Assassin’s Creed: Origins, ovvero dove tutto ebbe inizio
Assassin’s Creed Origins segna un punto di svolta per la saga: il cambiamento di rotta nel gameplay ha creato una spaccatura tra i fan, approcciandosi ad un sistema molto legato al gdr, in un mondo di gioco vivo e vasto, lacerato dalla povertà e dalle guerre. L’Egitto si presenta al giocatore come una terra in cui il Nilo attraversa le aride regioni desertificate, come un’arteria che trasporta sangue puro, e su cui le fiorenti città fondate dai Greci e Romani hanno posto le loro radici. Ma non siamo qui per trattare della culla dell’umanità ai tempi delle invasioni romane. Vorremmo concentrarci sul protagonista di questa splendida avventura: Bayek di Siwa, un personaggio complesso la cui anima è frammentata, tripartita in ruoli diversi, rendendolo il protagonista perfetto per la genesi del Credo. Dalla calda e accogliente oasi di Siwa alle zone desertiche del Desheret passando per i nomi dalla fertile terra, giungendo,, infine, alla Cirenaica, la provincia romana che abbraccia l’antico regno.
Medjay
I Medjay. I protettori dell’Egitto, gli antichi guardiani che vegliano sulla terra degli antichi re il cui compito è mantenere l’ordine e difendere il faraone. Bayek, l’ultimo di questi antichi guerrieri, vive seguendo le leggi degli dei, come suo padre prima di lui. Un ruolo tanto nobile quanto difficile da onorare. Soprattutto quando il destino dell’intero Egitto è in pericolo, minacciato da forze oscure che prosperano nell’ombra indisturbate, manipolando qualsiasi cosa pur di raggiungere il loro scopo. Quando non puoi fidarti di nessuno, non vi è sicurezza e uccidere per errore significherebbe disonorare un codice che vige da centinaia di anni. La sottile linea in cui agisce Bayek lo porterà ad affrontare i suoi peggiori incubi, in cui Apopi, il dio serpente che vive nell’oscurità, proverà a corromperlo. Un viaggio lungo e tortuoso dove lo stesso medjay, alla fine, si troverà davanti una scelta, un bivio, l’inizio di un percorso macchiato con il sangue di suo figlio e dei suoi assassini. Un percorso che lascerà dei segni indelebili nella storia dell’Egitto ma, principalmente, nella memoria del primo Occulto.
Padre
L’animo di Bayek ci viene mostrato sempre puro, gentile e nobile, un uomo dai sani principi. E la famiglia è uno di questi. Aya, sua moglie, e Khemu, suo figlio, lo rendono l’uomo che è ora. Ma quando il faraone Tolomeo, si presenta nella piccola oasi di Siwa, la sua vita cambia per sempre. Incastrato e catturato con il giovane figlio da una setta di uomini mascherati, il medjay si troverà difronte un manufatto antico, dal potere sconosciuto. La rovina del mondo, se usato per fini oscuri. Ma per Bayek l’unica cosa che conta è fuggire con Khemu da quel covo di malvagità e corruzione. Ma la rovinosa fuga termina con Bayek stesso, che per errore pugnala il figlio nel cuore. Secondo la mitologia egizia, se il cuore viene trafitto da una lama, prima di essere pesato da Sobek, non avrà un posto nell’aldilà. La vendetta rende Bayek furioso, accecato dal dolore, all’inizio della sua avventura non fa altro che dogliarsi delle sue colpe, per non essere stato un padre all’altezza e si sente responsabile per la morte del figlio. L’incontro nella Duat con il secondo membro della setta degli Antichi, l’Ibis, è quanto più poetico e struggente ci sia in questo gioco. “Bayek di Siwa, difensore del niente e padre di “nessuno””. Sì, nessuno, perché il piccolo Khemu, morendo per mano del padre, non ha avuto il modo di andare nell’aldilà e la furia del medjay che ne scaturisce da questa frase, lo porta a diventare una belva violenta che uccide per vendetta ma è costantemente oppresso dai sensi di colpa. Questa escalation di eventi portano a una rottura della moralità di Bayek. Quanto palliativa può essere la vendetta se porta un essere umano a perdere se stesso con l’avanzare inesorabile del tempo? Un vuoto doloroso che verrà colmato solo dall’amore e per la lotta a un bene superiore.
Marito
Il rapporto tra Bayek e Aya è molto particolare, quasi velatamente conflittuale nonostante si amino. Da un lato Aya, la cui statua era presente nella cripta di Assassin’s Creed II, la prima assassina a lasciare il suo paese natale, lasciandosi alle spalla tutta la sua vecchia vita e mettendo da parte i suoi doveri di moglie e madre per il bene di un futuro migliore per il mondo in cui vive. “Ho rinunciato ad Aya, ho ucciso Aya. Ora sono l’Occulta conosciuta come Amunet”. Dall’altro lato Bayek, che vive tormentato dal suo passato, mentre insegue la donna amata per tutto l’Egitto, ma non appoggiando la sua causa, solo per vendetta a amore. Un conflitto che viene mostrato in molti dialoghi e cutscene, in cui i due discutono sul futuro e su quello che li aspetta. Se da un lato, però, il loro modo di vedere le cose, li allontana, allo stesso tempo, l’influenza che Aya ha su Bayek lo fortifica, lo aiuta ad alleggerire il fardello che ha sulle spalle, cambiando il suo modo di essere. Soprattutto nell’espansione “Gli Occulti”, Bayek ha raggiunto una maturità tale da portarlo ad essere come la moglie. Riabbraccia i sani principi della cultura del medjay, affiancandoli all’esperienza che ha raccolto durante il periodo delle “guerre alessandrine”, in cui con l’aiuto di Cleopatra e dell’esercito romano, ha sbaragliato le forze tolemaiche, ponendo fine alla sua sanguinosa tirannide. Il piccolo Khemu, si trasforma in un simbolo di rivolta, speranza, la flebile luce nei tempi più oscuri.
Assassin’s Creed: Origins, era e continua ad essere un viaggio meraviglioso tra le magnifiche terre dell’antico regno egizio, dove all’ombra del sole cocente che batte sulle piramidi, memorie di uno splendore ormai in rovina, due forze si scontrano per il futuro del mondo e dove un padre in cerca di vendetta, plasmerà il suo destino.
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