Voglio mangiare il tuo pancreas: semplice non è banale
In Voglio mangiare il tuo pancreas il gioco della narrazione è incredibilmente semplice, ma mai banale.
Haruki Shiga è un personaggio timido e introverso, in totale contrasto con quello di Sakura Yamauchi, una sua compagna di classe. Protagonisti che si potrebbero inserire perfettamente all’interno dell’ennesimo anime scolastico, che ha come unico obiettivo quello di farci piangere, propinandoci l’ennesima lezione di vita sulla fugacità del tempo, potrebbero, ma non lo sono.
E questo non è il solito anime dove due adolescenti si innamorano e si devono scontrare con i problemi della vita reale.
La linearità della trama, da subito introdotta insieme alla caratterizzazione dei personaggi, ci permetterà di riscoprire quanto la semplicità possa essere ricca di sfumature e di poterci concentrare su di queste.
Voglio mangiare il tuo pancreas (senza spoiler)
L’anime diretto da Shinichirō Ushijima è tratto dall’omonimo romanzo di Yoru Sumino pubblicato nel 2014. Nel 2016 è stato tratto anche un manga e un live action diretto da ShoTsukikawa, uscito l’anno seguente.
La trama, come abbiamo già anticipato sopra, segue la storia di Hakuri e Sakura, due compagni di classe dai caratteri diametralmente opposti. Haruki viene per caso a conoscenza del segreto di Sakura, la quale dopo aver finalmente trovato qualcuno con cui confidarsi non lo vuole più lasciare.
Il tempo che passeranno insieme li cambierà profondamente, mentre il segreto che li ha uniti è destinato anche a separarli.
Una storia dove l’importante non è tanto il finale (esplicitato già dai primi frame), ma il viaggio di scoperta nei sentimenti dei protagonisti. Con loro impareremo a conoscere nuovamente i significati di amicizia, amore e tempo.
Non credo di poter dire altro su questo film senza evitare spoiler. Per chi non l’avesse ancora visto può recuperarlo su Amazon Prime Video, che lo ha reso disponibile da questo maggio.
Una volta visto potete (se volete) tornare qui per discuterne con noi.
Come le gemme dei ciliegi
Da questo paragrafo seguiranno spoiler.
Il film si apre con il funerale di Sakura, la cui malattia terminale viene introdotta insieme a lei nel primo incontro con Haruki. L’inizio della loro relazione ci viene presentato poco dopo il suo epilogo, non ne conosciamo la natura, sappiamo solo, dalle prime parole di Haruki, che erano compagni di classe.
Quello che siamo invitati a guardare è proprio il nascere, evolversi e concludersi di questa relazione. Ogni possibile speranza di un epilogo diverso è annientata dalla prima sequenza, catapultando inconsapevolmente lo spettatore a seguire il resto della pellicola con lo stesso spirito con il quale i due protagonisti si preparano ad intraprendere un viaggio che, come sappiamo, li porterà alla separazione.
Ci ritroveremo a metà tra l’essere disillusi, privi di false speranze, come un primo Haruki e allo stesso tempo desiderosi di goderci al meglio la storia, come nello spirito di Sakura.
L’equazione è semplice: più i due protagonisti si legheranno, più soffriranno nel momento del distacco; e allora perché durante tutto il film non siamo sicuri di comprendere appieno i sentimenti dei due?
Salvare una vita
Il desiderio di volere al suo fianco qualcuno che non la commiseri incontra, grazie allo stratagemma del segreto condiviso, il voler “salvare” a tutti i costi Haruki come ultima missione.
Salvare una vita, quella di un ragazzo apatico, che fino a quel momento non ha mai vissuto davvero a causa della sua incapacità e costante paura verso le relazioni umane, così diverso da Sakura la quale desidera vivere appieno il tempo che le resta.
