Vi ricorderete delle proteste di alcuni anni fa che coinvolsero gli autisti di Uber e i tassisti. Gli scontri tra le due fazioni erano diventati anche molto violenti, e tutto il mondo e la politica si era schierato condannando amaramente i perpetratori di tali atti.
Ebbene, un’inchiesta del Guardian, chiamata Uber-Files, adesso ha portato alla luce il lato oscuro della vicenda: attraverso un leak di più di 124.000 file, viene descritta la politica senza scrupoli di Uber, attuata tra il 2013 e 2017. Il leak descrive nel dettaglio le pratiche illegali ed eticamente scorrette operate dall’azienda di car sharing con l’obiettivo di diffondere in varie città del mondo il suo servizio.
I file riguardano gli anni in cui a capo dell’azienda c’era Travis Kalanick. Durante questi cinque anni, l’azienda ha contravvenuto alle leggi e ignorato le regole, ha ingannato le forze dell’ordine, ha cercato di portare dalla propria parte i governi e ha sfruttato proprio quelle violenze avvenute contro i suoi autisti, spingendoli anche ad andare di proposito ai sit-in dei tassisti apposta per creare controversie e scontri, senza curarsi delle possibili conseguenze per la loro l’incolumità.
Come funzionava il piano di Uber e quali leader sono coinvolti
Uber, a quanto emerge dai file, avrebbe tentato dunque di espandersi in modo aggressivo: l’idea era quella di portare dalla propria parte vari politici europei con l’obiettivo di distruggere il settore taxi europeo. È tutto provato da email, telefonate e messaggi.
Le registrazioni e i messaggi indicano chiaramente che i pezzi grossi dell’azienda erano ben al corrente di star infrangendo la legge. In uno scambio, un dirigente dice scherzosamente “siamo diventati dei pirati”, un altro dirigente ancora invece dichiara “siamo solo f*******e illegali”.
Nei leak si può leggere anche il pieno coinvolgimento del premier francese Emmanuel Macron. Il capo di Uber e il presidente francese si sono scambiati numerosi messaggi e Macron, secondo quanto scritto, avrebbe aiutato Kalanick quando era ministro dell’economia, appoggiando leggi che avrebbero tutelato gli interessi dell’azienda di carsharing. Tutto questo nel 2014, in un periodo di grandi tensioni tra Uber e i tassisti che protestavano contro la piattaforma.
I dirigenti dell’azienda provarono a ottenere lo stesso appoggio con Olaf Scholz (che al tempo era sindaco di Amburgo), che però si rifiutò e fu definito dagli stessi dirigenti, in una conversazione, “Un vero comico”.
Anche Joe Biden finì nel mirino dell’azienda, quando era ancora vice-presidente. Biden ai tempi era un sostenitore di Uber, e l’azienda riuscì a ottenere un incontro con lui. Il vice-presidente arrivò però in ritardo all’incontro, causando l’irritazione di Kalanick che messaggiò a un collega: “Ho fatto sapere che ogni suo minuto di ritardo sarà un minuto in meno con me”.
Per quanto riguarda l’accusa di aver sfruttato le violenze contro i propri autisti, la questione riguarda le proteste che ebbero luogo nel 2016, quando la lotta tra gli autisti dell’azienda e i tassisti era nel vivo della questione in Belgio, Spagna, Italia e Francia. Kalanick ordinò ai suoi dirigenti francesi d’incoraggiare gli autisti della sua azienda a una contro-protesta e alla disobbedienza civile.
Kalanick fu avvisato che in questo modo avrebbe messo a rischio i suoi autisti di violenze e ripercussioni varie, ma non sembrò affatto preoccupato di ciò e anzi, disse: “Credo che ne valga la pena. La violenza garantisce il successo”:
È indubbio che spesso gli autisti dell’azienda di car sharing sono stati oggetto di violenze e che spesso si sono trovati a confrontarsi con servizi taxi chiaramente favoreggiati dalle autorità locali, tanto che spesso il mercato dei taxi è stato definito alla pari di un “cartello”. Ma la politica e le azioni della famosa azienda si sono rivelate altrettanto illecite.
Spesso gli uffici di Uber sono stati invasi e perquisiti dalle autorità, finché Uber non ha sviluppato un sofisticato sistema per ingannare le forze dell’ordine. I file si riferiscono a una pratica, chiamata “kill switch”: quando un ufficio veniva invaso, i dirigenti ordinavano al personale informatico di tagliare qualunque collegamento al sistema principale custode dei dati, in modo da non permettere alle autorità di ricavare alcuna informazione. Per questa pratica, Uber è stata accusata di ostruzionismo nei confronti della legge.
L’inchiesta del Guardian è ancora molto lunga e ricca di altri dettagli sulla questione, ma una cosa è sicura: Uber è nei guai.
Fonte: The Guardian