A Cuba la situazione è tutt’altro che tranquilla: le vie cittadine e ancor prima le home dei social network sono i posti in cui si manifestano per primi lo grande scontento dei cittadini, le proteste e gli appelli. Si manifesta in tutto il Paese, la gente si lamenta per i prezzi troppo alti, la disoccupazione dilagante, la grande paura per i casi di Covid 19 che continuano imperterriti a salire.
La gente si riversa in strada a manifestare, soprattutto adesso che l’esercito ha ordinato il blackout dei social network nel tentativo di ridurre la libera diffusione di informazione e cercare di placare gli animi dei cittadini. Così, da lunedì a Cuba ci si ritrova a vedersi negato l’accesso a tutti i social principali, incluso Facebook, Twitter e Instagram, e persino alle app di messagistica Whatsapp e Telegram. Così facendo, i manifestanti hanno più difficoltà a organizzarsi e a ricercare informazioni riguardo cosa stia succedendo nelle altre città interessate dalle proteste.
Nel ciclone di blocchi e censure, secondo quanto riportato dall’organizzazione Human Rights Watch, sarebbero stati anche alcuni blog informativi minori, bloccati ed oscurati.
Myanmar ed Egitto prima di Cuba: il precedente blackout
Una cosa è certa: non si tratta della prima volta che un governo decide di operare una mossa simile a quella di Cuba. E’ di pochi mesi fa l’accaduto di Myanmar, che vi avevamo raccontato a febbraio. Il golpe birmano infatti aveva spinto l’esercito a placare la diffusione del malcontento dei cittadini attraverso il blackout della rete internet, l’interruzione delle trasmissioni televisive e l’ordine a diversi provider di servizi internet di bloccare ai propri utenti l’accesso ai social network.
Prima ancora, nel 2010, il popolo egiziano subì la stessa sorte: la rete internet fu inaccessibile per 5 giorni, impedendo ai cittadini di informarsi sugli accadimenti e i momenti critici che stava vivendo il paese riguardo alle rivolte della Primavera Araba.
Fonte: BBC