nella sua necessità di salvarlo e proteggerlo. La delicatezza con cui viene raffigurato l’amore maturo tra loro racconta come un sentimento possa crescere nel tempo, svilupparsi e cementarsi fino a diventare l’unico motivo per cui si rimane vivi.
The Last of Us: la lettera di Bill e la missione di Joel
“But I was wrong. Because there was one person worth saving. That’s what I did: I saved him. And I protected him. That’s why men like you and me are here: We have a job to do. And God help any motherfuckers who stand in our way.”
Se all’inizio può sembrare un semplice episodio di riempimento dedicato all’esplorazione della storia di due personaggi secondari, è sul finale che si capisce l’importanza del racconto per la trama generale.
La lettera che Bill lascia a Joel lo mette davanti ai propri fallimenti, al proprio dolore per la morte di Tess costringendolo a fare una scelta: chi salvare?
Il filo conduttore dell’intera serie continua ad essere “salva chi puoi salvare”, in un tentativo di trovare una traccia di umanità in un mondo che sembra averla persa.
La parentesi di Bill e Frank diventa l’esempio di quanto qualcuno che sembrava avesse perso totalmente la speranza diventando insensibile alla vita riesca, semplicemente attraverso l’amore di un’altra persona, a trovare un obiettivo e, soprattutto, a riconnettersi anche con il passare del tempo e alla paura che ce ne sia ancora troppo poco.
“I was never afraid before you showed up“
Bill & Frank: una storia d’amore capace di cambiare le cose?
“This isn’t the tragic suicide at the end of the play”
Una delle questioni che si è immediatamente aperta all’annuncio, mesi fa, di un episodio totalmente dedicato alla storia di Frank e Bill è stata quella del politicamente corretto e della saturazione, secondo molti, di storie a tematica LGBTQ+ all’interno delle serie tv.
Mai come in questo caso, la loro storia d’amore nel corso di quasi 20 anni diventa un modo per rompere totalmente gli stereotipi senza inserire nessun tropo ‘tradizionale’ (o almeno diventato così) del racconto LGBTQ+.
Nel genere action, sia al cinema che in tv, i personaggi omosessuali vengono sempre raccontati come macchiette o semplicemente relegati a storie senza alcun tipo di profondità. Insomma, in certi casi diventano veri e propri tappa buchi per prodotti di massa che hanno costantemente bisogno della quota “rappresentativa”.
Nel caso della 1×03 di The Last of Us siamo davanti ad un discorso totalmente diverso. ‘Long, long Time‘ è, probabilmente, una delle più grandi rivoluzioni silenziose degli ultimi anni capace non solo di raccontare la storia d’amore tra due persone dello stesso sesso senza ricorrere a nessun tipo di stereotipo ma, soprattutto, di diventare un esempio da seguire per coloro che, in futuro, vorranno inserire narrazioni di questo tipo in prodotti di genere horror-action.
Notoriamente, nel genere, non vengono mai portati avanti racconti con così tanta carica emotiva. Potremmo essere davanti ad una importantissima prima volta che potrebbe fare scuola nel mondo della tv, ma nessuno sembra essersene ancora accorto.
The Last of Us: genesi di un racconto di amore universale
The Last of Us propone una puntata che è destinata inevitabilmente a segnare il modo in cui vengono raccontate le storie d’amore all’interno del mondo seriale.
Un affresco di quasi 20 anni capace mettere in luce la crescita e la maturazione di due personaggi e, allo stesso tempo, di essere totalmente funzionale alla macrotrama.
Un eccelso lavoro di scrittura e racconto dei sentimenti che, nonostante le buone intenzioni, in pochi riescono a fare in un’ industria costantemente basata sul “di più” e non sul come.
Prendere una pausa da storie frenetiche e riuscire a raccontare un piccolo spaccato di mondo che, forse, potrebbe riuscire in qualche modo ad arricchire anche chi sta “spiando” attraverso lo schermo di una tv.
Una telecamera che, con occhio gentile, racconta come la serenità e l’amore possano essere trovati anche quando il mondo intorno a te sembra star finendo.
E forse potrebbe essere proprio questo ad aver esaltato il pubblico di tutto il mondo e ad aver portato tantissime persone a definire questa ora di tv come qualcosa che dovrebbe rimanere nel cuore e nella mente di chi ama le storie e il modo in cui vengono raccontate.
Siamo troppo emotivi? Forse, ma qual è la bellezza dei racconti se non suscitare ricordi ed emozioni? Sta tutto lì e in molti non l’hanno ancora capito.