Dopo avervi accompagnato settimana per settimana durante la sua visione, è infine arrivato il momento di tirare le somme di questa tanto attesa Stagione Finale (che adesso sappiamo essere soltanto la prima parte) de L’Attacco dei Giganti e di valutare il lavoro svolto dallo staff riunitosi in casa MAPPA. Se non avete concluso la visione della serie il consiglio è quello di non proseguire con la lettura, in quanto affronteremo liberamente argomenti spoiler.
Al di là del mare
La positiva scoperta dell’esistenza di altri esseri umani al di fuori delle mura, avvenuta nelle fasi conclusive della terza stagione, è velocemente scemata nella realizzazione dell’ostilità che questi provano nei confronti dei nostri protagonisti e del popolo a cui appartengono. Dinanzi alla presenza di un nuovo, grande nemico, la quarta stagione de L’Attacco dei Giganti ha l’audacia di chiedere allo spettatore di accantonare momentaneamente quanto visto prima e immedesimarsi nella sua prospettiva.
La transizione tra la quotidianità del Corpo di Ricerca e quella dei Guerrieri e aspiranti Guerrieri Marleyani è addolcita dalla presenza di elementi familiari a cui potersi aggrappare, primo tra tutti i Giganti, ma è chiaro che lo sforzo di empatizzare con le persone che hanno causato così tanta sofferenza ai nostri protagonisti risulta semplicemente enorme.
Pur passando dall’altro lato, tuttavia, la narrazione delle vicende non pende ciecamente a favore di nessuno. Se da un lato possiamo notare svariati tentativi di connettere lo spettatore con il popolo marleyano, dall’altro il modo con cui la storia punta i riflettori sul suo radicato razzismo (ricollegabile a noti eventi storici realmente avvenuti) rappresenta un cristallino tentativo di separarli suscitando un genuino sentimento d’odio. Allo stesso modo, pur contestualizzandoli, massacri come quello avvenuto a Liberio per mano di Eren vengono esplicitamente condannati attraverso le parole di diversi personaggi, ma anche osannati da altri.
Tenendo anche in considerazione l’assenza di un vero e proprio protagonista, non sarebbe completamente erroneo affermare che, più che ad un semplice cambio di prospettiva, ci troviamo davanti ad ampiamento di veduta funzionale alla tematica principale dell’opera di Isayama: la descrizione di un circolo vizioso di morte generato dall’odio e dal desiderio di vendetta.
Gabi e l’odio verso gli Eldiani: giustificato o meno?
Passare alla prospettiva di Marley vuol dire avvicinarsi ad un popolo deviato e governato dall’odio, ma anche comprendere più a fondo le difficoltà e il tipo di vita vissuta dagli Eldiani all’interno della nazione. Di fatto, ad essere ancor più scioccante del fascismo che regna imperterrito per le sue strade e tra i Marleyani è la realizzazione che quello stesso odio da esso generato, così intenso e viscerale, è ampiamente condiviso anche dagli Eldiani fuori dalle mura.
È forse proprio questo piccolo, grande particolare a condurre lo spettatore alla paradossale conclusione che non si tratta banalmente di una questione di razze, e ad evidenziarlo è anche la suddivisione tra Eldiani “buoni” e “demoni”. Gli Eldiani che vivono a Marley sono vittime di un sistema disegnato apposta per spingerli a vedere Paradis come la ragione della miserabile vita che sono costretti a vivere, e il desiderio di riuscire a farsi accettare all’interno della società — il desiderio di essere considerati umani e soprattutto liberi — unito all’indottrinamento portato avanti per chissà quanto, non mostra loro altra via se non quella che abbiamo avuto modo di testimoniare.
È proprio per concretizzare i contrastanti sentimenti di empatia e rifiuto dello spettatore nei confronti della popolazione di Marley che Isayama colloca personaggi come Gabi e Falco, le cui azioni, motivazioni e ideologie sembrano esser state costruite apposta per creare un connubio di contrasti capace di metterlo in difficoltà attraverso un continuo tira e molla tra giustificazioni e condanne. Nel mostrarci la loro vita, è evidente che la narrazione non ci sta chiedendo di condividere la visione del mondo di chi ammazzerebbe a vista delle persone basandosi soltanto sulla loro razza, ma semplicemente di comprendere le ragioni che hanno fomentato questi pensieri e comportamenti.
