Quando all’inizio della stagione autunnale 2021 decisi di inserire Ranking of Kings nella lista degli anime consigliati feci essenzialmente una scommessa. Non avevo la benché minima familiarità con il materiale originale, il suo autore era alle prime armi, e le interessanti premesse su cui si basava la trama non rappresentavano una garanzia dalle durature prospettive. L’aspetto del trailer che mi catturò maggiormente, e che di conseguenza mi spinse a consigliarlo, fu il brillante lavoro di trasposizione svolto dallo staff di WIT Studio, capace di conferire all’opera un’atmosfera vivace e fiabesca.
Ma tutto il resto — tutta quella grande incognita riguardante principalmente il futuro della narrazione e dei personaggi che la compongono — non poteva che rimanere lì in stasi, come in attesa della prova del passare degli episodi. Adesso ci avviciniamo alla fine della serie e, per quanto non sia ancora il momento giusto per tirare definitivamente le somme, sono sempre più convinto di essermi assunto un buon rischio.
Che quest’articolo inizi con un insignificante aneddoto riguardante una scommessa non è affatto casuale, e il motivo è che Ranking of Kings stesso deve la sua esistenza ad un azzardo, ma ben più grande di quello che ho preso io. All’età di ben 41 anni Sōsuke Tōka ha preso la drastica decisione di abbandonare il suo sicuro lavoro di salaryman per fare quello che ha sempre desiderato, il mangaka. Notare come senza questa scelta ci saremmo persi una storia così coinvolgente, incalzante e profonda non può che indurci a perseguire noi per primi ciò che amiamo.
Tutto questo presumendo che qualcuno la stia effettivamente seguendo questa serie. D’altronde sbucare fuori nello stesso periodo di altri top player del settore come Demon Slayer, L’Attacco dei Giganti e Mushoku Tensei rischia già da sé di rivelarsi penalizzante, e considerando quanto poco conosciuto fosse il manga di riferimento e quanto il lato estetico rischi di rivitalizzare alcuni dei più classici pregiudizi che affliggono il medium… diciamo che la situazione non è proprio delle più ideali. Eppure Ranking of Kings merita seriamente le luci del palcoscenico, e tutto questo silenzio attorno a quella che è obiettivamente una delle migliori offerte delle ultime due stagioni è un crimine che ogni appassionato dovrebbe denunciare.
Basta dare uno sguardo anche solo al trailer della serie per notare un’aura decisamente particolare rispetto a ciò che mediamente siamo abituati a vedere nel panorama anime contemporaneo. Colori piatti e vivaci; ombreggiature spesso ridotte al minimo indispensabile; design semplici, tondeggianti e malleabili: insomma, quest’anime sembra veramente uscito da una classica fiaba… ma guai a considerare ciò come un difetto. La fiaba è un tipo di narrazione con una dignità e tradizione tutta sua, e tentare di screditarla relegandola ad un banale racconto indirizzato ai bambini è tremendamente riduttivo. In passato le fiabe venivano raccontate anche tra adulti, è soltanto dal diciannovesimo secolo in poi che hanno iniziato a venire percepite come racconti per bambini.
Questo graduale mutamento ha trasformato storie a tratti anche raccapriccianti come La Sirenetta di Andersen nel racconto che conosciamo oggi, ed è curioso notare che questo parziale processo di addolcimento sia avvenuto in considerevole parte proprio attraverso l’animazione e, più nello specifico, attraverso il lavoro di Disney. Ma anche prendendole in esame per come vengono percepite oggi, è sorprendente notare la superficialità con cui si decide a priori che una storia indirizzata ad un pubblico giovane non abbia nulla da insegnare agli adulti o che non possa in alcun modo intrattenerli — un po’ come la solita diatriba tra shōnen e seinen che ancora oggi, purtroppo, continua ad infiammare parecchie discussioni tra presunti appassionati.
Dal canto suo Ranking of Kings scende in campo a sfidare questa concezione, e lo fa affrontando in maniera assolutamente matura importanti e delicate tematiche, pur non rinunciando del tutto alla sua essenza di racconto fondamentalmente motivazionale in cui il giusto e il bene trionfano sull’ingiusto e sul male.
Il Re in rovina; il patto diabolico con un’altra entità; lo specchio magico; la matrigna cattiva: tutti elementi tipici della narrazione fiabesca che chiunque deve aver sentito menzionare almeno una volta nella sua vita. Ad essere così interessante è proprio la maniera in cui Ranking of Kings prende spunto da ognuno di essi, facendoli suoi e dando così vita ad un contesto credibile e dalla spiccata personalità all’interno del quale sviluppa con notevoli sfaccettature i suoi personaggi principali. Nonostante la presenza di alcune trovate dal sapore maggiormente originale (Bojji stesso non è affatto un protagonista comune per il suo tipo di storia), l’aspetto più affascinante della serie è proprio la maniera in cui ridà vita all’immensa quantità di libri illustrati che amavamo farci leggere da bambini.
