Allo scoccare della mezzanotte tra giovedì 12 e venerdì 13 agosto 2021 abbiamo avuto il piacere di vedere su Amazon Prime Video, dopo oltre 8 anni di attesa, il film conclusivo della tetralogia Evangelion nuova versione cinematografica, meglio conosciuta in Occidente come Rebuild of Evangelion, ovvero Evangelion: 3.0+1.01 Thrice Upon A Time.
Noi di Distopia Evangelion abbiamo avuto l’eccezionale privilegio di poter contare sull’insostituibile contributo di Mario Pasqualini di Dimensione Fumetto, che ha visto il film in Giappone l’8 marzo, il giorno di uscita nei cinema nipponici, che quel giorno ha partecipato alle nostre live pre- e post-visione e che ha potuto spiegarci in anteprima, in separata sede, tutto ciò che c’è da sapere su Thrice Upon A Time.
Siamo quindi arrivati preparati alla visione del film, ma ci è comunque servita qualche ora per metabolizzarlo, perché Evangelion: 3.0+1.01 Thrice Upon A Time è un film pregno di messaggi, che forniscono innumerevoli spunti di riflessione e confronto che terranno impegnati gli appassionati per gli anni a venire.
Cosa dire dunque di questo film dopo l’esaustiva recensione del già citato Mario e le notevoli impressioni di Daniela?
Si può aggiungere innanzitutto che, sebbene tra l’uscita del primo film (2007) e quella di Thrice Upon A Time siano intercorsi 14 lunghissimi anni, la coerenza tematica e narrativa all’interno del progetto cinematografico del Rebuild emerge in maniera preponderante alla luce della visione del quarto e ultimo film, come si può evincere maggiormente da una visione ravvicinata delle quattro pellicole, quindi se non l’avete già fatto mettete in conto la possibilità di fare una maratona: tutti i fili vengono riannodati, dissipando i dubbi che hanno a lungo attanagliato gli appassionati dopo la visione di Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo.
Anno ha scelto di accennare solamente quanto avvenuto nei 14 anni di time skip tra i fatti di 2.0 e quelli di 3.0 lasciando il campo aperto a successive opere, che probabilmente vedranno la sua supervisione ma non la sua regia, che potranno spaziare in quelle vicende, ma quanto serve per comprendere pienamente i fatti accaduti nei primi 3 film viene narrato, senza particolari ambiguità. Per una volta il finale potrà far discutere ma secondo noi darà molto meno spazio a congetture, teorie e interpretazioni personali rispetto a quanto abbiano fatto il finale della serie TV e The End of Evangelion.
Anche se il Rebuild si è sempre caratterizzato per un maggior spazio dato all’azione rispetto all’introspezione dei personaggi, il quarto film, articolandosi su un minutaggio più ampio, quasi colossale, di 155 minuti, riesce a esplorare anche l’animo dei protagonisti pur comprendendo tantissime lunghissime scene d’azione. A tutti i personaggi principali viene riservato un momento in cui dal confronto con Shinji emergono tutte le peculiarità e le differenze rispetto ai personaggi/maschere che abbiamo conosciuto nella serie originale.
Il caso più eclatante risulta essere Asuka, che non cambia solo il cognome, da Soryu a Shikinami, ma il cui background è totalmente differente, nuovo, inedito: non è più la vittima di un rapporto conflittuale con una madre malata che la ignora e la sostituisce con una bambola, arrivando a desiderare di ucciderla, ma è un clone facente parte di una serie creata ad hoc di cui è l’unica sopravvissuta – o perlomeno così crede, fino a una delle scene clou del film – a un addestramento mortale. Nasce, vive, cresce ed è pronta ad affrontare la morte da sola, per i sopravvissuti umani che per tutto il tempo la temono e la disprezzano in quanto pilota di Eva, a causa di ciò che Shinji ha scatenato in 2.0.
