Evangelion 3.0+1.01 è finalmente disponibile su Amazon Prime Video anche nel nostro paese. In attesa della recensione vera e propria di domani, eccovi nel frattempo le nostre prime impressioni. Fate attenzione, però, perché ci saranno spoiler.
La storia di Evangelion finisce qui, con questo film, dopo anni di attesa, rimandi causati dalla pandemia ed incertezze riguardo quando e come sarebbe uscito nel nostro paese. Possiamo dire che ne sia valsa la pena di aspettare tanto a lungo? Assolutamente sì.
Thrice Upon a Time forse non è un film che lascerà soddisfatti al 100% tutti, e del resto è molto difficile che ciò avvenga conoscendo i fan della serie, ma è probabilmente il modo migliore per chiudere una serie che ci ha tenuto compagnia negli anni e che è cresciuta con noi e, soprattutto, col suo autore Hideaki Anno.
Scontri ed introspezione al centro delle vicende
Il film sembra procedere su due binari complementari ma estremamente distanti: da un lato abbiamo scene d’azione concitate, frenetiche e animate estremamente bene.
La parte tecnica legata ai robot però non è il centro delle vicende del film: protagonista è ancora una volta l’introspezione psicologica dei personaggi. Tutti, nessuno escluso, hanno almeno un momento in cui riescono a brillare ed emozionarci e da questo punto di vista il film ci lascia più che soddisfatti. A differenza dei primi due Rebuild, dove l’introspezione spesso e volentieri passa in secondo piano per lasciar spazio ai combattimenti o ad altri elementi di trama, qui a fare da padrone è l’approfondimento psicologico gestito e scritto magistralmente da Hideaki Anno. In alcuni casi, come per Asuka, si tratta di un approfondimento che procede di pari passo con quello della serie originale. In altri, invece, procede per una strada diversa e impreziosisce ulteriormente quanto detto fino ad ora creando personaggi ancora più umani di quanto già non fossero.
Rei: imparare ad essere umana
La serie originale e The End of Evangelion avevano già fatto un ottimo lavoro per Rei, ma anche i Rebuild, alla luce di quest’ultimo film, non sono da meno.
Qui vediamo una Rei ancora meno umana, se possibile, di quella che avevamo conosciuto nella serie. Una Rei che non conosce neppure il significato di parole banali come “buongiorno”, “buonasera”, “grazie” e “arrivederci”. Quattro parole che riusciranno ad emozionarci come poche altre cose nel corso del film: dai primi momenti in cui Rei chiede che cosa significhino fino alla lettera d’addio da lei lasciata, con su scritte solamente quelle parole delle quali ha compreso il profondo significato nel corso dei pochi giorni che ha trascorso come un essere umano: sono felice di essere stata qui.
Rei non si ribella, non afferma la propria volontà come in The End, non passa dall’essere una bambola ad affermare di non essere più la bambola di Gendo. Si tratta, stavolta, di uno sviluppo molto più personale, finalizzato non a negare qualcosa per affermare il proprio io ma ad affermare per la prima volta se stessa senza implicazioni o minacce provenienti dall’esterno: quella stretta di mano finale di Rei è più significativa di qualsiasi parola, qualsiasi discorso che avrebbero potuto farle pronunciare.
«Grazie, è un gesto che si usa quando si sta bene insieme». E noi, per il poco tempo concesso, siamo stati davvero bene con questa Rei.
Shinji Ikari
Shinji fa passi da gigante in questo film. All’inizio lo ritroviamo distrutto, incapace persino di mangiare e parlare con chi gli sta attorno a causa del dolore che prova per la morte di Kaworu e per avere quasi generato un Impact. Di nuovo.
Gradualmente, però, il ragazzo riesce a riacquistare la volontà di vivere e a capire che deve salire sull’Evangelion e prendersi le sue responsabilità di nuovo: rievocare gli errori del passato non porta a nulla se non alla sofferenza, come aveva già detto Kaworu in 3.33, ecco perché tutto ciò che possiamo fare è riprovare.
Vedere Shinji con quella determinazione negli occhi è stato sinceramente molto emozionante vista la condizione in cui lo avevamo lasciato. Ancora più emozionante è stato vedere come Shinji da solo sia riuscito a ritrovare la speranza. Non ha avuto bisogno, come in 3.33, delle parole rassicuranti di Kaworu. Stavolta è riuscito a rialzare la testa da solo e a capire che piangere non serve a nulla perché dà conforto solamente a se stessi. E Shinji, finalmente lo capisce, desidera proteggere le persone che gli stanno attorno prima di se stesso.
Shinji e Gendo, due facce della stessa medaglia
Il conflitto fondamentale della pellicola è quello emotivo e psicologico, prima che fisico, tra Shinji e Gendo. I due, ci viene detto ancora una volta nel caso in cui The End of Evangelion non fosse stato abbastanza chiaro, sono due facce della stessa medaglia.
Gendo infondo è esattamente uguale a Shinji: non è mai riuscito ad apprezzare la compagnia di nessuno e trovava la serenità del proprio animo solamente stando in solitudine. Ciò che ha cambiato tutto è stata Yui, che lo ha amato e apprezzato per ciò che era. Dopo averla persa Gendo è caduto nel baratro della disperazione che conosciamo fin troppo bene e che lo ha portato a cercare di realizzare il progetto per il Perfezionamento con il solo scopo di rivedere la sua amata.
