La Cina è lo Stato che consuma più energia elettrica al mondo, oltre ad essere anche quello ad emettere più CO2. In un presunto tentativo di limitare l’aumento dei costi dell’energia dovuto ad un aumento dei prezzi a livello globale, e cogliendo la palla al balzo per ridurre anche le emissioni, il governo cinese ha letteralmente tolto la corrente ad alcune delle sue più grosse fabbriche. Il governo ha inoltre intenzione di interrompere la fornitura elettrica alle fabbriche secondo orari prestabiliti in futuro.
Azioni drastiche come queste porteranno sicuramente instabilità nel mercato dell’elettronica a livello globale, in quanto compagnie come Apple, Intel, Nvidia, Qualcomm e Tesla potrebbero rischiare di ritrovarsi senza componentistica.
Come ridurre le emissioni? Semplice, staccando la corrente!
La settimana scorsa il presidente cinese Xi Jinping ha parlato alle Nazioni Unite, dicendo che la Cina non costruirà più centrali a carbone da ora in avanti, che punterà di più su risorse energetiche alternative, inoltre si pone l’obiettivo di diventare “carbon neutral” entro il 2060. Peccato però che sempre in Cina, nel 2019, intorno al 65% dell’energia elettrica veniva prodotta dalle centrali a carbone, e i prezzi del carbone nell’ultimo periodo hanno iniziato a salire rapidamente.
Per controllare le emissioni di CO2 e ridurre la spesa, il governo cinese ha ordinato alle province del Jiangsu, Zhejiang, e Guangdong (dove si trovano buona parte delle fabbriche fornitrici di componentistica tech) di ridurre il loro consumo elettrico. Siccome però non è possibile implementare nuove tecnologie che portino ad un risparmio energetico con così poco preavviso, i governi locali hanno deciso di tagliare la corrente alle fabbriche per un tot di giorni ogni mese.
Oltre a ridurre le emissioni, le misure drastiche adottate dalla Cina dovrebbero portare anche a un abbassamento dei prezzi di fonti fossili come carbone, petrolio e gas naturale, permettendo ai produttori di energia, dato il calo della richiesta da parte dello Stato cinese, di procurarsi la materia prima a prezzi più bassi, rimettendo in sesto il mercato energetico.
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Essendo però la Cina la prima industria manifatturiera di prodotti tecnologici, restrizioni di questo tipo avranno un impatto a livello globale sul mercato dell’elettronica e dei semiconduttori, già messo in ginocchio dalla pandemia.
Alcuni devono fermare la produzione…
Numerose aziende taiwanesi con fabbriche di semiconduttori collocate in Cina, produttrici di chip per compagnie come Intel, Nvidia e Qualcomm hanno ricevuto l’ordine di fermare la produzione nella provincia di Jiangsu per alcuni giorni. Dato che aziende come queste ricevono i cosiddetti “wafer” dai loro clienti e non hanno modo di riallocarli in così breve tempo, l’arresto della produzione in queste strutture comporterà un ritardo nelle spedizioni, e l’implementazione di turni di notte quando la fabbrica potrà tornare operativa.
Eson Precision Engineering, società che rifornisce hardware per Apple e Tesla, ha comunicato che anch’essa si vedrà obbligata a sospendere la produzione per alcuni giorni, ma ha anche riferito come in un tentativo di riuscire a mantenere le spedizioni puntuali, chiederà ai propri dipendenti di effettuare turni di notte.
Unimicron Technology, uno dei principali produttori di circuiti stampati, aumenterà la produzione nelle altre strutture non colpite dal taglio della corrente, in modo da sopperire allo stop delle fabbriche nella provincia di Jiangsu.
…altri no.
Non tutte le fabbriche nelle province menzionate sono state forzate a fermare la produzione però. Le limitazioni infatti non saranno applicate ad aziende con cicli di produzione che non possono essere fermati, incluse le fabbriche di semiconduttori.
Inoltre, società che pagano più tasse o piccole imprese concentrate sullo sviluppo di tecnologie avanzate e specializzate non saranno colpite dai tagli ai consumi, secondo il DigiTimes, il quale cita fonti anonime con informazioni a riguardo.
Foxconn, il più grande fornitore al mondo di prodotti elettronici, ha dovuto fermare la produzione nelle provincie di Longhua, Guanlan, Taiyuan, e Zhengzhou già da lunedì, secondo Nikkei. Foxconn è il partner numero uno di Apple, in quanto l’azienda produce iPhone, iPad, Macbook e una miriade di altri prodotti.
Pegatron, la quale produce anch’essa iPhone, ha comunicato a Nikkei come invece le sue strutture hanno continuato ad operare normalmente, ma che comunque, nel caso in cui rimanessero senza corrente, avrebbero accesso a dei generatori a diesel per mantenere operativa la struttura.
Molte fabbriche situate in Cina avevano accesso a generatori diesel, ma negli ultimi anni la maggior parte sono stati smantellati. Le aziende che li montano ancora avranno quindi modo di mantenere operativa la produzione, anche se ad un costo sicuramente più elevato.
Quali sono le motivazioni?
La Cina non è tra gli stati più inquinati al mondo, nonostante alcune delle sue città lo siano, eppure emette più CO2 di qualsiasi altro Stato e l’inversione di tendenza non avverrà prima del 2030. Al momento il governo sta cercando di diminuire il consumo elettrico, e di conseguenza le emissioni con modalità parecchio drastiche.
La domanda però è: qual è il motivo dietro queste azioni?
Le misure potrebbero portare sì a un calo del prezzo dell’energia, ma è più probabile che il risultato sia minimo e di certo non duraturo sul lungo termine.
Certo, essendo le fabbriche obbligate a fermare la produzione, l’inquinamento sarà ridotto. Oppure no, in quanto come detto prima alcune fabbriche sono dotate di generatori a diesel altamente inquinanti, ed altre invece semplicemente aumenteranno la produzione in strutture non colpite dai blackout.
In generale, le società troveranno un modo di mantenere il ritmo di produzione il più stabile possibile, adattandosi alle nuove restrizioni, e ciò vuol dire che i consumi e le emissioni rimarranno prettamente gli stessi. Sicuramente questa situazione metterà sotto ulteriore stress il settore dei microchip, il quale è già in difficoltà, ma comunque i danni saranno mitigati.
Tutto ciò potrebbe anche essere una mossa fatta dalla Cina per colpire gli USA nella guerra commerciale nella quale le due superpotenze si trovano al momento, ma anche qui, le aziende troveranno il modo di mantenere i soliti ritmi, e quindi non andranno ad impattare negativamente sull’economia statunitense.
Fonte: The Guardian