«Addio a tutti gli Evangelion», sono queste le parole con cui Shinji comunica con chiarezza allo spettatore le sue già plateali intenzioni: creare un mondo diverso da quello che abbiam visto finora; andare avanti ricominciando da zero. L’addio di Shinji agli Evangelion è anche il nostro, la dolce conclusione di un’amara storia che, per più di vent’anni, ha fatto crescere i suoi seguaci ed è cresciuta insieme a loro. Ma soprattutto, l’addio di Shinji agli Evangelion è quello di Hideaki Anno ad Evangelion: a quel prodotto che altro non era che lo specchio della sua anima traviata dal gigantesco peso della depressione.
«Ho provato a riversare tutto me stesso in Neon Genesis Evangelion: un uomo distrutto che non è riuscito a far nulla per quattro anni. Un uomo che è fuggito, privo di qualsivoglia scopo. Poi una molla mi è scattata in testa, “Non puoi continuare a fuggire”, e così ho reiniziato la sua produzione. Il mio unico pensiero era quello di incidervi dentro i miei sentimenti».
Adesso, a distanza di quasi ventisei anni e svariati tentativi, Hideaki Anno è riuscito a trovare un finale per quella che è indubbiamente la sua serie più rappresentativa. Neon Genesis Evangelion è sempre stato lo specchio della sua anima, e questa adesso è riuscita ad intravedere la luce in fondo al tunnel.
In effetti Evangelion: 3.0+1.01 Thrice Upon A Time è indubbiamente una storia di maturazione, ma non perché è ambientata quattordici anni dopo gli eventi conclusivi del secondo lungometraggio dei rebuild. La maturazione non è banalmente l’ovvio risultato del tempo che scorre, quanto piuttosto delle decisioni prese e delle loro conseguenze. Per tutto questo tempo Evangelion ci ha sempre parlato di quanto dannosa possa essere l’inazione — ci ha detto che è meglio rimpiangere una decisione presa che una non presa.
È qui che entra in gioco la paura di soffrire, quel terrore paralizzante di esporsi e venire scalfiti. Fermarsi dinanzi alla consapevolezza di andare in contro alla sofferenza vuol dire isolarsi dagli altri. Non sorprende che l’incomunicabilità sia una vera e propria colonna portante del racconto di Hideaki Anno. Un’incomunicabilità che si traduce in violenza nel capolavoro The End of Evangelion, la cui iconica scena conclusiva ha dato spazio ad innumerevoli riflessioni ed interpretazioni.
Nonostante la perfetta sincronia che erano riusciti a sviluppare in poco tempo dopo essersi conosciuti, Shinji ed Asuka arrivano ad una rottura tale da non riuscire più a capirsi. Shinji prova ad intercettare i sentimenti di Asuka e sta indubbiamente ambendo all’amore, ma questa sua ricerca è egoistica ed infantile: serve soltanto a trovare un rifugio per colmare le sue ansie e debolezze. «Ti andrebbe bene chiunque», «Stai soltanto scappando da me».
Dall’altro lato, la delicata condizione psicologica di Asuka le impedisce di accettare i sentimenti che prova nei confronti di Shinji. I lasciti del trauma causatole dalla madre l’hanno spinta a scovare la felicità e la soddisfazione soltanto dentro di sé. Accogliere l’amore vorrebbe dire affidare parte del proprio cuore a qualcun altro: perdere il completo controllo su se stessi ed esporsi alla sofferenza.
Seppur in modi diversi, Asuka e Shinji non hanno fatto altro che fuggire dal dolore, e in questo quadro di frasi non dette e gesti non compiuti l’amore è destinato a rimanere tagliato fuori. Proprio come le loro mani su quella spiaggia, Asuka e Shinji sono pericolosamente vicini ma non riescono a toccarsi. I loro cuori sono troppo lontani.
Ventiquattro anni dopo, Hideaki Anno torna indietro e volge lo sguardo a quel finale. Ma questa volta guarda quel mare burrascoso nel quale si trovava prima dall’esterno, con la consapevolezza di ciò che è stato. Perché la maturazione non è solo dei personaggi, ma anche e soprattutto la sua. Anzi, la prima è proprio la diretta conseguenza della seconda.
Lo scenario è esattamente identico: il mare, la spiaggia, l’amore e le confessioni non fatte. Eppure Shinji ed Asuka sono diversi, cresciuti. Lo sguardo che prima fissava il cielo adesso fissa la più bella delle stelle. Eppure la sua luce è fioca; l’amore è solo un sentimento passato che entrambi trovano il coraggio di lasciarsi alle spalle. E come farlo? Aprendo il proprio cuore, dicendo le cose come stanno.
Shinji si trova al suo fianco perché ha preso una decisione, e la forza di farlo glie l’ha data il sostegno di tutti i suoi cari — gli stessi che in The End of Evangelion non era riuscito a proteggere. L’addio dei personaggi agli Evangelion è il più grande sintomo di maturazione, perché è proprio in questi che loro trovavano uno scopo per vivere. Dire addio agli Evangelion vuol dire provare a trovare la felicità altrove senza paura di soffrire. Vuol dire stringere la felicità nel proprio pugno. Ma per andare avanti veramente bisogna prima chiudere i conti con il passato.
Le nostre prime impressioni e la nostra recensione di Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon A Time. Il film è disponibile su Amazon Prime Video.