Le grandi produzioni come Cyberpunk 2077 sono sempre accompagnate da tante polemiche. Facciamo chiarezza sul caso Kallie Plagge
Oggi, 10 dicembre 2020, è un giorno che non può passare indifferente nella community dei videogiochi. Dopo anni di attesa, anche il day 1 di Cyberpunk 2077 è finalmente giunto e l’alone di vaporware attorno al progetto si è in fretta dissipato, lasciando spazio alle prove pad alla mano da parte dell’utenza comune.
Ciononostante, come è ormai triste consuetudine nel caso di produzioni di questo calibro, le polemiche attorno al gioco sembrano superare la condivisione delle opinioni sul titolo stesso. Dopo la provocazione particolare da parte di una sparuta minoranza della comunità transgender, oggi tocca alle presunte minacce di morte subite dall’autrice Kallie Plagge di Gamespot, in merito alla recensione – da 7/10 – dell’immersive sim targato CD Projekt Red.
L’aggettivo è purtroppo d’obbligo perché, pur non mettendo in dubbio le segnalazioni del web che hanno stigmatizzato i comportamenti dell’utenza tossica, ad ora tutti i messaggi d’odio sono stati eliminati e al di là delle mere testimonianze di cui sopra non possiamo offrirvi contributo fotografico alcuno.
Non stupisce però oggigiorno che criticità di questo tipo vengano alimentate sul web. Un esempio è quello del review bombing su The Last of Us Parte II e delle successive minacce di morte perpetrate sia ai danni della modella Jocelyn Mettler che dell’attrice Laura Bailey, rispettivamente volto e performer del personaggio fittizio di Abby.
La cartina tornasole di una community integralista, in cui serpeggia spesso e volentieri un odio non commisurato al ‘torto subito’, oltre che una sottile misoginia di fondo piuttosto eloquente, visto che il genere del destinatario, quando femminile, è spesso usato come strumento di ulteriore derisione. “Cosa vuoi capire di videogiochi, tu donna?!” Vi suona familiare?
Eppure, per quanto questa faccia dell’utenza videoludica esista ed i comportamenti deprecabili che ne scaturiscono siano rumorosi, è sempre sbagliato fare di tutt’erba un fascio. Soprattutto quando un caso come quello Plagge ha un importante antefatto che ne spiega alcuni tra i motivi, oltre al fatto che parte delle critiche mosse alla recensione di Cyberpunk 2077 – ed ai suoi criteri, mai quelle rivolte alla persona – se non condivisibili, possono risultare quantomeno comprensibili ad un occhio meno superficiale.
There seems to be two kinds of people attacking Kallie Plagge's review:
1. Neckbeards saying women can't review games
2. People with the legit concern that a critic omitted huge chunks of a game because of her moral objections and still rated it.https://t.co/oe9HKELGCn
— Return (@ReturntheHunter) December 9, 2020
Partiamo dal principio: Jocelyn Mettler è l’autrice della recensione IGN di Pokémon Zaffiro Alfa e soprattutto del famoso quanto memato “Too Much Water” tra i contro. Ora, al di là dei giudizi di valore sulla validità della critica, è innegabile come, con un pezzo tanto famoso a curriculum, l’attitudine del lettore venga condizionata ad ogni nuova produzione dell’autore in questione. Si tratta della parte più controversa dell’internet: anche se a tutti capita di sbagliare, un singolo errore – ammesso e non concesso che lo sia – può metterti sulla graticola per il resto dei tuoi giorni. Tutto torna reperibile sul web, prima o poi. Non è giusto, non è bello, ma è così.
In secondo luogo, senza volerci ergere sul piedistallo di chi giudica il lavoro di un collega, possiamo quantomeno comprendere come un punto specifico tra i contro – proprio come nel caso della recensione del titolo 3DS nel 2014 – abbia suscitato lo sdegno del web, condizionando la “negatività” del voto finale rispetto alla stragrande maggioranza delle altre recensioni su scala globale:
“L’inclusione di culture differenti e diversi backgrounds è davvero incoerente, da buona a inaccurata fino all’essere decisamente offensiva“
Il che ha spinto l’utenza non solo a pensare che l’intero pezzo sia stato ‘socializzato‘, risultando in un 7/10 ‘politico’ più che nel merito, ma anche che per via di queste obiezioni morali che traspaiono dall’estratto, l’autrice abbia volutamente evitato alcune sezioni di gioco poiché non in linea col proprio pensiero.
Posto che la verità in merito non la sapremo mai e che nel computo di una recensione l’unica campana che conta è quella del suo autore, l’obiettivo di questo pezzo è quello di illustrare un paio di concetti su situazioni simili, cercando equilibrio e mediazione tra le parti: come detto, la recensione non può non essere lo specchio del suo autore, delle sue esperienze con il genere di appartenenza, del suo grado di empatia con ciò che è narrato a schermo ed una serie infinita di ulteriori variabili.
Al di là degli aspetti tecnici e della necessaria onestà individuale nei confronti dell’utenza su di un prodotto, è impossibile dunque – ed è anche il bello delle recensioni – che tutti i recensori la pensino allo stesso modo, o che diano lo stesso identico peso ai pregi ed ai difetti di un’opera. In una produzione come Cyberpunk, per giunta, così profondamente ruolistica nella sua essenza, scegliere o meno di fare o non fare qualcosa è parte integrante dell’esperienza stessa.
D’altro canto, siamo strenui sostenitori del fatto che la critica non sia e non debba essere appannaggio esclusivo dei recensori. Ma non solo, pensiamo che il diritto di critica alla critica sia sacro, essendo uno dei momenti di massima crescita personale e professionale di un autore.
Perché tutto ciò avvenga al meglio, però, è necessario che l’utenza, proprio come il recensore durante l’analisi di un’opera, mantenga toni civili e rispettosi, critichi il prodotto e non la persona dietro allo stesso, non offenda, discrimini o derida e soprattutto che tutto ciò avvenga sulla scorta di critiche fondate ed argomentabili. Più Cyberpunk, meno cyberbulli. Ma anche basta demonizzare un’intera community per l’atteggiamento di qualche, ingiustificabile, imbecille.
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