Le scellerate condizioni lavorative che caratterizzano l’industria degli anime sono ormai un argomento ampiamente documentato. Basse paghe, turni estenuanti e condizioni disumane sono all’ordine del giorno, dunque per quale ragione tutte le menti creative che sorreggono sulle loro spalle la produzione degli anime non si uniscono per cercare di far valere la loro voce e cambiare le cose?
La formazione di sindacati da parte degli “anelli deboli” della catena sembra lo scontato passo successivo verso la risoluzione delle problematiche che essi affrontano nel quotidiano, ma la realtà è che la questione è ben più complessa di così e coinvolge diversi fattori che interagiscono tra loro, rendendo nel concreto questa possibilità di difficile attuazione.
A spiegarlo è Masuo Ueda, producer veterano del settore ospitato sul canale YouTube della character designer Terumi Nishii, nota al grande pubblico per la realizzazione dei design dell’adattamento animato de Le Bizzarre Avventure di Jojo: Diamond is Unbreakable.
Secondo Ueda, vi sono diverse ragioni per cui gli artisti del settore continuano a venir pagati poco e non uniscono le loro forze:
I budget sono inadeguati, e ci sarà sempre qualcuno disposto ad accettarli
Ueda fa notare che soltanto alcuni studi d’animazione di alto profilo, come Ghibli e Khara, contano con un brand così solido da potersi permettere di autofinanziare i propri progetti. Tutti gli altri dipendono da progetti a loro commissionati dai comitati di produzione o da colossi internazionali come Netflix; progetti che spesso e volentieri vengono finanziati con budget che non permettono agli studi d’animazione di ottenere considerevoli margini di guadagno. Rifiutare tali progetti nella speranza di costringere i comitati o i colossi streaming ad aumentare i budget è una scelta che non funzionerebbe, in quanto ci sarà sempre un altro studio disposto ad accettarli. Allo stesso modo, se lo staff che partecipa a tali progetti rifiutasse per principio, semplicemente verrebbe sostituito con chi è disposto ad accettarli.
L’industria degli anime è composta principalmente da freelancer
Agli albori dell’industria, quando Toei Animation si chiamava ancora Toei Douga, molti degli artisti che lavoravano nel settore erano effettivamente degli impiegati. Oggigiorno, tuttavia, la maggior parte sono freelancer, e ciò rende più difficile organizzarsi.
Gli studi d’animazione sono ormai amministrati da uomini d’affari
In passato a creare e gestire nuovi studi erano persone con “una filosofia”. Ueda fa l’esempio di Osamu Tezuka e Tatsuo Yoshida. Oggigiorno, invece, a tenere in mano le redini sono uomini d’affari, spesso perché gli studi d’animazione sono proprietà di grandi corporazioni. Per questo, il benessere dello staff non è prioritario per loro.
L’apatia degli artisti del settore
Quando la Janica (Japanese Animation Creators Association) venne fondata nel 2007, Nishii sottolinea che i suoi colleghi reagirono con indifferenza. Pochi credevano che sindacalizzarsi avrebbe funzionato, e il fallimento di Janica non fece altro che alimentare tale idea.
La paura di ripercussioni
“Basta guardarsi intorno per trovare molte facce conosciute”, afferma Ueda. Per questo il producer ritiene che formare un sindacato sia molto complicato. Ueda potrebbe star facendo riferimento alla paura che molti artisti nutrono nell’inimicarsi gli studi d’animazione qualora provassero a lottare per delle migliori condizioni lavorative.
Come risolvere la situazione?
Secondo Ueda, l’iniziativa dovrebbe partire dagli artisti più anziani o comunque che occupano un ruolo di responsabilità maggiore. Figure come quelle dei supervisori delle animazioni o dei character designer sono cruciali per le produzioni anime, e dovrebbero far valere il loro peso. Col passare del tempo, aggiunge, quell’iniziativa potrebbe iniziare a diffondersi.
Fonte: Cartoonbrew