Il nuovo film di Ridley Scott presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2021, è approdato dal 14 ottobre nelle sale italiane.
L’opera, tratta dal libro di Eric Jager The Last Duel: A True Story of Trial by Combat in Medieval France, che a sua volta si ispira a fatti realmente accaduti in periodo medievale, cerca di far luce sulle cause che hanno portato all’autorizzazione dell’ultimo duello tenutosi in Francia che vide protagonisti Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, rispettivamente interpretati, nella pellicola, da Matt Damon ed Adam Driver.
Il Duello di Dio
L’interezza della storia di The Last Duel, la quale è ambientata durante il regno di Carlo VI, è incentrata sul “Duello di Dio” disputatosi tra il cavaliere Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, suo scudiero ed amico, a causa di un presunto stupro avvenuto ai danni di Marguerite, moglie di Jean.
Il Duello di Dio era una forma giudiziaria tipica del periodo medievale in Europa, diffusa soprattutto tra i popoli di ceppo germanico. Questa consisteva nel risolvere una contesa giudiziaria attraverso un duello tra due persone: la vincita, secondo la credenza, non sarebbe dipesa dalle capacità dei combattenti, bensì dalla volontà di Dio, che avrebbe premiato colui che fosse stato nel giusto.
L’espediente delle tre “verità”
La narrazione, semplice e lineare, è strutturata in tre capitoli, ognuno dei quali espone il punto di vista di uno dei tre protagonisti secondo tre diverse “verità”: quella di Jean, quella di Jacques e, infine, quella di Marguerite.
Questo espediente narrativo mette subito in chiaro l’impossibilità di far luce su eventi accaduti, dei quali non si è stati testimoni. Sottolinea, a maggior ragione, la relatività della percezione di determinate situazioni.
La suddivisione in questo modo del film ha permesso a Ridley Scott di trasporre una vicenda realmente accaduta sul finire del XIV secolo, di cui, però, ci è pervenuto con esattezza soltanto il verdetto finale. Storicamente parlando, infatti, non ci sono prove che lo stupro di Lady Marguerite sia effettivamente accaduto, ma si conosce con esattezza solamente l’esito del duello.
Il punto di vista dei due uomini è costruito attraverso testimonianze storiche, atti di tribunale, usi e tradizioni dell’epoca, quindi risulta più veritiero rispetto alla terza “verità”, ovvero il punto di vista della donna e reale vittima dell’accaduto.
Per quanto brutale sia da considerarsi l’atto di stupro, infatti, non si dovrebbe dimenticare che l’epoca in cui i fatti narrati si svolgono è quella medievale, quindi un periodo in cui il concetto di “moglie” e “donna” era molto lontano da quello odierno.
Il film, proprio a tal proposito, sottolinea in più punti che, seppur vi sia un processo in atto, questo sia per giudicare un crimine ai danni dell’uomo e non della donna abusata. Jean de Carrouges, quindi, è disposto a perdere la propria vita per orgoglio e non di certo per proteggere e difendere la moglie.
Un pensiero troppo moderno
Seppure questo concetto venga ben esplicato nella pellicola, il messaggio che alla fine arriva allo spettatore è troppo moderno per il contesto a cui viene applicato.
Nella parte finale, quando l’accaduto viene mostrato attraverso gli occhi di Marguerite, Scott ci mostra una riflessione profonda sul consenso, sul maschilismo e sulle conseguenze che comporta, nella vita di una donna, la denuncia degli abusi. L’attenta ricostruzione storica ed i costumi, agli occhi dello spettatore, passano improvvisamente in secondo piano, perché si viene catapultati all’interno di una situazione di grandissima attualità.
Eppure questa terza “verità”, che avrebbe dovuto dare un taglio più decisivo e brutale alla storia, risulta essere quello più scadente. La visione degli eventi di Marguerite, infatti, non apporta niente di nuovo alle due precedenti. Lo spettatore si trova a rivivere le stesse situazioni attraverso gli occhi della donna, ma senza che queste aggiungano niente in più a quanto egli non sappia già.
Il tutto si discosta dai precedenti punti di vista a causa della sceneggiatura: Marguerite è un personaggio molto più vicino ai giorni nostri, per linguaggio e mentalità, di quanto non lo siano i due duellanti.
Un finale prevedibile e poco drammatico
Arrivando a quello che è il vero fulcro della storia di The Last Duel, ovvero l’esito del duello, si potrebbe azzardare che questo sia fin troppo scontato. I dialoghi sulla condizione della donna e su ciò che è costretta a sopportare pur di sopravvivere in un mondo dominato dal maschilismo, ci portano fin da subito a capire da quale parte verteranno il giudizio di Dio e, più ovviamente, quello di Ridley Scott. A questo, inoltre, si può aggiungere anche la mancanza di drammaticità della scena.
Se l’intento del regista era quello di commuovere, mostrando l’esito finale di quella che era stata un’amicizia, questo fallisce miseramente, perché i due personaggi entrano in conflitto tra di loro sin dall’inizio del film, senza essere mai amici per davvero. Il finale, quindi, manca di emotività e drammaticità, restando solamente cruento e prevedibile.
Ad ogni modo The Last Duel rimane godibile, anche grazie alla maestria e l’accuratezza dei dettagli che Ridley Scott riesce ad inserire in ogni sua pellicola. I costumi e le atmosfere ci fanno tornare indietro nel medioevo, seppure il messaggio sia palesemente rivolto ad un pubblico moderno: gli applausi non sono per i vinti o i vincitori, ma per chi, nonostante abbia tutto da perdere, ha il coraggio di non tacere.