Da questo punto di vista, fondamentale è il ruolo giocato da Gabi, la quale incarna in tutto il suo aspetto più estremista e ottuso gli effetti di quella che deve esser stata una pesante campagna di revisionismo storico (in realtà non confermata ancora) portata avanti da Marley. Sfruttando il suo inserimento in maniera mirata, Isayama vuole suscitare nello spettatore un sentimento di disprezzo che contrasti il razzismo del personaggio e che lo faccia schierare dalla parte degli Eldiani di Paradis non in quanto oggetti del suo affetto perché protagonisti assoluti delle vicende passate, ma in quanto esseri umani.
Parte fondamentale del messaggio de L’Attacco dei Giganti in questa sua nuova fase, non a caso, riguarda proprio la rottura di barriere come quella del razzismo in favore di un accomunamento tra esseri umani che, appunto, prescinda dal loro luogo di origine o dalle differenze etniche. Ricordiamo la paradossale descrizione degli Eldiani fatta da Reiner alla sua famiglia, o il dialogo tra quest’ultimo ed Eren prima dell’attacco a sorpresa a Marley.
“È vero, in effetti pensavo che chiunque si trovasse al di là del mare fosse mio nemico. Però adesso ho attraversato quel mare. Ho dormito sotto lo stesso tetto e mangiato il cibo del mio nemico.
– Eren
Reiner, io sono come te. Ho incontrato persone insopportabili, ma anche brava gente. Dunque… al di là del mare, dentro le mura, siamo tutti uguali.”
Il ciclo di odio e morte e l’eutanasia degli Eldiani
Dall’alto di questo “ampiamento di veduta” nel quale L’Attacco dei Giganti ci ha immerso sin dall’inizio della sua quarta stagione, mai come ora riusciamo a scorgere le diverse sfaccettature di un conflitto che man mano, scoperta dopo scoperta, diventa sempre meno insensato. Col senno di poi, tutta quella narrazione passata riguardante il ribellarsi al mondo crudele in cui si è nati, tutti quei sacrifici compiuti in nome della libertà e le orribili scene a cui abbiamo assistito, assumono un peso incredibilmente maggiore dinanzi alla sconcertante rivelazione del piano di eutanasia portato avanti da Zeke ed Eren, ma anche e soprattutto dinanzi alle reazioni dei vari Eldiani che lo ascoltano.
I sentimenti di felicità e rassegnazione che pervadono gli Eldiani, riassunti nella commozione di Ksaver, emergono con straordinaria chiarezza, e con altrettanta potenza ci indicano lo stato d’animo di chi ha la sensazione di esser nato in un mondo che sembra non tollerare la sua stessa esistenza. È assurdamente semplice per lo spettatore abbandonarsi al pacifismo o a giudizi morali sull’importanza della vita, ma certi gradi di sofferenza e disperazione li si comprende soltanto provandoli sulla propria pelle.
Nel testimoniare da vicino le avventure del Corpo di Ricerca durante le prime stagioni, la concezione della morte come un privilegio era un pensiero onnipresente. Morire voleva dire abbandonare finalmente quell’inferno: questo è il sentimento, alla base del piano di eutanasia, che in quanto spettatori non possiamo assolutamente permetterci di dimenticare.
“Sin da quando sono entrata nella Legione Esplorativa ogni giorno ci ha portato un nuovo addio. […]
– Hange Zoe
Non importa quando, tutti quelli che ami moriranno prima o poi, e tu non puoi farci nulla. Non riesci ad accettarlo, non puoi. E quando lo realizzi, può farti impazzire.
Nella Legione, ‘perdere’ è l’unica cosa che conosciamo.”
D’altro canto, questa sorta di concezione cristiana del peccato originale, che attribuisce all’uomo una colpa per il semplice fatto di essere venuto al mondo, trova delle evidenti radici nell’indottrinamento marleyano che vengono esplicitamente denunciate attraverso Kaya nell’episodio undici. Agli occhi degli Eldiani cresciuti nel pieno della propaganda, scomparire dal mondo è l’unica soluzione perché il loro popolo non può che esserselo meritato quel trattamento. Ad attenderlo deve necessariamente esserci sofferenza, perché, in fondo, quelle colpe compiute in passato sono davvero un peso di cui farsi carico. Proprio come evidenziato prima, seppur in un contesto diverso, gli Eldiani di Marley comprendono che non venire al mondo vuol dire fuggire da un destino già scritto e soprattutto accettato.
