L’eredità di un regista importantissimo
Il 24 agosto 2010, Satoshi Kon muore per un cancro al pancreas. Per parlare un’ultima volta al suo pubblico, lascia una lettera in cui descrive gli ultimi mesi di vita. Esprime il dolore per la sua condizione, ma anche una forte gratitudine nei confronti dell’esistenza che ha potuto condurre. Il suo più grande rimpianto, dice, è non poter concludere la produzione di Yumemiru Kikai, il lungometraggio a cui stava lavorando.
Lascia tutto nelle mani del suo storico produttore Masao Maruyama, un uomo che dal dietro le quinte di Madhouse ha fatto la storia dell’animazione giapponese. Ha i suoi dubbi, ma sa di potersi affidare a quella persona che è stata al suo fianco lungo tutta la carriera da regista. Il film, però, non è mai uscito. E stando alle ultime dichiarazioni, potrebbe non vedere mai la luce.
Quello di Yumemiru Kikai è un viaggio compiuto attraverso dieci anni di evoluzione dell’animazione giapponese. Una vera e propria epopea, quasi paragonabile all’Odissea; è dunque una storia meritevole di essere raccontata, almeno per capire cosa è successo da quell’ultima lettera.
Che fine ha fatto Yumemiru Kikai?
Poco dopo la morte di Kon, Madhouse dichiara bancarotta e viene acquistata dalla Nippon Television. Negli anni precedenti, lo studio aveva prediletto la qualità e la “sperimentazione” ignorando gli incassi sempre più magri.
Se da un lato questa pratica favorì la crescita di alcuni nomi di punta della scena contemporanea (Mamoru Hosoda, Takeshi Koike, Masaaki Yuasa) , dall’altro portò ad una situazione di cui l’azienda paga ancora oggi le conseguenze.
L’anno successivo ha infatti inizio una diaspora comprendente tutti i grandi nomi e tre dei quattro fondatori, tra cui anche il già citato Maruyama. Disgustato dall’idea di doversi asservire ad una grande azienda, forma un nuovo studio e porta con sé il materiale riguardante Yumemiru Kikai. MAPPA ingrana, lanciandosi subito nella produzione televisiva, ma il film rimane fermo.
All’Otakon, Maruyama rivela di non riuscire a trovare finanziamenti e che, soprattutto, nessuno può realmente sostituire Kon su un progetto tanto personale.
The Dreaming Machine nasce diretto alle famiglie, in contrapposizione alla gran parte dell’operato del regista. La storia poi è una sorta di “road movie coi robot” in cui l’umanità è completamente assente; non quello che ci si aspetterebbe da chi ha fondato una carriera su soggetti maturi e realistici, insomma.
Il soggetto, tuttavia, si inserisce nel percorso tematico avviato già da Perfect Blue. Il contrasto tra reale e fittizio, che in Paprika aveva raggiunto il suo picco narrativo, era sempre stato alla base della poetica di Kon.
Un simile film, tutto fondato sul giocare con figure inesistenti, sarebbe potuto essere un ulteriore tassello in una carriera già molto significativa. E per questo, rimane fermo per anni. Ma sfortunatamente, i problemi non sono finiti.
La storia nella storia
Nell’aprile del 2016, Maruyama dà le dimissioni e lascia anche MAPPA. Secondo lui, il nuovo studio ha seguito il destino del precedente e non vuole continuare a lavorare in un’ambiente dominato da necessità commerciali. Effettua quindi una nuova “migrazione” e crea lo Studio M2, che però in questi 4 anni è rimasto perlopiù vuoto.
Le uniche produzioni realizzate, Onihei e Usumizakura:Garo, sono state affidate a studi esterni per compensare la mancanza di animatori. Un ambiente, insomma, che non può consentire in alcun modo la creazione di un film. Maruyama tuttavia non si arrende e, tra un annuncio e l’altro, continua a dare informazioni (sempre molto vaghe) su Yumemiru Kikai.
Fino a quando, all’Hiroshima International Animation Festival del 2018, dichiara che il film non si farà più. Certo annuncia al suo posto un probabile adattamento di Opus, ma tale ammissione ha comunque un significato molto forte.
Qualcuno potrà vederlo come il più banale dei finali, ma che un uomo come Maruyama si arrenda all’evidenza di non poter realizzare un film a cui è così tanto legato, dimostra anche come il mondo dell’animazione sia cambiato in soli 10 anni.
Quell’uomo di bassa statura, che aveva sempre spinto sulla qualità delle sue produzioni, oggi può solo abbassare le armi e ammettere la sconfitta davanti ad un sistema che preme invece sulla quantità.
Cosa rimane di Kon?
Anche se il suo ultimo film non vedrà mai la luce, questo non vuol certo dire che il nome di Kon non si sia comunque diffuso in tutto il mondo. Oggi infatti il maestro viene ricordato per aver dato un contributo davvero importante al panorama dell’animazione giapponese, praticamente seminale nel permettere al medium di sfondare ulteriormente i confini nazionali.
La maturità delle sue opere ha infatti offerto una visione diversa di quello che da anni era percepito come un mondo fatto di stereotipi e frivolezze, arrivando persino a condizionare il cinema hollywoodiano. Anche laddove la sua ultima fatica non dovesse mai vedere la luce, confermando la sua più grande preoccupazione, l’eredità che ci ha lasciato rimarrà intatta.
Perché quello di Satoshi Kon, assieme a pochi altri, è un nome che rimarrà per sempre nella storia degli anime.
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