Finalmente viene dato il giusto spazio alla risoluzione del conflitto Gendo/Shinji: il padre è sempre stato il reale antagonista di Evangelion, ma in quest’ultimo film è protagonista di uno scontro a dir poco spettacolare a bordo dell’Eva-13 contro lo 01 del figlio. Geniale l’idea che lo scontro fra i due Eva avvenga nei vari ricordi di Shinji, che si rivelano non essere altro che set cinematografici; in una sequenza lo scontro avviene nel plastico della città di Neo Tokyo-3, realizzato come un set per i film tokusatsu, ed ecco come quest’opera, il cui titolo originale è Shin Evangelion Gekijoban: ||, si rivela essere non solo la conclusione della nuova tetralogia cinematografica di Evangelion, ma anche come uno dei capitoli della tetralogia tokusatsu iniziata da Anno con Shin Godzilla e che proseguirà con la sceneggiatura di Shin Ultraman e la regia di Shin Kamen Rider.
A differenza di The End of Evangelion, in cui è prevalentemente Shinji a essere psicanalizzato, qui invece assistiamo a una seduta psicanalitica per Gendo, che svela il proprio “animo sincero” e molto più somigliante al figlio di quanto non si potesse pensare.
Shinji arriva invece alla conclusione molto più maturo e risoluto grazie al confronto con tutti i personaggi nella prima parte del film, ambientata nel Vilaggio 3, e nella seconda parte, ambientata a bordo della Wunder; la spinta definitiva gli viene data quando Misato si assume tutte le responsabilità per le azioni compiute dal ragazzo nel finale di 2.0. Misato, dopo la gelida parentesi di 3.0, in cui somiglia a Gendo ma anche a Nemo di Nadia – Il mistero della pietra azzurra, ritorna se stessa sciogliendosi i capelli e sacrificandosi a bordo della Wunder in una scena che ricorda sia il sacrificio di Nemo sia quello del padre di Noriko Takaya di Punta al Top! GunBuster, primo capolavoro di Anno.
Incredibili anche le evoluzioni di Rei e Kaworu, che si rivelano più umani degli umani e di quanto non abbiamo mai visto nelle loro controparti storiche, segno che tutti i personaggi utilizzati nel Rebuild sono maschere teatrali che vanno in scena sul medesimo palcoscenico, nelle mani dello stesso sceneggiatore e regista, ma interpretando un nuovo ruolo e una nuova storia.
Ci sarebbero tantissime altre cose da dire, e le racconteremo nei nostri prossimi articoli, mentre le nostre prime impressioni a caldissimo sono già state espresse nella live delle 3 del mattino del 13 agosto, che vi invitiamo a recuperare sul nostro canale Twitch, ma vi lasciamo con
I 3 motivi per cui vedere assolutamente Evangelion: 3.0+1.01
- Il film rappresenta una vera e propria vetta nella storia dell’animazione giapponese contemporanea: tantissime sono le tecniche utilizzate, complice anche il generoso budget di cui Anno ha potuto usufruire, tra cui l’uso della motion capture per i movimenti dei personaggi, che lo rende un film appartenente al Grande Cinema;
- La poetica di Hideaki Anno porta a conclusione un processo di maturazione personale e di crescita artistica, che permette al regista di essere annoverato tra i grandi maestri della Cultura e dell’Arte giapponese, come dimostra il Premio per il sostegno alle arti ricevuto dal Ministero della Cultura giapponese nel 2017;
- Abbiamo la possibilità di goderci, per l’ultima volta, i personaggi con cui siamo cresciuti, vedendoli finalmente “adulti” e sereni.
Il + 1 motivo per cui rivedere Evangelion: 3.0+1.01 “one more time”
- Una volta per tutte, questo film polverizza la teoria del loop secondo la quale l’unicum Neon Genesis Evangelion/Death/The End of Evangelion e il Rebuild siano collegati narrativamente in un ciclo infinito di ripetizioni. Questa teoria, che si basa su sovrainterpretazioni e distorsioni di divertissement e citazioni inseriti da Anno, aveva già poco senso di fronte al fatto che tutti i grandi franchise, in primis quelli giapponesi, si basano sulle rinarrazioni, come per esempio le decine di incarnazioni di Mazinga di Go Nagai. Potremmo snocciolare innumerevoli motivazioni che annichiliscono il loop, ma non è questa l’occasione – ci sarà luogo e tempo anche per questo: diciamo solo che il film, il cui titolo originale contiene il simbolo musicale ||, che significa “fine del brano”, si sarebbe dovuto intitolare Evangelion: Final, ovvero la fine totale tombale non del franchise di per sé, ma dell’Evangelion di Hideaki Anno.