Sakura sebbene stili una lista di tutte le cose che desidera fare prima di morire, è alla continua ricerca del quotidiano, di tutte quelle cose che una ragazza di 17 anni considera normali. Mangiare il proprio piatto preferito, dormire fuori un fine settimana, bagnarsi i piedi nell’oceano o vedere i fuochi d’artificio. Innamorarsi.
Tutti questi elementi sommati alla consapevolezza dell’impossibilità di avere un futuro insieme contribuiscono a infondere nello spettatore un forte senso di malinconia, senza però angosciarlo.
A non rendere banale una trama con le delle premesse quantomeno semplici è la scelta di non esasperare mai nessuno di questi temi, anche quando farlo, e strappare fiumi di lacrime allo spettatore, sarebbe oltremodo facile.
“Di solito le persone rimangono sorprese. Dicono la bellezza muore presto, cose così, per consolare.”
No, le lacrime le lasciamo fuori. Le lasciamo agli adulti, proprio come fanno i due protagonisti. Non è questo il momento per disperarsi.
“L’essenziale è invisibile agli occhi” recita Il Piccolo Principe, più volte citato nell’opera.
Sono proprio i silenzi e le cose non dette a caricare la tensione drammatica dell’intera pellicola; mancano infatti la malattia che pian piano spegne il sorriso di lei e la consuma lentamente, mancano la paura urlata e i crolli nervosi. Manca lo sviscerare il discorso della morte, al quale si preferisce riflettere attorno al concetto di vita.
Manca la rabbia verso l’ingiustizia del “perché proprio a me”, e del “perché proprio a noi”.
Elementi che non vengono esplicitati, ma che con la loro assenza, forse, si fanno sentire ancora di più.
“Potrebbe essere la mia ultima estate, perciò me la voglio godere.” “Dobbiamo fare un altro viaggio, la prossima volta in inverno, direi.”
Rimangono lì, come ombre che minacciano “le belle giornate” dei personaggi; come un cielo che si carica facendosi sempre più grigio e noi, come spettatori, aspettiamo che esploda in un temporale, senza però essere mai esauditi, fino a quando un fulmine squarcia il silenzio e il suo rombo ci scuote. Sakura è morta.
Convivere con la morte
“Ma tu davvero morirai?” “Morirò.”
La morte è immediata. La morte non avvisa e il “Vivere con la morte” (o “Convivere con la malattia”) di Sakura è in realtà il regalo più grande che questa coppia potesse riceve, tant’è che pur arrivando in maniera improvvisa e per la maggior parte del pubblico inaspettata, la trova preparata, non a morire, ma a dire addio.
L’autore tenendo fede a quel clima in cui tutto va come ci si aspetta, lascia come unico elemento di disturbo, in questa normale anormalità che è riuscito a creare, una conclusione giusta, nella quale lei riesce comunque a dire addio ad Haruki. Anche in questo caso è emblematico come alla scelta di un’ ultima dichiarazione d’amore postuma, si preferisca un più semplice, ma maggiormente carico di significato, “Voglio mangiare il tuo pancreas”.
La positività che Sakura mostra costantemente serve a proteggere sia gli altri che sé stessa, tutti convinti della sua forza d’animo, persino gli spettatori, ma basta soffermarsi un secondo sulla sua condizione per capire che essere sereni è assolutamente impossibile.
Continua a parlare della sua morte, quasi nel voler esorcizzare la paura, lo fa con Haruki che a sua volta non si mostra spaventato. La nomina a voce alta, è parte della sua vita.
Poi d’un tratto diventa reale. La verità dietro a quel continuo “quando morirò” è nella borsa che Haruki apre quando Sakura glielo chiede. È lì, davanti ai suoi occhi sotto forma di pillole e siringhe. Sakura non morirà un giorno inesatto e lontano, Sakura sta già morendo. La sua è una richiesta di aiuto silenziosa o forse la malattia è davvero diventata parte della sua normalità?