Non pensavo fosse possibile riuscire a tenere testa a The End of Evangelion per quanto riguarda l’introspezione di Gendo, ma visto il suo monologo nella sequenza finale del film mi sono dovuta ricredere: Thrice Upon a Time è un perfetto ritratto dell’umana disperazione che Gendo prova. Al tempo stesso Gendo non è solo, beh, Gendo. È anche Hideaki Anno: quella parte di Hideaki Anno che è sempre fuggita, che ha sempre rifiutato il mondo attorno a sé.
Anche Shinji però rappresenta l’autore. Shinji potrebbe rappresentare quella parte di Hideaki Anno che, cresciuta, guarda al proprio passato con occhio nostalgico ma al tempo stesso critico: non si può tornare indietro, tutto ciò che possiamo fare è guardare al futuro con rinnovato ottimismo e fare sì che la nostra volontà possa renderlo migliore.
Kaworu Nagisa
Kaworu è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti di Evangelion ma purtroppo aveva un difetto: il fatto di essere il ragazzo “perfetto” che non desiderava altro se non la felicità di Shinji e agiva solo per perseguirla lo rendeva un personaggio col quale era difficile empatizzare.
Thrice Upon a Time riesce per la prima volta a dare a Kaworu una introspezione completa, emozionante, e che ci aiuta a capirlo davvero e a commuoverci di fronte a quanto umano si sia rivelato, pur non essendolo effettivamente.
Kaworu è intrappolato all’interno di una storia infinita di morte e rinascita all’interno della quale cerca di realizzare la felicità di Shinji. Tuttavia si tratta di un fraintendimento: in realtà ciò che Kaworu desidera è poter stare con Shinji perché lui stesso è felice solamente insieme a lui. È un tratto estremamente umano e che ci consente di guardare con occhi diversi tutto ciò che l’angelo ha detto e fatto nel corso dei Rebuild.
I difetti del film?
Se dovessi sforzarmi a trovare un difetto a questo film forse sarebbe la fretta con cui un paio di situazioni vengono risolte, o per meglio dire la mancanza di spiegazioni. Non fraintendetemi, non lo considero un reale difetti del film, conosciamo tutti Hideaki Anno e sappiamo molto bene per sua stessa ammissione che non gli è mai piaciuto fornire le spiegazioni complete per filo e per segno nelle sue opere, pertanto il mio giudizio sul film rimane comunque altissimo.
Uno dei due difetti, però, è sicuramente il personaggio di Mari, il cui vero nome si scopre essere Maria Iscariota. Al di là della citazione biblica (Iscariota era il cognome di Giuda, che tradisce Gesù durante l’ultima cena) c’è realmente poco che possiamo dire sul background del personaggio. Sembra essere presente nei flashback di Gendo e già in 3.33 avevamo visto una donna che le somigliava molto in compagnia di Yui e di un neonato Shinji. Come questo sia possibile, però, rimane un mistero: chi è realmente Mari? Come mai è così giovane, se ci viene lasciato intendere che in realtà lei conoscesse Yui e Gendo da diversi anni, se non addirittura da prima che quest’ultimo conoscesse sua moglie?
Il secondo punto oscuro della trama è ciò che invece possiamo tranquillamente definire un deus ex machina, un qualcosa che cioè si presenta nella narrazione senza preavviso con funzione risolutiva delle vicende: la terza lancia non è altro che questo, all’interno dell’ottica del film.
Le due lance menzionate in 3.33, Longinus e Cassius, vengono utilizzate da Gendo per scatenare l’Impact e per fermarlo viene forgiata una terza lancia. Come? Scopriamo in maniera totalmente inaspettata che la Wunder, la nave che Misato ha presumibilmente rubato alla NERV, è in grado di forgiare una terza lancia, anzi che specificamente era proprio quello il suo scopo iniziale: creare delle lance a partire dai frammenti della Luna Nera di Lilith. Il problema, però, è che niente di tutto ciò ci era mai stato menzionato neppure lontanamente nel corso dei Rebuild. E no, non credo che Misato abbia preso la Wunder a causa di questa sua abilità perché l’eventualità che armi del genere servissero non era assolutamente sul tavolo negli scorsi film.
Lo ripeto, non si tratta di difetti significativi né tantomeno in grado di abbassare il voto che ho dato alla pellicola, ma sono degli elementi che durante la visione mi hanno fatto storcere il naso.
Conclusioni
Dopo queste prime impressioni a caldo c’è ben poco da dire se non che, per me, siamo davanti ad un film eccellente. Lo trovo la migliore conclusione possibile per le vicende di Evangelion e sono davvero soddisfatta che siano riusciti a chiudere il cerchio di tutti i personaggi, soprattutto per quanto riguarda la loro introspezione.
Non sappiamo se ci saranno altri capitoli dedicati alla serie in futuro, anche se Anno ha già dichiarato che gli piacerebbe coprire gli anni di buco trascorsi tra 2.22 e 3.33, ma non importa. Per il momento possiamo goderci questo ennesimo capolavoro che Hideaki Anno ci ha regalato, con annesse domande che ci tormenteranno per i prossimi anni… come da consueto.
Per concludere, dunque, non posso non salutare Evangelion cercando di rielaborare quelle parole che, più di vent’anni fa, chiusero la serie televisiva:
«Ad Hideaki Anno, grazie.
Agli Evangelion, addio.
E a tutti i Children, CONGRATULAZIONI»
Voi Commodoriani che ne pensate di Neon Genesis Evangelion 3.0+1.0? Vi è piaciuto? Fatecelo sapere con un commento!