La direzione pessimistica intrapresa dalla narrazione de L’Attacco dei Giganti potrebbe escludere questa possibilità, ma non è irragionevole pensare che questa specifica concezione tragica e drammatica della nascita possa andare a scontrarsi con quella positiva rilevata, ad esempio, nelle parole di Willy Tybur durante la dichiarazione di guerra verso Paradis.
“Io ho odiato davvero il mio sangue. Ho desiderato l’estinzione degli Eldiani più di chiunque altro.
– Willy Tybur
Tuttavia, io non voglio di certo morire. Dico questo, perché ci sono nato in questo mondo.”
L’arrendevole condanna dello strumento
Se il discorso riguardo la visione arrendevole che ha portato alla maturazione del piano di eutanasia assume con Zeke dei connotati che designano l’intrinseca accettazione delle colpe degli Eldiani “di oggi”, dovuta appunto all’indottrinamento marleyano, con Eren invece arriviamo ad un grado di profondità ancora maggiore. L’ampiamento di veduta che abbiamo descritto in precedenza, e la conseguente maturazione di un pensiero che identifica l’umanità come un tutt’uno, potrebbero averlo spinto verso una concezione di quest’ultima come inevitabilmente macchiata e corrotta dal potere dei giganti.
In base alle sole informazioni forniteci dall’adattamento animato fino ad ora, quella di Eren potrebbe essere una pessimistica visione di un’umanità spinta ad abbracciare i suoi istinti più reconditi da un potere che in fondo non comprende per davvero. L’utilizzo della maggior parte dei Nove Giganti come arma di distruzione e le conseguenti ambizioni di potere e dominazione maturate da Marley sono probabilmente ai suoi occhi il risultato dell’esistenza di uno strumento evidentemente concepito con lo scopo di portare caos e morte.
Se ciò fosse vero, ci troveremmo davanti ad un messaggio di fondo che, attraverso Eren, identifica come corrotto lo strumento piuttosto che chi lo utilizza. Indipendentemente dalla veridicità della narrazione che attribuisce ai giganti e al popolo Eldiano una natura distruttiva e maledetta, sorprende che una storia incentrata sul mettere in cattiva luce la guerra e il lato violento dell’essere umano fallisca nel rilevare che anche in un mondo privo del popolo di Ymir l’umanità troverebbe sempre delle ragioni per farsi la guerra e per soddisfare le proprie egoistiche ambizioni. Non è da escludere, però, un futuro approfondimento di questo aspetto nella futura parte due della serie.
Lato Tecnico
Come ampiamente noto, la stagione finale de L’Attacco dei Giganti ha iniziato il suo percorso nella più totale disorganizzazione. Frutto della fretta di capitalizzare sulla fine del manga di Kodansha e della sconsideratezza nell’accettare un progetto che chiunque altro aveva rifiutato da parte di MAPPA, il risultato che ci appare davanti è nella sua quasi totalità un prodotto privo di una sua visione registica di fondo che non riesce più a sorprendere se non affidandosi ai brillanti sviluppi narrativi concepiti da Hajime Isayama.
Ciononostante, alla luce delle difficoltà che lo staff si è ritrovato a dover affrontare per colpe non sue, sarebbe disonesto gridare al disastro. Pur alle volte stentando in maniera evidente ai più, la Stagione Finale si è comunque mantenuta in piedi fino alla fine, e chi ha avuto modo di dare un’occhiata alle ultime stagioni di The Seven Deadly Sins sa per certo che le cose sarebbero potute andare decisamente peggio.
Che sia chiaro, però, che questo risultato non è stato ottenuto con scioltezza. Per sopperire alla mancanza di tempo, MAPPA ha semplicemente deciso di portare a bordo una quantità astronomica di persone, ma nonostante la lista dello staff abbia continuato ad aumentare considerevolmente episodio dopo episodio (con tanto di pesanti differenze tra le preview e l’episodio successivo), la qualità generale non solo non è rimasta la stessa, ma ha persino subito un costante abbassamento nonostante la scarsa presenza di scene d’azione, arrivando nelle sua seconda fase, come già detto, a mostrare candidi i suoi limiti anche agli spettatori meno interessati al lato tecnico.
