Il periodo cupo nella quale si trovano gli USA, per quanto riguarda i diritti sessuali e riproduttivi, sembra continuare la sua spirale negativa. Nella terra della libertà, infatti, è arrivato un altro duro colpo ai suoi cittadini, stavolta per quanto riguarda i diritti della comunità LGBTQ+.
Un giudice federale degli USA venerdì ha deciso di bloccare temporaneamente la direttiva, voluta dall’amministrazione Biden, che vietava la discriminazione delle persone LGBTQ+. Il funzionamento di questa direttiva permetteva di estendere la protezione dei diritti civili agli studenti e ai lavoratori della comunità LGBTQ+.
La decisione arriva a distanza di circa un anno da quando un gruppo di 20 procuratori, appartenenti a vari stati conservatori degli USA, ha portato in causa due agenzie federali per la loro interpretazione di due statuti dei Diritti Civili americani. Secondo i procuratori, le agenzie e l’amministrazione Biden avrebbero infatti violato la legge federale, poiché non avrebbero implementato in modo corretto le direttive.
Cosa cambia per la comunità LGBTQ+ e cosa dicevano gli statuti
Le agenzie federali portate in causa stabilivano, nelle direttive approvate dall’amministrazione Biden, che le aziende e le scuole non potevano più negare alle persone transgender di accedere ai servizi igienici corrispondenti alla loro identità di genere individuale, e che gli studenti dovevano poter partecipare in sport di squadra nelle categorie corrispondenti alla loro identità.
Inoltre, le scuole finanziate da fondi federali avevano il dovere e la responsabilità d’indagare nel caso di eventuali episodi di discriminazione sessuale contro gli studenti.
Gli statuti interessati nella vicenda sono due: lo statuto dei diritti civili del 1972, conosciuto come Titolo IX, e il Titolo VII dell’Atto Dei Diritti civili del 1964. Il primo sancisce che sono proibite, nei programmi educativi e nelle attività sostenute da fondi federali, discriminazioni in base al sesso. Il secondo proibisce invece ai datori di lavoro di discriminare i lavoratori in base alla razza, al sesso e alla religione.
L’amministrazione Biden ha cercato di difendere la propria direttiva ricordano che era stata la Corte Suprema stessa, nel 2020, a decidere che il Titolo VII che impediva ai datori di lavoro di discriminare e licenziare i loro dipendenti si applicava anche nel caso delle discriminazioni nei confronti della comunità LGBTQ+:
“Non è possibile discriminare una persona perché transgender od omosessuale senza anche discriminarla per il proprio sesso”
Questa era la base sulla quale la Corte ha poi preso la storica posizione.
Il procuratore generale del Tennessee, uno degli stati che ha mostrato più apprezzamento per la decisione del giudice, ha detto che il governo ha messo gli stati in una situazione impossibile: scegliere tra la minaccia di conseguenze legali (tra cui l’interruzione dei fondi federali) e l’alterazione delle proprie leggi statali.
Sarà dunque possibile, per almeno 20 stati americani, attuare politiche discriminatorie nei confronti dei membri della comunità LGBTQ+ senza particolari ripercussioni e senza perdere i fondi federali. La decisione del giudice federale arriva in un momento d’intenso dibattito all’interno dell’opinione pubblica americana: da inizio anno sono state varate numerose decisioni restrittive mirate proprio ai membri della comunità LGBTQ+.