Il ban dai social media di Donald Trump è censura?
Il recente assalto a Capitol Hill da parte di alcuni supporter pro-Trump ha scosso non solo gli Stati Uniti ma tutto il mondo. Critiche unanimi sono arrivate non solo da parte degli esponenti del Congresso statunitense ma anche da Capi di Stato e personalità pubbliche di tutto il globo.
L’attacco senza precedenti al cuore della democrazia americana ha scosso, come prevedibile, anche il web, portando a qualcosa senza precedenti: il blocco permanente dei profili social del Presidente uscente.
E mentre la politica statunitense si sta chiedendo se procedere o meno con proposte di impeachment o di sollevamento dagli incarichi (a causa di un’evidente instabilità da parte del Tycoon, che secondo la speaker della Camera Nancy Pelosi non dovrebbe più avere accesso ai codici nucleari) l’ex agente CIA e informatore Edward Snowden ha paragonato sul suo profilo Twitter l’oscuramento dei profili social di Trump alla damnatio memoriae del mondo romano.
Si tratta di una locuzione in lingua latina che significa letteralmente “condanna della memoria“. Nel diritto romano indicava una pena che consisteva nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se essa non fosse mai esistita. Una pena solitamente destinata ai traditori e gli hostes, i nemici di Roma.
— Edward Snowden (@Snowden) January 9, 2021
Sembra quasi che il mondo stia cercando di dimenticarsi di Trump e di questi anni in cui è stato Presidente degli Stati Uniti. Soprattutto ora che si ritrova isolato e senza amici a cercare di racimolare consensi sul web raccontando falsità. Non è quindi difficile capire come mai questo processo di “rimozione dalla storia” abbia avuto inizio su internet e con i suoi profili social.
In realtà la situazione è molto più complessa e la domanda che dobbiamo porci è un’altra: i social network sono responsabili dei contenuti che pubblicano sulle loro piattaforme?
Social media e responsabilità
Innanzitutto bisogna notare che negli ultimi anni i social media sono diventati strumenti potentissimi per veicolare tanti tipi di informazioni senza dover passare dalle rigide regole del giornalismo classico.
Ovviamente, il fatto che per tanti anni i social media siano stati al di fuori di ogni tipo di regolamentazione ha favorito il diffondersi di fake news e di teorie del complotto che hanno potuto viaggiare incontrastate fino a raggiungere gran parte della popolazione globale.
Negli ultimi anni, quindi, i governi e gli organismi internazionali hanno fatto diverse pressioni nei confronti dei più grandi social network per trovare un modo di gestire la situazione.
Le diverse piattaforme hanno però sempre avuto delle posizioni molto distanti e hanno adottato delle soluzioni molto diverse tra loro per gestire il dilagare delle informazioni false e della propaganda politica sulle proprie pagine.
Se da un lato, per esempio, Facebook non si è mai esposto più di tanto, Twitter d’altro canto non si è certo risparmiato, arrivando diverse volte a cancellare alcuni Tweet non veritieri pubblicati anche dallo stesso Trump.
L’arrivo di strumenti che consentono il fact-checking da parte di individui e organismi terzi ha poi consentito una maggiore sicurezza e trasparenza per quanto riguarda la veridicità delle informazioni condivise.
Se a questo si aggiunge il fatto che i diversi social media hanno termini di servizio che non tollerano la diffusione di fake news e l’incitamento all’odio, è chiaro che la reiterazione di questi comportamenti non poteva che portare a un unico e scontato esito.
Il punto principale del discorso è però un altro: quello che è successo con i profili social di Donald Trump si può considerare censura?
Trump e la censura
Il fatto che i social media più importanti stiano pian piano prendendo consapevolezza del grande potere che hanno sulle persone per quanto riguarda la diffusione di determinate notizie o informazioni e la relativa decisione di cancellarne arbitrariamente alcune è la giusta via per il quieto vivere sui social o si rischia di venire trasportati in un mondo in cui pochi individui hanno potere decisionale su cosa è giusto dire e cosa non lo è?
Dobbiamo sicuramente essere sempre e incondizionatamente a favore della libertà di stampa e di espressione, su questo nessun dubbio, ma cosa succede quando quella stampa e quell’espressione sono sintomi di una visione distorta e sbagliata della realtà?