L’incredibile quantità di sforzo necessaria ai fini di creare del movimento ha palesato tutte le sue ripercussioni nella scelta di animare i giganti e le fasi di Manovra Tridimensionale in computer grafica, e più sottilmente si è tradotta in un indirizzamento generale delle risorse umane disponibili verso le scene maggiormente statiche. In questo senso, l’attenzione riposta alla fase di supervisione dei disegni ha quanto meno concesso ai personaggi in primo piano un look ben curato, con momenti di rifinitura anche particolarmente interessanti, come la celebre inquadratura sul volto di Eren durante il discorso a Falco o quella del suo Gigante nel sesto episodio.
La CG è stata oggetto di molte attenzioni da parte del pubblico, dividendolo in maniera anche abbastanza netta tra detrattori e sostenitori. È impossibile non notare ancora la quantità di strada che il Giappone in generale ha da percorrere nel padroneggiare questo strumento, ma nonostante questo la CG di V-Sign e MAPPA risulta convincente, con modelli decisamente più curati rispetto al lavoro svolto da Wit Studio in passato con il Colossale e, come evidenziato di recente dalla rivista CG World, basati nei loro movimenti sull’animazione tradizionale.
A lasciare un forte dubbio, tuttavia, è la decisione dello staff di utilizzarla per animare il Mascella, il Bestia, il Carro e il Corazzato, e non, appunto, il Colossale. La scelta effettuata da Wit, infatti, non era stata affatto casuale. Il gigante di Armin e Berthold è quello più complesso e difficile da rendere in animazione a causa della sua enorme stazza e del suo pazzesco peso, e intraprendere questo percorso di discontinuità rispetto al passato potrebbe essersi rivelata una discutibile scelta gestionale in un contesto già problematico di suo. Una delle possibili risposte a questo interrogativo potrebbe però risiedere nella quantità di tempo su schermo impiegata dai suddetti giganti, che vede proprio nel Colossale la presenza minore, al contrario di quella massiccia degli altri.
Sotto molti punti di vista la Computer Grafica rappresenta uno degli aspetti meno problematici dell’adattamento, ma è quando ci spostiamo via dai giganti per concentrarci invece sull’impiego che questa ha avuto in fase di Manovra Tridimensionale che emergono problematiche notevoli. I modelli dei personaggi sono per la maggior parte legnosi, e nel volare risultano spesso poco credibili. In una particolare occasione lo staff ha anche ben pensato di nasconderli sfruttando l’illuminazione, creando forse l’unica scena di volo 3D interessante dell’intero adattamento.
La necessità di affidarsi alla Computer Grafica per le fasi di volo, così come la scarsa presenza di scene ambiziose durante gli scontri più frenetici è anche il frutto della quasi totale assenza di staff specializzato nella realizzazione di scene d’azione. Se da un lato una produzione avvenuta in contemporanea all’interno dello stesso studio come Jujutsu Kaisen ha potuto fare affidamento su specialisti del calibro di Sung Hoo Park e Keiichiro Watanabe, dall’altro L’Attacco dei Giganti si è ritrovato costretto ad eliminare il fondamentale ruolo di supervisore delle scene d’azione presente in passato con Wit e ricoperto da geni come Arifumi Imai.
La motivazione è, ancora una volta, legata alle tempistiche. In una situazione in cui bisogna disperatamente portare a bordo chiunque pur di riuscire a consegnare gli episodi in tempo, scegliere con cura chi reclutare diventa improvvisamente un lusso. Uno sforzo specifico è però stato fatto comunque. La serie conta, infatti, con uno gruppo di supervisori degli effetti speciali, e non a caso questi ultimi sono proprio uno dei grandi punti di forza dell’adattamento, che durante le nostre recensioni settimanali non abbiamo mai fatto a meno di lodare.