Certo è che anche Sakura ha paura, e se qualcuno ne avesse dubitato, verrà smentito poco dopo quando sarà lei stessa a dircelo.
“Se dicessi… Se dicessi che in realtà ho paura, ho un terrore folle di morire, tu che faresti?”
Haruki non ha la risposta e tutto ciò che può fare è scegliere obbligo. Sakura lo sa. Tutto ciò che Haruki può fare è starle accanto, in silenzio, inerme.
Probabilmente il momento in cui lei scrive la sua lettera ad Haruki, coincide con il momento di maggior terrore. Quello in cui pur essendo consapevole che il suo termine è vicino, la sua fragile serenità costruita sulla consapevolezza del termine “malattia terminale”, vacilla. Il futuro a cui aveva rinunciato da tempo è cambiato, nel suo futuro c’è Haruki e lei non vuole lasciarlo.
Poter fare qualcosa per te
Veloce come la primavera, che esplode senza che te ne sia accorto, fugace come la fioritura dei ciliegi, che però ti riempiono il cuore.
“Per te cosa significa vivere?” […]
“Secondo me vivere è questo, è ricambiare l’affetto di qualcuno. Non ci si riferisce forse a questo quando si dice vivere? Apprezzare qualcuno, arrivare ad amare qualcuno. Arrivare a provare antipatia per qualcuno, divertirsi stando insieme a qualcuno. Tenersi per mano con qualcuno, è questo vivere.
A stare da soli non si può comprendere la proprio esistenza. Sono le relazioni tra le persone a formare quello che è il vivere, per come la penso io. Se il mio spirito esiste e perché ci sono tutti gli altri. Se il mio corpo fisico esiste è perché viene toccato da tutti gli altri, perciò è senza dubbio questo a dare un senso al vivere di una persona, come è per te e per me stare qui adesso, per nostra comune scelta.”
L’antica credenza che Sakura ci racconta all’inizio del film prevede che lo spirito del proprietario di un organo continui a vivere dentro a chi lo ha mangiato.
Il male di Sakura era un male incurabile, ma quello di Haruki no. L’amore di Sakura verso la vita continua a vivere dentro ad Haruki, il quale grazie ai suoi insegnamenti è profondamente cambiato e ha finalmente imparato a vivere.
“Ho aspettato per 17 anni che un giorno tu decidessi che ti ero necessaria.”
Tra le paure di Sakura subentra quella di non poter più esserci per prendersi cura di Haruki. La missione di Sakura assume pian piano tutto un altro fine e passa dal voler insegnare ad Haruki a vivere, al dover vivere senza di lei.
“Sono parecchie le cose che tu mi stai insegnando.”
Sembra semplice, ma non lo è, perché il sentimento che li lega per tutta la durata del film viene solamente sfiorato. Non è un amore gridato il loro, anzi, è silenzioso, impronunciabile, a tratti in dubbio.
Un amore diverso da come siamo abituati a sentirlo raccontato, ma forse proprio per questo è un amore che non potrei definire diversamente che vero, perché l’amore non è solo dramma, l’amore è semplicità, e quando è amore vero non è mai banale.
La ricerca della semplicità è un percorso assolutamente difficile da seguire, soprattutto quando si vuole raccontare la storia di un legame sviluppatosi in un contesto che non ha niente di semplice, come quello che ci viene raccontato.
Inoltre quando un autore decide di inserire un libro ben preciso in una narrazione, e di dargli così tanta importanza all’interno di una trama, credo sia perché vorrebbe ispirarsi, non tanto alla storia in sé, ma all’effetto che lascia sullo spettatore/lettore una volta concluso.
Il Piccolo Principe è proprio così: una piccola perla, senza nessuna pretesa di essere grande letteratura, ma che nella sua semplicità ti lascia quel senso di amara felicità inattesa una volta concluso e che, proprio come in Voglio mangiare il tuo pancreas, non è mai banale.
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