Migliaia di donne statunitensi stanno eliminando dal loro smartphone le app che monitorano il ciclo, per paura che i dati raccolti possano essere usati contro di loro negli stati dove l’aborto è reato. In questi giorni in cui gli Stati Uniti sono scossi e preoccupati dall’annullamento della sentenza Roe v. Wade, alle già tante preoccupazioni destate dalla decisione non fanno che aggiungersene altre.
In alcuni Stati del Paese, infatti, praticare l’aborto sarà non solo vietato, ma considerato un vero e proprio reato punibile con multa o detenzione, sia per il medico che lo effettua che per il paziente. La legge prevede, inoltre, che per perseguire penalmente chi commette un reato le autorità possano avvalersi dei dati raccolti dalle app e dalle ricerche effettuate su Internet.
È stata proprio questa consapevolezza a far preoccupare chi utilizza le app per monitorare il ciclo e la gravidanza, come Flo o Clue, che negli USA sono usate da almeno un terzo delle donne americane. Queste app aiutano infatti le donne a tracciare il ciclo e prevedere (o evitare) la gravidanza. La paura scaturisce dal fatto che potrebbero costituire, per l’autorità, indicazioni dell’aver anche solo pensato d’interrompere una gravidanza.
L’ipotesi non è così surreale: già nel 2015 Purvi Patel, una donna dell’Indiana, è stata condannata dopo che la cronologia delle sue ricerche online e le sue conversazioni hanno indicato alla Corte l’intenzione della donna d’interrompere una gravidanza.
La risposta delle app e la preoccupazione verso i “cacciatori di taglie” contro l’aborto
In seguito alla notizia della sentenza sull’aborto, sono arrivate le risposte delle app. L’applicazione Clue, di nazionalità tedesca, ha risposto alle preoccupazioni affermando di sottostare alle leggi europee sulla privacy e sul trattamento dei dati personali, più severe di quelle americane. Tuttavia ciò non impedirebbe comunque alle autorità statunitensi di costringere le app a ottenere l’accesso ai dati in caso di necessità legale.
L’applicazione Flo, invece, ha annunciato l’introduzione di una modalità anonima sulla sua app, che dovrebbe così permettere di proteggere i dati degli utenti. L’annuncio non è stato accolto con molta fiducia, poiché l’app è già stata protagonista di un’inchiesta del Wall Street Journal che la accusava di comunicare a Facebook i dati delle utenti riguardanti il ciclo o la ricerca di una gravidanza.
Anche Kamala Harris, la vicepresidente, ha riconosciuto che le donne che usano tali app (o che semplicemente cerchino online qualcosa d’inerente all’aborto) potrebbero incorrere in dei problemi se tracciate dal governo o dai cosiddetti “cacciatori di taglie”: si tratta di comuni cittadini che, in cambio di un cospicuo pagamento, trovano e denunciano i pazienti e i medici abortisti.
È già da diverso tempo che i gruppi antiabortisti utilizzano la sorveglianza digitale per individuare chi pratica l’aborto, ma fino a ora ciò accadeva attraverso mezzi limitati. Dopo questa sentenza, le donne americane avranno davvero molti occhi puntati addosso, sia nella vita reale che in quella virtuale. Online sono già comparsi i primi consigli per proteggersi dal tracciamento dei dati. Tra gli altri: usare una VPN, lasciare a casa il telefono e coprirsi il volto quando si accede a una clinica.
Fonte: Abc.net