Non disporre delle persone giuste per portare avanti una visione ambiziosa, sia in fase di concepimento delle scene che di animazione, vuol dire dover necessariamente rinunciare ad essa, ma per fortuna non possiamo veramente affermare che questa prima parte della Stagione Finale de L’Attacco dei Giganti non abbia mai avuto dei momenti interessanti in termini di mera animazione. Certo, l’assenza di uno staff apposito si è fatta sentire parecchio, ma la serie ha comunque potuto contare su alcuni specifici e talentuosi animatori che, in determinati frangenti, si sono dimostrati capaci di elevare significativamente la qualità su schermo.
Pensiamo ad esempio alle scene di vercreek e Takahiro Watabe nell’ottavo episodio, ma anche all’importantissimo contributo di Satoshi Sakai, probabilmente il vero e proprio asso nella manica di questa quarta stagione. Suo è ad esempio buon parte dello scontro tra Levi e Zeke nella Foreste degli Alberi Giganti, e, per quanto il risultato finale sia decisamente inferiore al materiale di produzione consegnato, siamo comunque davanti ad una scena di ottima fattura.
Nonostante la presenza delle problematiche descritte, alle quali potremmo aggiungere un certo grado di incapacità di gestione del meraviglioso repertorio di OST fornite da Hiroyuki Sawano e Kohta Yamamoto e una fotografia non sempre sul pezzo, la verità è che da un punto di vista tecnico questa quarta stagione de L’Attacco dei Giganti resta comunque una serie godibile, per quanto mediocre nel concreto. Tuttavia, il suo peccato più grande è quello di aver raramente sfruttato i vantaggi del medium, optando invece per un banale lavoro di riproposizione del manga con aggiunti suoni e colori. L’animazione è un medium differente da quello del fumetto, pertanto seguirlo inquadratura per inquadratura, scena per scena, non è soltanto una trovata che soffoca le diverse sensibilità registiche di chi mette mano sull’opera, ma anche e soprattutto una trovata che spesso, semplicemente, non funziona.
In qualità di regista, Yuichiro Hayashi ha spesso dimostrato di comprendere questa cosa, eppure se persino uno come lui si è dovuto arrendere a questa metodologia è perché, ancora una volta, non vi era il lasso di tempo necessario per reinterpretare in maniera personale il manga. Ecco quindi spiegata la presenza di scene come questa qui sotto, che viene riproposta seguendo per filo e per segno la grammatica visiva del fumetto, basata su singole immagini di impatto, perdendo però efficacia nella versione animata.
Un’interessante versione alternativa della scena, come fatto notare dallo YouTuber e giornalista Callum May, ce la fornisce il precedente character designer della serie, Satoshi Kadowaki in una delle sue illustrazioni.
Questo però non vuol dire che Hayashi non abbia dimostrato neanche il minimo tentativo di aggiungere un qualcosa di suo per dare più spessore alla storia. Il discorso originale di Willy ai suoi figli o le foto dei familiari presenti all’interno delle postazioni dell’Unità Panzer sono tutte prova del tentativo da parte del regista di suscitare empatia nello spettatore, come intenzione dell’opera originale. Allo stesso modo è anche possibile identificare degli episodi, verso i quali è stata dedicata maggiore attenzione, che riescono a proporre la storia in una forma nuova rispetto al materiale originale, come il secondo e l’undicesimo.
Restando sul tema del materiale originale, la Stagione Finale effettua in certi punti dei tagli importanti che potrebbero minare parzialmente la comprensione di alcuni aspetti dell’opera, come ad esempio quelli effettuati al dialogo tra Eren, Armin e Mikasa del quattordicesimo episodio. Emergono inoltre altre piccole incongruenze passate, come l’assenza della fascia sul polso di Mikasa nelle stagioni precedenti, rivelatasi adesso fondamentale.
In conclusione
La prima parte della quarta stagione de L’Attacco dei Giganti conferma tutte le straordinarie qualità che hanno sempre contraddistinto la serie in termini di narrazione, pur presentandosi in uno stato decisamente peggiore dal punto di vista tecnico. Se da un lato siam certi dell’abilità di Hajime Isayama di mantenere la sua storia su questi livelli, e magari raggiungere ancora nuove vette, dall’altro non ci resta che sperare che l’anno a disposizione ottenuto da MAPPA per produrre la seconda parte dell’anime possa permettere allo staff di consegnare un prodotto qualitativamente migliore e più ispirato senza dover andare in contro ad eccessive fatiche fisiche e psicologiche.
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