Ne abbiamo avuto un esempio pratico quando, poco dopo il risultato delle elezioni statunitensi, l’appena sconfitto Trump millantava in conferenza stampa l’esistenza di presunti brogli elettorali ai suoi danni. Quella conferenza è stata prontamente oscurata dai canali che la stavano trasmettendo appena Trump ha iniziato a toccare argomenti del genere senza presentare alcune prova a sostegno.
E il fatto che anche emittenti filo-repubblicane come Fox News abbiano deciso di oscurare queste dichiarazioni fa ben capire la portata del problema. Arriva un punto in cui nemmeno chi ti sta intorno può sopportare la diffusione di fake news e cialtronerie e si arriva quindi a episodi del genere. Ma si tratta di censura?
In realtà non c’è una risposta precisa alla domanda che ci siamo posti: il senso critico e l’orientamento politico di ognuno porterà a considerazioni e risposte diverse.
Ci sono però dei rari casi in cui tutto l’impianto democratico su cui si basa il nostro mondo rischia di collassare su se stesso. Ed è proprio in questi casi che gli strumenti di diffusione delle idee e delle opinioni devono essere maggiormente vigili e sempre sull’attenti per evitare di veicolare messaggi sbagliati.
E se per evitare di intaccare la nostra democrazia bisogna oscurare il profilo del Presidente in carica degli Stati Uniti, allora è un rischio che va preso. Ed è un bene che Facebook e Twitter abbiano deciso di farlo.
É chiaro comunque che deve essere sempre considerata come ultima ratio.
Il confine tra fact-checking e censura è molto più fumoso che mai, soprattutto considerando l’esistenza di supporter ed estimatori incalliti che pendono dalle labbra del leader di turno. Il loro beniamino è il martire della situazione, con il mondo che gli va contro. E spesso tali individui sono capaci di qualsiasi cosa, anche di atti violenti e sconsiderati. In tal caso conviene prendere delle soluzioni drastiche.
Il caso Parler
E questo è il caso di Parler, una piattaforma di microblogging che ha tra i suoi utenti numerosi sostenitori di Trump, molti estremisti di destra e diversi complottisti. É considerato un “Twitter senza censura”, ma è chiaro che messo sotto questi termini si tratta del posto ideale dove seminare e far germogliare ideali che non potrebbero attecchire altrove.
Non deve stupire quindi il fatto che dopo l’oscuramento del suo profilo Twitter, Trump abbia subito aperto un profilo su Parler.
In verità si pensa che questo social network “senza controlli” abbia avuto un ruolo fondamentale anche nell’organizzare l’assalto a Capitol Hill. É infatti poco plausibile che centinaia se non migliaia di individui si siano ritrovati per puro caso nei pressi del Campidoglio in quel preciso istante.
Quell’assalto sembrava qualcosa di premeditato, di organizzato nei minimi dettagli. Altrimenti, non si spiega come qualcuno si sia presentato lì sfoggiando capi di abbigliamento in cui campeggiava la data di quel giorno. Come a dire “io c’ero e mi sono pure stampato la maglietta per ricordo”.
In questo senso, sembra chiaro che questo servizio, o chissà quale altro a noi sconosciuto, ha avuto un ruolo fondamentale nell’organizzazione di quell’assalto. E viene quindi spontaneo chiedersi in quante altre occasioni sia già successa una cosa del genere, senza che l’opinione pubblica ne venisse a conoscenza.
Google, nel momento in cui scriviamo, ha già rimosso l’app dal suo store e Apple sta ponderando la stessa decisione. Ma a quanto pare il danno è già stato fatto.
Nonostante il Presidente uscente abbia garantito una transizione di poteri pacifica, la situazione resta instabile e non possiamo prevedere cosa succederà nei prossimi giorni. Fonti vicine al Presidente uscente confermano che non abbia preso benissimo l’oscuramento del suo profilo Twitter. In effetti, Trump ha usato il profilo ufficiale del Presidente in carica, @POTUS, per twittare la sua disapprovazione per il ban. Inutile dire che anche questo tweet è sparito poco dopo la sua pubblicazione.
Cosa ne pensate di tutta questa situazione e del ruolo che i social media stanno avendo nelle mondo della politica? Ditecelo nei commenti!
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