Un’altra trovata decisamente affascinante è il contrasto che si genera tra l’estetica cartoonesca e vivida dell’opera e la rappresentazione visiva, talvolta anche molto esplicita, di sviluppi narrativi decisamente cupi, o a tratti persino macabri. In questo senso è difficile pensare che lo staff della serie non abbia intenzionalmente puntato su questo fattore. D’altronde l’idea di abbattere le apparenze ricopre un ruolo centrale anche dal punto di vista narrativo.
Bojji è un ragazzino tremendamente importante per il suo popolo; un giorno sarà proprio lui a doverlo condurre verso la prosperità. Il problema è che il principino è afflitto da tutta una serie di condizioni che minano la fiducia del prossimo nei suoi confronti e rendono quel suo futuro inizialmente certo un obiettivo per il quale dovrà combattere con tutte le sue (esigue) forze. A causa del sordomutismo — e non solo — il piccolo erede al trono è oggetto di scherno da parte dei suoi potenziali sudditi; quelle stesse persone che si dovrebbe ritrovare a proteggere. Persino i membri della sua famiglia e della corte — almeno all’inizio — non nutrono alcuna speranza nei suoi confronti, anzi tendono a soffocare le sue attitudini naturali perché ritenute inadatte al prestigioso ruolo che lo attende.
Nel suo essere “diverso” da chi lo circonda, Bojji è in un certo senso il più umano di tutti, e il motivo è che la sua condizione lo rende spaventosamente più sensibile agli stimoli esterni. Nelle primissime fasi del racconto Bojji incarna un concetto di superamento tremendamente ispirante e commovente perché il suo tragitto verso il successo non lo allontana dall’uomo comune, spingendolo verso i reami dell’impossibile e, dunque, via dalla portata dello spettatore. Il nostro protagonista lotta per la “normalità”; si dimena disperatamente perché gli sia concessa una possibilità, per poter compiere gesta che la maggior parte delle persone danno per scontate, e per difendere la sua dignità.
Eppure, nonostante le apparenze, Bojji è un ragazzo indubbiamente brillante. Semplicemente lo è a modo suo… ed il punto è proprio lì. Il problema vero di Bojji non è il sordomutismo, ma in generale l’inadeguatezza della sua condizione fisica e delle sue predisposizioni. Il principino sarà pur nato in un mondo in cui la forza rappresenta soltanto uno dei criteri da valutare per classificare i regni, ma nel concreto la violenza è comunque parte integrante della quotidianità; lo strumento principale attraverso il quale generare il cambiamento.
Volente o nolente, Bojji deve fare i conti con questa realtà dei fatti: rispondere al pregiudizio con la bontà d’animo e alla frustrazione con le lacrime è senz’altro un meccanismo umano di fondamentale importanza, ma non si può pretendere di scalare una montagna senza gli arpioni. Se Bojji ambisce alla fiducia del suo popolo e di chi gli sta intorno; se desidera veramente quella possibilità; se vuole sul serio provare a se stesso di essere ben più di ciò che avrebbe dovuto ereditare da suo padre, allora non ha altra scelta che diventare veramente forte.
La storia in cui un pesce fuor d’acqua trova il suo posto nel mondo puntando sui suoi talenti è in fondo anche quella dell’autore stesso, ma a sorprendere ancora di più è la concretezza del suo messaggio di fondo. Bojji non può accontentarsi di aver ottenuto gli arpioni. Adesso deve scalare, e la brutta notizia è che non sarà affatto facile.
Nel tentativo di riprendere ciò che è suo, Bojji affronta uno straordinario percorso di crescita che lo espone alla crudeltà dell’essere umano e a delle dolorose verità, ma anche alla bontà e all’amore del prossimo. In poche parole Bojji sta affrontando la vita, e anche se inizialmente è la pena nei suoi confronti a procurargli degli alleati, il coraggio e la determinazione con cui ne affronta gli ostacoli sono ciò che gli ha permesso di arrivare fino a dov’è ora. Tutte queste significative esperienze che sta facendo, e la crescita caratteriale che le accompagna, sono il vero tesoro del suo viaggio, e stanno contribuendo a formare il sovrano che tutti speriamo di vedere in futuro. Un sovrano molto più che semplicemente “forte”.
Ranking of Kings è disponibile in streaming legalmente su Crunchyroll.